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App…estati

questo Anna Lombroso per il Simplicissimus

Persone più competenti di me in materia informatica – ma ci vuole poco, mi informano che la app Immuni  “pensata” per realizzare un tracciamento elettronico dei contagi da coronavirus, non potrebbe mai essere efficace.

E per molti motivi,  pare,  in aggiunta alla inefficienza dei sistemi digitali italiani e della loro operatività, rivelata quando si chiede una carta d’identità in nuovo formato, quando si cerca di ottenere un pin dall’Inps (metà ve la inviano per posta), quando si aspettano i risultati dei un esame diagnostico anche nell’arcadia pre-virus rappresentata dalla normale crisi sanitaria.

Nel nostro paese, consumatore compulsivo di cellulari, infatti, ci sarebbe comunque bisogno di almeno 30 milioni di affiliati, tempi di raccolta della posizione degli utenti velocissimi, procedure prodigiose in grado di controllare e trattare una massa enorme di dati raggiungendo il risultato di allertare le persone infette e isolarle, estirpandole dal loro contesto civile, ma pure quelli che hanno avuto dei contatti con loro sulla metro, sul bus, al supermercato.

Se è così, allora è giusto sospettare di quale sia il vero intento di Immuni, (ne avevo scritto ieri qui: https://ilsimplicissimus2.com/2020/04/21/tintinnar-di-app/ ) quello di svolgere un’azione capillare di controllo sociale, inteso alla sorveglianza, all’intimidazione e alla repressione delle eventuali disobbedienze.

Per carità, è vero che allo scadere dei 65 anni è successo che arrivasse su qualche telefonino l’offerta di una fornitura particolarmente vantaggiosa di pannoloni per l’incontinenza, che il giorno dopo l’acquisto in farmacia di un test per la gravidanza si fosse oggetto della pubblicità dei prodotti Johnson Baby e che all’abbandonato di fresco dalla fidanzata pervenisse un mese di prova di Meetic perché siamo monitorati, spiati, condizionati nei comportamenti, nei consumi, nel desideri, ma si tratta di una pratica che avviene in dispregio delle norme sulla privacy e nel rispetto delle leggi del mercato, che suscita in noi malumore e fastidio per l’indebita ingerenza.

Mentre da due mesi, nel nome di una emergenza sanitaria che dovrebbe giustificare solo temporanee e ragionevoli limitazioni e non certo la soppressione di libertà personali e collettive, stanno persuadendoci che la loro sospensione, fino a  chissà quando, sia un bene, un dovere nei confronti degli altri, ma soprattutto il godimento di un nostro diritto che avrebbe la prevalenza su tutto, quella alla conservazione della salute e dunque alla sopravvivenza.

Perchè, ammettiamolo,  sarebbe azzardato parlare di vita nella sua pienezza, quando ci si impone o di stare in domicilio coatto o di circolare senza riguardi per lavorare e produrre, quando sono impedite le relazioni umane e affettive fino a non potere assistere e salutare i nostri cari che muoiono trattati come numeri e rifiuti da conferire in inceneritore, quando i bambini vivono una sospensione dei riti dell’infanzia, amicizie, giochi, scoperte.

Temendo conseguenze incontrollabili, il governo tramite i suoi scherani delle task force nel ricordarci che oggi essere tracciati è un beneficio che generosamente ci elargisce nel nostro interesse, ne affida il godimento alla nostra volontà, smentendo che per chi non si adegua irresponsabilmente e incautamente possa pagare la sua diserzione con misure restrittive aggiuntive.

Tutte balle, non c’è più nulla di libero, volontario, autonomo in uno stato di eccezione, in una condizione di detenzione e reclusione innaturale e regressiva, trattati come bambini coartati a obbedire perché lo dice la mamma, perché lo decidono le autorità politiche e para-tecniche che non sanno o non vogliono motivare i loro imperativi, le loro leggi marziali, la loro invadenza, perché sono soltanto interessati a far distogliere l’attenzione dalle cause della crisi che non è quella sanitaria, ma di sistema, demolizione del welfare, privatizzazioni, fine della ricerca svenduta e quindi dell’autorevolezza di una scienza ridotta a opinione, esercizio delle disuguaglianze più impari.

