0678b4e3b4cc4515834b7a841acde2df-kpLG-U3160606635794w1-656x492@Corriere-Web-SezioniOggi che mi voglio riposare mi basta riportare i brani più significativi che il primo ministro iracheno Abdul-Mahdi ha tenuto in Parlamento dopo l’assassinio di Soleimani e non perché questo getti maggior luce sull’attentato di cui ormai si sa già tutto, compresi i retroscena della trappola diplomatica tesa da Mike Pompeo, quanto sull’essenza del dominio americano, ma soprattutto per mostrare come nell’agguato abbiano giocato fattori complessi che non riguardano semplicemente il conflitto Usa -Iran. Cominciando il discorso che l’ Ambasciata a stelle e strisce ha tentato di sabotare facendo mancare mancare i parlamentari sunniti, Mahdi ha fatto  un quadro della situazione parlando di come gli americani abbiano rovinato il paese e si siano poi rifiutati di completare i progetti di infrastrutture e reti elettriche a meno che non gli fosse stato promesso il 50% delle entrate petrolifere. “Questo è il motivo per cui ho visitato la Cina e ho firmato un importante accordo con loro per intraprendere la costruzione. Al mio ritorno, Trump mi ha chiamato per chiedermi di rigettare questo accordo. Quando mi sono rifiutato, ha minacciato di scatenare enormi dimostrazioni contro di me che avrebbero posto fine alla mia premiership”. Manifestazioni contro di me si sono infatti materializzate e il presidente mi ha chiamato di nuovo per minacciare che se non avessi ottemperato alle sue richieste, avrebbe fatto in modo che i cecchini dei Marine su alti edifici prendessero di mira manifestanti e personale di sicurezza allo scopo di farmi pressione ( una tattica usata a Maidan servendosi della truppaglia nazista ndr) . Ho rifiutato di nuovo e consegnato le mie dimissioni. Fino ad oggi gli americani insistono nel ritirare il nostro accordo con i cinesi”. 

Soprattutto, ha proseguito il primo ministro, la Casa Bianca non voleva che si parlasse con gli iraniani e questo in un momento in cui l’ Arabia Saudita ” stava inviando una delegazione a Washington per sollecitare la moderazione con l’Iran a nome degli stati del Golfo”. In poche parole la regione mediorientale stava cercando di evitare nuovi conflitti  conflitti nella sua area, cosa che evidentemente non sta bene agli Usa che si avvantaggiano invece di uno stato di guerra endemico. Perché? Il discorso di Abdul-Mahdi ci mette sulle tracce di un ragionamento più complessivo. Sebbene grazie al petrolio da fratturazione per ora gli Stati Uniti non siano più costretti ad importare oro nero, non possono permettere che esso sia venduto in divise diverse dal dollaro perché è proprio questo il motivo per cui la valuta verde conserva lo status di riserva globale, il che permette loro di accumulare debiti stratosferici e di mantenere in piedi una macchina bellica globale. Ora Venezuela, Russia, Iran, Iraq, Qatar e Arabia Saudita costituiscono insieme la stragrande maggioranza delle riserve di riserve energetiche nel mondo e i primi tre paesi  hanno un rapporto stretto con Pechino, oltre ad annoverare tra loro una potenza multipolare di primo piano. Come se non bastasse l’ Arabia Saudita è il maggior esportatore di petrolio verso la Cina che è anche il suo maggior cliente: dunque al di là dell’amicizia con gli Usa e con Israele esistono rapporti oggettivi di potenziale vicinanza con  l’ex celeste impero e non potranno essere ignorati per sempre. E questo vale anche per Irak e Qatar che nella muova via della Seta vedono un’occasione di rinascita nell’ambito di equilibri più amichevoli e meno servili. A questo punto senza suscitare guerre, contrapposizioni, pseudo rivoluzioni arancioni, senza organizzare  formazioni terroriste e produrre  terrorismo in proprio  sarebbe fatale per il dollaro perdere la sua posizione centrale e con questo allontanare per sempre essa ogni possibilità di dominio universale. Abdul-Mahdi on ha fatto altro col suo discorso che arrivare alla radice dell’assassinio di Soleimani, che è in realtà ha la specifica motivazione di creare altro caos e di invertire la costante perdita di influenza nella regione che è figlia dei fatti prima ancora che delle intenzioni. 

Non si tratta solo di evitare una saldatura della fascia sciita dal Golfo persico al Mediterraneo, che l’assassinio di Soleimani potrebbe paradossalmente favorire per l’odio che sta suscitando, ma di una posta ancora più grossa.