Mario DraghiQualche giorno fa per la nona volta in due anni si sono presentati alla porta due emissari di una società di servizi per tentare di correggere un dato che in tutto quel lasso di tempo non erano riusciti a modificare, pur correndo regolarmente le bollette, ovviamente tutte basate sui consumi presunti e non reali visto che questa azienda come del resto quasi tutte in Italia, non sono in grado di fare rilevazioni di consumo effettivo se non una volta ogni tot anni e non intendono spendere un soldo  per adeguarsi: tanto i tribunali nel loro ambiguo aziendalismo tengono loro bordone. Questa volta i due cottimisti – e mi dispiace per loro- sono cascati male perché di fronte a tanta inefficienza avevo provveduto a cambiare gestore, cosa che  i due in realtà facevano solo finta di non sapere tanto era chiara la loro ansia di mettere a segno una qualche gabola. Fossero arrivati qualche giorno dopo avrei avuto almeno la soddisfazione di poter leggere il discorso fatto da Draghi nel 1992 sul panfilo Britannia (pubblicato in questi giorni dal Fatto, ma rimasto segreto per 30 anni) ) mentre svendeva per pochi soldi alla Goldman Sachs il patrimonio immobiliare dell’Eni ed annunciava la buona novella della messa l’asta dell’industria pubblica italiana, mostrando agli investitori i 30 denari per entrare nell’euro. Quel giorno veniva inaugurata l’era delle privatizzazioni di cui avevo sotto gli occhi una manifestazione vivente: aziende che producono solo profitto per pochi, lavoro precario di scarsa qualità per molti, paghe a limite della sussistenza per tutti salvo che per i manager strapagati, niente tecnologia, efficienza o innovazione e nemmeno produzione di qualcosa, solo un vivacchiare parassitico sulle spalle delle infrastrutture  messe in piedi in passato.

Non si può non riconoscere il totale fallimento del decalogo neo liberista di cui Draghi si fece interessato portatore  (la svendita gli valse la vicepresidenza di Goldman Sachs) in quel giorni lontani, tra l’altro in coincidenza con la strage di Capaci, ma fa impressione la stolta sicumera con la quale al tempo glorificava il mercato in quanto misura di tutte le cose e dunque  sacralizzava le privatizzazioni a cui tanto deve le sue fortune private, tanto per fare un gioco di parole e di concetti. Ciò che impressiona però non è soltanto il credo neoliberista che nella sua vulgata è da almeno due decenni la preghiera quotidiana dei media. quanto i particolari di quel discorso che sembrano un lucido piano di battaglia in vista di un nuovo ordine sociale votato alla disuguaglianza e realizzabile attraverso l’Europa. Prendiamo alcuni passi in sequenza: “La disoccupazione potrebbe aumentare come effetto della ricerca dell’efficienza sulla possibile concentrazione di mercato e sulla discriminazione dei prezzi in particolare per la privatizzazione delle utility“; “La deregolamentazione dovrà accompagnare la decisione di privatizzare“; “I mercati vedono le privatizzazioni in Italia come la cartina di tornasole della dipendenza del nostro Governo dai mercati stessi“. Una condizione quest’ultima per “stare in Europa”

In pochi passaggi si comprende come le privatizzazioni avrebbero creato una disoccupazione necessaria non solo a stare sul mercato, ma anche ad abolire i diritti stessi del lavoro come nucleo di una nuova e infame concezione a cui l’Italia avrebbe dovuto aderire per diventare totalmente dipendente dal mercato e per entrare nell’euro. Dunque, almeno in parte, le conseguenze negative non sono state una sorpresa, ma sono state messe consapevolmente messe in conto in vista di un nuovo ordine sociale di cui euro ed Europa sarebbero stati gli strumenti. Si capisce allora per quale motivo l’intervento sul Britannia pieno di cose che oggi appaiono banali  sia rimasto tanto a lungo segreto, sia stato anzi negato, salvo quando Cossiga da ex presidente della Repubblica vi accennò aggiungendo che Draghi era ” un vile, un vile affarista,. non si può nominare presidente del consiglio dei ministri chi è stato socio della Goldman Sachs  … è il liquidatore dopo la famosa crociera sul Britannia dell’industria pubblica italiana”.

Non so quale sia l’obiettivo politico anzi politicante per il quale quelle parole di un trentennio fa siano uscite oggi, né quali personaggi ci siano dietro l’operazione, ma è certo che non si tratta di arginare quelle posizioni e il disastro a cui hanno portato, ma di riproporle con un nuovo tradimento.