E come avviene da tempo, in occasioni di catastrofi che non sono quasi mai naturali, per promuovere regimi speciali e istituire poteri eccezionali dando il caratteri di interventi di interesse primario senza i quali si configura uno stato di emergenza perfino alla realizzazione di grandi opere inutili e dannose, si fanno evaporare i diritti attraverso il diritto, si trasgrediscono regole e imperativi morali in nome delle norme di legge, legge speciale che si rifà a quella naturale della tutela della salute e della vita, ma una vita animale in gabbia o a lavorare come avviene nei circhi.

Avremmo dovuto farlo da tempo, ma ormai è arrivato il termine ultimo per pensare e giudicare e scegliere. Da anni ci dicono che non esiste alternativa allo sfruttamento del potere economico e finanziario e del mercato, da anni vogliono persuaderci che non è colpa del loro modello e del loro stile di vita avvelenato e perverso ma delle nostre abitudini dissipate meritevoli della punizione dell’austerità, da anni è stata imposta la normalizzazione dei sacrifici e della rinuncia, la perdita delle garanzie e delle conquiste delle lotte dei lavoratori.

Adesso si è aggiunto un nuovo primato della necessità in nome del quale dobbiamo abiurare a diritti, libertà, sostituite da concessioni arbitrarie e discrezionali, da licenze e dalle modeste trasgressioni di un’ora d’aria intorno a casa, della spesa al supermercato, del pascolo del cane o di un bimbo alla volta.

Ma stavolta hanno conseguito un risultato in più, rispetto a quello del tradizionale ricatto “o il salario o i diritti“.

Stavolta “o la salute o la libertà” è così potente che addirittura non ha avuto bisogno finora di comandi, multe, sanzioni erogate come prove di forza per consolidare e potenziare i messaggi delle autorità, si è collocato nelle nostre teste con una tale tenacia che si aspetta pazientemente il “fuori tutti” come se fosse una scelta avveduta e responsabile, perché le raccomandazioni, i consigli, compresi quelli per gli acquisti, le limitazioni e le regole, anche se stanno via via perdendo ogni credibilità, tra rappresentazione apocalittica, numeri a caso, statistiche manipolate, vengono accettati come dogmi e come atti di fede indiscutibili, che fingiamo di professare in via volontaria, per dimostrare la nostra conformità  responsabile a un credo diventato comune.

È proprio arrivato invece il momento dell’eresia.

Lo lo stato di eccezione anche quando si presenta come “costituente” di un ordine nuovo, proiettato alla costruzione di qualcosa di superiore rispetto alla mediocrità dello status quo, reca comunque e sempre in sé i veleni della istituzione di un potere supremo, dell’assolutismo che piega la volontà popolare e individuale per conformarsi con il silenzio, l’assoggettamento, a un disegno autoritario capace di affermarsi non solo con la repressione ma anche con l’autocensura, l’abdicazione apparentemente volontaria a fondamenti, valori e facoltà che hanno legittimità costituzionale, che salvaguardano la rappresentanza, che garantiscono i diritti politici e civili, ben oltre la mera “legalità” delle norme e della giurisprudenza.

È proprio arrivato il momento di dire no all’elargizione di volontà e scelte condizionate, quando lo “stare a casa” significa la previsione di un ordine pubblico che minaccia di proibire le piazze, le manifestazioni, gli scioperi, i dialoghi, l’amicizia, gli affetti, i desideri, dopo aver impedito i valori del lavoro, la scoperta del sapere e la potenza dell’istruzione, la bellezza del paesaggio e della memoria.

 

 

 

 

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