591x394xlibia_turchia_truppe,P20diretta,P20oggi,P20ultime,P20notizie_03083938.jpg.pagespeed.ic.QrA2xfN9fYL’annuncio di Ankara su un possibile invio di truppe turche in Libia è per noi quasi un’allegoria della disfatta totale del Paese nella politica mediterranea: magari le nuove generazioni non lo sanno, non ne hanno la minima idea, ma lo scatolone di sabbia fu conquistato nel 1911 proprio facendo guerra alla Turchia del cui impero facevano parte Tripolitania e Cirenaica: ora questo ritorno dei sultani riporta simbolicamente indietro l’orologio di oltre un secolo. Con la Libia abbiamo fatto di tutto e sempre mancando la misura e la dignità: solo nell’ultimo decennio potremmo annoverare prima la sceneggiata delle tende di Gheddafi  a Roma e poco dopo l’acquiescenza assoluta verso la guerra dei “volonterosi” contro il leader libico, primo atto della tentata conquista americana del medio oriente con Francia e Gran Bretagna scalpitanti per prendersi le briciole. Insomma ci siamo piegati fino al ridicolo di fronte a Gehddafi perché facesse da scudo all’ondata migratoria con i lager nel deserto, poi abbiamo permesso che il nostro partner più importante dell’area mediterranea venisse aggredito e distrutto perdendo così le rendite di posizione in quel Paese.

Il fatto è che da troppo tempo non abbiamo alcuna politica estera la quale potrebbe essere efficacemente sostituita da un disco che ad ogni azione americana o francese o tedesca o britannica dica sissignore con voce gracchiante. Anzi potremmo dire che essa si è definitivamente arenata con la morte di Enrico Mattei che aveva tentato di costruire un commonwealth mediterraneo del petrolio al di fuori del diretto controllo di Washington e delle altre capitali europee in funzione anticoloniale. Anzi in un qualche modo Gheddafi era una creatura di quella stagione italiana: le cronache ricordano la lontana notte del 26 aprile 1962 quando al Motel Agip di Gela Mattei incontrò rappresentati egiziani, libici, tunisini, algerini e marocchini, una specie di consiglio del Magreb allargato per favorire un colpo di stato contro il Re Idriss che su consiglio americano e francese (era appena finita la guerra di Algeria) aveva escluso l’Eni dalle ricerche petrolifera in Libia, riservandole esclusivamente alle sette sorelle dell’oro nero e in particolare ad Esso e Occidental. Si favoleggia che a quella riunione abbia partecipato lo stesso Gheddafi, cosa abbastanza improbabile, ma sta di fatto che quando il colonnello conquistò il potere sette anni dopo, l’Eni trovò le porte aperte, anche se Mattei era stato assassinato il giorno dopo la fatidica riunione.

Un effetto che si è verificato a posteriori, ma che è intervenuto quando ormai la politica estera italiana si stava estinguendo. Oggi per venire fuori dallo scacco libico avremmo bisogno di aprire un dialogo sia con Mosca che con Ankara che sono i due punti di contatto più importanti in questo gioco visto che solo Putin, il quale ha pure forti interessi in Libia è in grado di moderare le ambizioni di Erdogan il quale non sta facendo altro che riempire lo spazio vuoto lasciato dall’Italia. Solo attraverso queste linee di intesa e scontro allo steso tempo sarà possibile tenere a freno le ambizioni francesi e quelle e più geopolitiche degli Stati Uniti, senza fare inutili valzer tra Haftar e Al Serraj che alla fine non portano a nulla. Ma questo non ci è reso possibile né da Washington né tanto meno dall’Europa, circostanza questa che non viene messa in rilievo dai pochi commentatori che tentano di dipanare l’intricata a matassa libica senza affrontare il discorso eclusivamente in chiave migratoria e onghista che in questo senso é solo marginale (e dimenticando che è proprio l’ipocrita Bruxelles a rifornire i libici di corposi finanziamenti per fermare  migranti). In realtà l’inerzia durata troppi anni  rende impraticabile ciò che sarebbe necessario ed è ancor meno probabile con i governi della domenica che ci ritroviamo, senza testa e senza palle.