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I ponti di Toko Ri

Ponti Toko RiRicordo di aver visto da ragazzino “I ponti di Toko Ri” un filmone hollywoodiano sulla guerra di Corea che mi lasciò abbastanza sconcertato perché al contrario del canovaccio solito, il protagonista, un pilota di caccia, alla fine muore anche se riesce nell’impresa di abbattere i ponti e perché non c’era la personalizzazione e demonizzazione del nemico che rimane al contrario vago e indeterminato. La cosa mi è tornata in mente leggendo del sempre maggior interesse che nella Corea del Sud suscita il sistema di Pyongyang fino alla creazione di un centro studi sul pensiero politico dell’elite nord coreana e della ricomparsa di presunti dissidenti  dati per morti dalle informative americane e copia – incollate dai  giornali occidentali che sono invece vivi e vegeti e anche in posizione di rilievo. Permettetemi di dare sfogo alla mia passione storica che almeno mi consente di allontanarmi per un momento dal verminaio contemporaneo, anche se la guerra di Corea con i suoi esiti  ha contribuito in maniera essenziale agli sviluppi successivi degli eventi.

Come ho imparato in seguito  i ponti del film esistevamo davvero ed erano quelli sul fiume Yalu, il corso d’acqua che separa Cina e Corea sul quale transitavano le truppe e i rifornimenti di Pechino che tenevano in scacco le forze americane. Furono distrutti quasi tutti, tranne quello più importante che collegava e tuttora collega ( seppure di nuova costruzione ) Dandong a Sinuiju il che non rappresenta certo un vanto per un’aviazione che aveva allora una esorbitante superiorità su quella avversaria e disponeva di centinaia di  caccia e di bombardieri di ultima generazione nonché di piloti veterani della guerra mondiale. Ma in questa storia si inserì la comparsa sul fronte di una trentina di Mig 15, pilotati da aviatori russi sotto falsa bandiera, che si dimostrarono nettamente superiori ai Sabre americani, allora la punta di di diamante dell’Usaf.  A parità di numero non c’era storia fra i due caccia perché il Mig era più maneggevole, più veloce, capace di attingere  maggiore altezza e in un tempo minore. Il 12 aprile del 1951 tutti i mig russi vennero impegnati contro una potente formazione composta da 48 bombardieri B 29, le famose super fortezze volanti  e un centinaio di caccia Sabre che avevano l’obiettivo di distruggere i ponti sullo Yalu: 25 bombardieri furono distrutti assieme a decine di caccia senza che un solo Mig fosse colpito. Fu un colpo terribile per l’aviazione americana che per tre mesi rimase a terra limitandosi ad  operazioni tattiche. Nel complesso della guerra il 176° Reggimento Aereo delle Guardie, come si chiamava la formazione russa, perse 8 piloti e 12 aerei contro 50 bombardieri e circa 300 caccia abbattuti senza contare quelli finiti in mare che non venivano contati. E di fatto anche se molti Mig pilotati da novellini coreani e cinesi furono colpiti nel corso della guerra gli americani hanno dovuto faticare non poco per nascondere i numeri che così non sono del tutto chiari: la stima più vicina che si può dedurre incrociando le varie fonti  e testimonianze è di 319 Mig abbattuti contro 1.097 velivoli americani.

Sebbene questa guerra segreta dell’aria sia del tutto sconosciuta in occidente per ovvi motivi  e semmai completamente ribaltata nelle cifre, essa fu determinante per mettere in definitivamente in soffitta il piano Dropshot, messo  a punto nel 1949, insieme alla fondazione della Nato, il quale sulla scia delle tesi di Churchill prevedeva che gli Stati Uniti avrebbero attaccato la Russia e lanciato almeno 300 bombe nucleari e 20.000 tonnellate di bombe convenzionali su 200 obiettivi in ​​100 aree urbane, tra cui Mosca e Leningrado per permettere poi un’operazione di terra e ottenere una “vittoria completa” sull’Unione Sovietica.  Secondo il piano Washington avrebbe iniziato la guerra il 1 ° gennaio 1957 molto in lò nel tempo, ma occorreva aspettare per avere in arsenale  il numero di testate nucleari necessario. Certo lo scoppio in quello stesso ’49 della prima atomica sovietica, aveva creato scompiglio e delusione tra i guerrafondai, ma il piano continuò ad essere mantenuto operativo perché comunque anche i russi ci avrebbero messo molto prima di poter avere un numero di testate sufficiente per una risposta efficace la quale comunque si sarebbe scaricata sull’Europa piuttosto che sugli Usa. A quel tempo la tecnologia missilistica era ancora acerba e tutte le strategie si basavano sui bombardieri: fu proprio la guerra di Corea con la scoperta delle insospettate capacità dell’aviazione sovietica a far tramontare definitivamente il piano Dropshot:  le strategie di attacco costruite sull’ipotesi di una debole capacità di difesa aerea dell’Urss si rivelarono incapaci di garantire l’efficacia letale del primo colpo. La vittima eccellente fu il mediocrissimo generale Douglas McArthur  che aveva suggerito un assalto nucleare alla Cina nella convinzione che l’Urss non sarebbe intervenuta e venne perciò rimosso. Strano che dieci anni dopo il vecchio generale ormai presidente della Rand Corporation suggerisse a Kennedy di non iniziare l’escalation in Vietnam.

Dunque una battaglia sconosciuta ha cambiato la storia anche se non il vizio: gli F35, aerei pensati in funzione del first strike e la cui scarsa affidabilità deriva dall’idea iniziale della sacrificabilità, non sono che gli eredi e l’equivalente di quei bombardieri del piano Dropshot, così come gli S 400 e S 500 russi sono la reincarnazione dal punto di vista della funzione dei Mig 15.   Forse sarebbe l’ora di uscire da questo incubo invece di arrendersi sempre alle ragioni della guerra.

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