Anna Lombroso per il Simplicissimus
Oggi, martedì grasso, a ridosso delle meritate penitenze quaresimali, a descrivere percezione e stati d’animo di tutti – compresi quelli che cercano di mantenere vivi gli anticorpi della ragione minacciati da passioni ancestrali e pulsioni animali di difesa ferina del proprio territorio e della propria vita – più delle foto del personale addetto con tute e scafandri da Contagio di Soderbergh, andrebbero bene certi bozzetti e schizzi di Guardi, di Tiepolo o di Goya. Quelle, per intenderci, che illustrano il dinamismo effimero, profetico di morte, dell’attimo fuggevole: moltitudini di persone che, come larve trasportate dall’istinto e dalla passione, mettono in scena la decadenza di imperi che si credevano inviolabili, come in un theatrum mortis nel quale recitano la malinconia della caducità, del marcio e del fatiscente, il senso della corrosione, il morso del tempo e delle intemperie.
Nella Cina da dove sarebbe partito il contagio, si usa indirizzare un auspicio che contiene la cifra della maledizione: l’augurio di vivere “tempi interessanti”, una formula ripresa in questi anni da filosofi e pensatori per definire la nostra contemporaneità inquietante, conflittuale, difficile, ma che, proprio per questo, potrebbe essere stimolante, esaltante, se, sia pure per via delle maniere forti che usa il destino che fuori da noi altri ci assegnano, ci svegliassimo dall’indolenza e dal torpore nel quale ci siamo fatti sprofondare.
È che la paura, che ci viene concessa come unica passione compatibile con la crescita e la civilizzazione secondo le leggi del mercato, avendoci tolto l’altra, la speranza, che a volte, aveva ragione Spinoza, è una passione triste elargita perché nell’attesa possa scemare e avvilirsi la combattività e la ribellione, o il senso di caducità arcaica ereditata dalla egemonia confessionale, sopportabile a costo di pentimenti e penitenze, non dovrebbero farci perdere la lezione che può venire da questa odierna allegoria del progresso, un Giano che fino a oggi voleva dimostrarci di possedere solo una faccia buona, magnifica e redentiva: scoperte scientifiche, tecnologie, guarigioni e conoscenza, consumi e benessere, ma che d’improvviso rivela quella malvagia con le piaghe d‘Egitto, pestilenze, guerre e morte.
E che svela come la magnificata globalizzazione sia diventata la versione aberrante dell’apertura al mondo di cui parlavano Marco Polo, il Roman de la Rose citando la numerazione e il prezzemolo, le scoperte astronomiche e gli spaghetti, le albicocche e il tè, se ha incrementato formidabili disuguaglianze e dando forza oscura a istinti predatori, allo sfruttamento e a un delirio di onnipotenza che ci ha fatto dimenticare i limiti.
Ce ne voleva una, di morte nera, barbara e cruenta perché le altre minacce parevano intangibili, invisibili, sembrava che toccassero altri meno fortunati nel sorteggio della lotteria naturale, paesi che cambiano di continuo nome e status istituzionale nel mappamondo virtuale, popolazioni così remote che ci siamo convinti che a bombardarli siano droni che si comandano da soli, inondazioni e tsunami prodotti da fenomeni naturali, imprevedibili e incontrastabili, mentre noi e qui ci godiamo una meritata primavera precoce.
Invece potremmo imparare qualcosa da quello che succede, anche senza darci attestati di UniCusano in virologia e nemmeno di RadioElettra in materia di controlli e vigilanza, per interrogarci su quando la precarietà, che oggi ci colpisce, ricordandoci che l’unica sicurezza che ci viene offerta è quella che impone la perdita di diritti e la limitazione della libertà, di circolare, di esprimersi, di incontrarsi e di criticare, è diventata “accettabile” o addirittura desiderabile da quando è stata proposta come cancellazione di molesti obblighi, come licenza da imposizioni e comandi, tanto che una nuova generazione si sente libera di scegliere il cottimo perché organizza autonomamente orari di lavoro e tragitti per consegnare pizze a pasti a gente che lavora part time appagata di non aver mai visto il suo “caporale”. E da quando ci hanno comunicato che era una necessità ragionevole e doverosa per rimettere in moto lo sviluppo, ricordandoci che siamo tutti nella stessa barca, tutti in pericolo, lavoratori e padroni, quelli però col salvagente.
Dovremmo pensare che la confusione artificiosa e artificiale nella quale si inseguono menzogne e denunce di complotto, smentite di bugie precedenti con nuove bugie, rivelazioni a orologeria e dietrismi altro non è che il frutto di una informazione tossica che comunica solo quello che fa comodo poteri forti che tirano su le tende dei loro stanzoni agli addetti ai lavori in modo che somministrino a piccole dosi omeopatiche porzioni di realtà o le sparino a raffica, in modo da manipolare e trattare, nascondere o esagerare, manomettere o amplificare quello che è utile alla sopravvivenza dello status quo.
