condoAnna Lombroso per il Simplicissimus

Se l’esodo di Pasquetta dei forzati della gita fuori porta sarà infelicitato dalla nebbia che grava sul Gra, sulla Pontina, sulla Via del Mare, noi saremo comunque afflitti dalla concorde riprovazione per chi, già da venerdì, complici il sole e la maledetta primavera più dolce che si sia vista da anni,  ha scelto di evadere dalla galera urbana, da chi improvvisava rave con grigliata sulle altane dei tetti di Palermo , sugli “irresponsabili” promotori e ospiti del party in terrazza beccati dagli elicotteri adibiti all’applicazione delle leggi marziali.

Il Presidente del consiglio Conte ha ammannito i suoi auguri di Pasqua senza sorpresa: “le rinunce che ognuno di noi compie in questa domenica così importante, ha scritto su Facebook, condannando implicitamente i rei di assembramento,  sono un gesto di attaccamento autentico a quello che conta davvero…”

L’interpretazione di che “cosa conti davvero”, pare ai più opinabile e controversa, ora che perfino la stampa ufficiale mostra le prime crepe nella narrazione monoteista del demone del Terrore (il Corriere oggi solo online offre un esame della decodificazione aberrante dei dati statistici su infetti, decessi, guariti, accorgendosene solo adesso) , ora che perfino Mefistofele avrebbe pudore nell’offrire la scelta tra la borsa e la vita, se tanti dei reclusi sanno che la clausura li butterà per strada, tra esercenti di pubblici esercizi, negozianti, parrucchieri (gli ultimi a aprire), artigiani.  Ora che molti si interrogano se la mera sopravvivenza in qualità di sani occasionali e comunque esposti a altre patologie future e agli effetti sanitari e sociali della cancellazione della cura e dell’assistenza, valga la limitazione delle prerogative individuali e collettive e del libero arbitrio, e la censura e l’anatema nel confronti di chi esprime dubbi sull’obbligatorietà di uno stato di emergenza e di conseguente eccezione in palese dispregio delle garanzie  costituzionali.

Forse andrebbe riservata la doverosa considerazione a chi è convinto che conti davvero ricongiungersi a familiari anziani, ristabilire vincoli di affetto e amicizia messi alla prova dall’isolamento coatto, far uscire i bambini dalle camere a gas cittadine tra viuzze e marciapiedi invasi da auto anche quelle in parcheggio obbligato, che per molti conti davvero raggiungere il proprio laboratorio, il negozio, il bar chiusi da un mese, che per altri conti davvero, in carenza di banda larga, andare a svolgere personalmente le pratiche per vedersi elargire le magre mancette, che per le badanti irregolari e i lavoratori precari conti davvero guadagnarsi la pagnotta con attività non annoverate tra quelle essenziali, compresa l’assistenza a un anziano, dimostrabili con un susseguirsi di impervie certificazioni.

Forse l’imprescindibilità di certe occupazioni, che, in barba alle raccomandazioni melense e stucchevoli dei VIP dello spettacolo e dello sport, alla melliflua retorica sciovinista praticata da inveterati venditori di patria e sovranità, fa muovere ogni giorno milioni di addetti costretti a circolare e a provocare allarmanti assembramenti su metro, bus, fabbriche, uffici, call center, aziende produttrici di armi, andrebbe spiegata meglio al fine di non consolidare la convinzione che le disuguaglianze sono eque e possono essere autorizzate per legge al fine di dividere i cittadini in meritevoli di salvezza o  condannati al sacrificio.

Perché è senz’altro doveroso rispettare le leggi. ma è altrettanto doveroso che le leggi siano rispettose dei cittadini, altrimenti il confine tra legalità e giustizia si fa sempre più labile e discrezionale.

