arrestonicolettadosioL’anno finisce come si merita: con un ennesimo crollo sulla rete autostradale attorno a Genova e con la militante No Tav Nicoletta Dosio arrestata e portata nel carcere delle Vallette, nonostante abbia 74 anni e la sua colpa sia solo quella di aver occupato per mezz’ora un casello autostradale 8 anni fa. Entrambe queste cose messe assieme danno una’idea assolutamente realistica di che cosa sia effettivamente la libertà al tempo della peste neoliberista: un’illusione. Gente che ha procurato per incuria e profitto una strage con oltre 40 vittime non solo rimane nelle proprie lussuose magioni, ma continua tranquillamente a detenere quelle concessioni così mal meritate e viene difesa a spada tratta  dalla Confindustria che proprio alla fine del 2019 ha la faccia di bronzo di dirsi “preoccupata” per la possibilità che le concessioni, evidentemente considerate alla stregua di feudi intoccabili, possano essere revocate anche se non vengono rispettate le obbligazioni e persino in caso di strage.

Se una cosa simile si fosse verificata a Hong Kong o in Venezuela avremmo le prime pagine dei servi da penna e da tastiera riboccanti di indignazione, ma quando si tratta di difendere un sistema che ha fatto della totale diseguaglianza economica, politica, giuridica, il suo fine ultimo, ecco che la musica cambia e tutto rientra nell’ordine naturale delle cose, nella giusta misura. Anzi costoro sembrano persino felici di esalare lo spirito vendicativo con cui le cosche politico affaristiche delle grandi opere infieriscono sui loro avversari. Questo è quanto accade nell’intero occidente, ma da noi assume caratteristiche talmente chiare, vergognose, esplicite che c’è da domandarsi come il Paese non insorga contro i suoi mezzani politici e anzi trovi la voglia di riempire le piazze in appoggio a tutto questo, facendole puzzare di pesce marcio nemmeno buono per il gatto.

Quando parlo di vendicatività so quel che dico perché è ben noto che dopo i 70 anni per legge non si può andare in carcere e anzi si può essere liberati ed espiare la pena “nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza” se per caso si fosse già nelle patrie galere. E’ vero che la Dosio ha rifiutato questa misura, nonostante le spetterebbe di diritto, ma di certo il sistema giudiziario potrebbe trovare qualche appiglio per evitare il carcere. Ammesso che una condanna a un anno di reclusione (per un danno stimato di 770 euro) non implichi la quasi automatica applicazione della condizionale, cosa che si fa regolarmente con fior fior di mafiosi, assassini  e di corrotti. In realtà se il codice formale prevede pene relativamente piccole per questo tipo di reato, quello materiale asservito al potere considera l’opposizione a una grande opera inutile un gravissimo delitto contro l’ordine costituito, addirittura terrorismo contro la cupola del potere reale. Se volessimo metterla su questo piano l’interruzione di pubblico servizio per mezz’ora provocato dalla Dosio è niente in confronto alle centinaia di migliaia di ore di interruzione dovuti alla scarsa manutenzione delle autostrade dei Benetton – Atlantia. Se fosse solo per questo e non solo per la strage del ponte quanti anni si dovrebbero beccare? Invece per Nicoletta Dosio è arrivata la detenzione proprio in tempo per fare capodanno in carcere, altro segnale di “trattamento particolare” che vuole colpire non tanto i fatti quanto le idee, la dissidenza che va giustamente punita con il gulag.

La giustizia non è ingiusta per gli errori giudiziari che possono sempre accadere o per le leggi incoerenti, cosa quasi ovvia in un Paese divorato da una corruzione talmente pervasiva da farsi norma o prassi legale, è ingiusta principalmente per il fatto che i suoi stessi meccanismi smentiscono di essere uguale per tutti: severa, implacabile, puntigliosa con i deboli, comprensiva e timida con i forti.