E che ancora una volta si rimette la questione nelle mani dei “tecnici”, nemmeno fossimo tutti sardine, dei competenti, degli stregoni, dando l’illusione di partecipare delle decisioni anche ai cretini che su Fb rivendicano di aver frequentato l’università della vita e che da esperti di rating e di spread, di moviola e canzonette si sono convertiti all’immunologia, ripristinando l’autorità indiscussa di figure qualificate promosse a venerabili maestri, possibilmente identificabili in qualità di supporter di partiti e movimenti, che se una volta la scienza rivendicava la sua “neutralità” adesso è un vanto la tessera di partito o ThinkTank, iperdotati di qualità telegeniche e di simultaneismo nei social.
E magari adesso potremmo vedere sotto una nuova luce e condannare col poco potere che ci resta, il crimine originario di chi ha smantellato l’edificio dell’assistenza pubblica, chiuso reparti, impoverito e umiliato i medici, i paramedici, il personale ospedaliero, tramutato le Asl in macchine per la corruzione e la speculazione.
Se, come pare, il problema cruciale che si pone, rappresentato da una possibile epidemia di Covid-19, non consisterebbe nell’indice di mortalità, poco superiore ad una normale influenza, ma nei tempi e nella “qualità” del decorso, che richiede ricovero ospedaliero, criteri e requisiti particolari, isolamento, allora è ovvio che il rischio vero è rappresentato dalla inadeguatezza del nostro sistema a fronteggiare una qualsiasi emergenza, ben oltre i tempi di attesa per le analisi, i casi di cronaca di cattiva sanità, i turni massacranti di personale promosso a figure eroiche.
E allora a poco servono le polemiche tra presidenti delle regioni e governo per rimpallarsi le colpe, perché è sotto gli occhi di tutti dove sta il marcio di un welfare scarnificato, impoverito, defraudato e depredato per esaltare le opportunità del “privato”, cliniche, ambulatori e laboratori, fondi integrativi e assicurazioni che in questi giorni, tutti, sono scomparsi dall’orizzonte occupate dalle responsabilità e dagli oneri, tutti, d’improvviso, in capo allo Stato, in un tardivo riscatto del sovranismo.
E infatti siccome dalla palude della tragedia all’italiana affiorano i fiori del male del ridicolo, così i governatori che esigevano fino a ieri autonomia del dare corso auna desiderabile pluralità di soggetti più privati che pubblici, malgrado i conclamati insuccessi registrati in tutte le latitudini, reclamano procedure ma soprattutto esenzioni, assistenza, aiuti del maledetto Stato padrone, recuperato in veste di padre doverosamente compassionevole, e della collettività oltre i confini regionali, riesumata in veste di popolo unito dagli accadimenti.
Purtroppo potrebbero essere tempi interessanti, ma se la morte non va in vacanza, i cervelli sembrano essere in ferie per malattia.
Io rimango sempre un po’ perplesso quando sento dire che è simile ad una normale influenza. Se davvero un quinto degli ammalatisi prende una POLMONITE non è esattamente una influenza “banale”.
Se a morire non si è trattato di persone al limite centenario, ma tra i 61 e i 77 anni, allora la questione è se siamo disposti a prenderci il rischio che a morire siano i nostri genitori o il vicino di casa gentile che tiene dietro al giardino o l’amico che è momentaneamente immunodepresso per una qualche cura perché noi “dobbiamo andare a vedere la partita” o “a fare kultura a teatrho” (che tanto fanno solo riedizioni frociofemministe di Puccini/Verdi/Rossini – neppure hanno il coraggio di farsele nuove le Opere sta banda di “intellettuali”, manco sono capaci di fare una novità arcobbalenafuxia come fu JesusChristSuperstar per i rocchettari).
Che poi sta roba si AGGIUNGE alla “banalissima influenza”, mica la sostituisce. Quindi rischio + rischio.
In Italia, 7 morti su 270 infetti significa una mortalità di oltre 2 %, siamo in linea con i dati che provengono dalla Cina, mentre la mortalità per l’influenza stagionale è del 0,1 %, e nulla autorizza a dire che il nuovo virus termini con i mesi freddi. Finalmente avete un inizio di comprensione che il punto non è mininimizzare per difendere la Cina, ma difendere la vita degli anziani e dei bambini soprattutto, puntando l’indice contro lo smantellamento della sanità pubblica, e non c’entra niente che non si sia di fronte alla peste bubbonica. Da giorni i pronto soccorso sono presi d’assalto e non vi sono posti letto per tenere la gente in osservazione, ne personale e spazi per isolare i casi sospetti, per questo poi il governo affronta il problema a livello logistico e di isolamento di interi paesi, o di chiusura di scuole ed attività sociali. I fatti hanno la testa più dura delle vostre chiacchiere
gentile anonimo se si riferisce al post che sta commentando mi pare che di “chiacchiere” ce ne siano poche e che al contrario sia data la necessaria rilevanza al fatto che l’allarme è giustificato solo dal fatto che la nostra sanità è inadeguata ad affrontare qualsiasi crisi perchè è stata impoverita per aprire varchi al sistema privato. Con colpe condivise di governi centrale e regionali, in particolare delle regioni che oggi rivendicano autonomia