Il che avviene ancora più frequentemente quando le regole sono troppo severe, quando sono contraddittorie, quando sono soggette a interpretazioni impervie e di conseguenza arbitrarie, quindi inapplicabili. E quando trasmettono la percezione di essere imperativi imposti da un potere assoluto che adopera le sue armi anche gergali per reprimere i trasgressori o per elargire licenze a chi se le sa prendere, come avviene solitamente quando una crisi viene convertita in emergenza anche a questo fine, incrementando la pressione autoritaria e trasformandola in problema di ordine pubblico.

Non deve stupire quindi che un bel po’ di romani, napoletani, palermitani abbiano tacitamente deciso di sperimentare insieme, che l’unione fa la forza,  l’immunità di gregge, se non dal Covid19, da controlli e sanzioni, mettendosi presto per strada, all’albeggiare, quando i militi di Strade Sicure, corpo eccezionale promosso per il contrasto alla mafia e quando si sarebbe voluta in passato analoga mobilitazione per assolvere ai compiti istituzionali,  sono ancora in caserma,  per poi trovarsi in file interminabili  ai blocchi, esibendo autocertificazioni improbabili, sulle quali avrebbero dovuto scrivere semplicemente in cima alle cose che contano davvero secondo Conte: non ne posso più, con tanto di punto esclamativo.

Non deve stupire che ogni giorno qualcuno si svegli dal letargo favorito del berciare di opinionisti della scienza che occupano le Tv tanto più prepotentemente quanto più si allontanano dal caposaldo della loro missione, il Dubbio, dalla ninnananna encomiastica tributata agli ubbidienti davanti a Netflix, dal colloquio solipsistico coi cristalli liquidi dei condannati allo smartworking.

E che  si interroghi se questi sacrifici, queste rinunce non siano della stessa qualità di quelle richieste per mantenere saldo il sistema salvando le banche, i profitti dei grandi azionisti, le multinazionali e i gestori dei casinò finanziari, se non si tratti di abiure a diritti e garanzie richieste per assoggettarsi e contribuire a imprese coloniali, al consolidamento di primati bellici e egemonie del terrore.

Non deve stupire se la scienza ha perso qualsiasi autorevolezza di neutralità e terzietà, se la sua voce di regime Roberto Burioni, affiliato al San Raffaele di Milano, clinica privata di Don Verzè, diffida per vie legali    Maria Rita Gismondo, dell’ospedale pubblico “Sacco” di Milano, se vengono oscurati i pareri prestigiosi di  centinaia di esperti   europei, americani, asiatici, che mettono in discussione le interpretazioni e l’opportunità dei mezzi e metodi impiegati,  se solo in rete hanno circolazione i pareri di clinici che operano sul campo e che contestano le terapie applicate frutto di diagnosi inappropriate.

Ma soprattutto  se i numeri sugli infetti, i contagiati, gli asintomatici, i guariti sono inattendibili, confusi, travisati, occultati, mentre gli unici credibili sarebbero quelli che dei condannati preventivamente a morte per malasanità, per infezioni ospedaliere, cancellazione remota di prevenzione e cura, e di quelli che verranno i malconci, depressi, soli e senza sole, aria, come pare impongano le leggi di una eugenetica a rovescio.

Di solito chi azzarda una critica viene subito intercettato con la perentoria richiesta di dare, invece  delle obiezioni, delle soluzioni. Una, sempre la solita, sarebbe quella decisiva, rovesciare il tavolo e con esso il modello di sviluppo fondato sullo sfruttamento, oggi più che mai se perfino blandi riformisti come Sanders vengono messi all’indice come anarcoinsurrezionalisti grazie alla propaganda apocalittica della pandemia liberista.

Se vi dicono così, guardate che non si tratta solo di quella mesta indole alla delega che fa parte della nostra autobiografia nazionale.

È più probabile che si tratti del desiderio di stare sotto schiaffo nella convinzione che così ci si possa salvare da peggiori manrovesci, stando acquattati nella tana mediocre dell’irresponsabilità, del conformismo, della subordinazione. Allora una soluzione di sarebbe, ricominciare a pensare.