munch-632779.660x368Giuro che se sento riferire ancora una volta l’aforisma secondo il quale in cinese la parola, anzi il carattere, che sta per crisi corrisponde anche ad opportunità, non soffocherò l’istinto di prendere un’arma da fuoco. In primo luogo perché è assolutamente falso, una frase inventata negli anni ’30 sulla base di un errore interpretativo, ricicciata da Kennedy e divenuta in seguito, negli anni 90, uno degli slogan del neoliberismo, ansioso di confondere le proprie vittime dando loro  false speranze o delle facili consolazioni per la notte successiva al licenziamento. La cosa divertente è che questo motto,  diventato planetario, in estremo oriente non poteva essere spacciato come derivazione dal cinese ed ecco perciò che gli amanuensi delle conventicole mediatico -globaliste hanno fabbricato una contro balla, secondo cui crisi  deriverebbe dal greco antico ” kairos” che appunto significa opportunità. Invece crisi deriva da “krino” che vuol dire separare e che veniva usato nel senso di stato anormale e pericoloso, ma questa tattica di spacciare in occidente qualcosa che appartiene alla saggezza orientale e in oriente qualcosa che appartiene alla cultura occidentale, è pienamente riuscita diventando una reciproca bugia.

In ogni caso da krino deriva anche la parola criminale  che è perfetta per descrivere quelle politiche che ci prendono per il sedere con la dialettica crisi – opportunità che è palesemente controfattuale almeno nel senso in cui viene usata: al massimo si può dire che la crisi di qualcuno è un’opportunità per altri e nel caso specifico per le elite del potere che hanno ribaltato ogni idea di uguaglianza o semplicemente di redistribuzione del reddito, riuscendo a rastrellare una sempre maggiore quantità di risorse dei ceti popolari e persino di quelli medi. Tuttavia la falsità propalata per simulare l’appoggio di un’antica saggezza allo stato di cose attuali, contiene qualcosa di vero, ovvero che il capitalismo estremo, al contrario di quello precedente, non ha affatto bisogno di stabilità per sopravvivere e crescere, ma anzi di uno stato di crisi continua che da una parte bruci un po’ di ricchezza per alimentare il motore della speculazione e dall’altro impedisca il coagulo di lotte sociali contro i massacri di diritti e, di salari e di futuro. Così le guerre create ad arte e le rapine di risorse,  l’organizzazione e l’indirizzamento di migrazioni in conseguenze delle prime che mettono in crisi gli assetti sociali fino al limite estremo  ( si pensi alla guerra civile in atto la Lesbo e Chio e ignorata dall’informazione occidentale), i ricatti finanziari, la produzione  di sempre nuove facce politiche peraltro perfettamente intercambiabili come mattonelle  del lego,  persino la creazione, speriamo per ora solo mediatica, di pestilenze servono principalmente a questo scopo, cioè quello di far correre la gente dietro a nuove banderuole di attenzione, come ignavi inconsapevoli per impedire loro di fermarsi, riflettere e reagire a quanto sta accadendo.

Questa necessità di uno stato di crisi endemico, non è un piano, ma un modo di essere  del capitalismo finanziario e dei sui strumenti: talvolta, soprattutto sul piano geopolitico, esso è lucidamente cercato, perché il sistema non può tollerare per sua natura  antagonisti e cerca con tutte le sue forze di eliminarli, molto più spesso deriva dagli interessi intrinseci dei singoli attori e dai loro istinti: il tutto si traduce in sistema che permea ogni costrutto sociale e lo porta ad uno stato gassoso prima ancora che liquido. In realtà lo stato permanente di crisi, vuole ottenere lo scopo diametralmente opposto a quello del falso aneddoto cinese, esso non spinge ad alcun cambiamento e dunque a nessuna opportunità, ma è piuttosto come un punto zero in cui la possibilità diventa un semplice forse che rimane perennemente nell’indecisione. Altro che crisi – opportunità come credono i pesciolini nella rete della De Filippi, come ottusangoli da gossip, la crisi non fornisce altra opportunità che se stessa.