Non c’era bisogno della sfera di cristallo per sapere come sarebbero andate le elezioni in Gran Bretagna: la questione della Brexit si era infatti radicalizzata da quando agli inglesi era risultato chiaro che i loro rappresentanti volessero, per l’ennesima volta in questo continente, ribaltare il risultato del referendum e annullare in qualche modo la separazione dall’Ue o attraverso il Parlamento oppure riproponendo la consultazione fino ad avere il risultato sperato. Vittima di tutto questo è stato il Partito Laburista che, inizialmente, grazie alla nuova radicalità impressa da Corbyn, era stato favorevole all’uscita da un’unione che si rivelava sempre più conservatrice, avendone anche un notevole guadagno elettorale, ma in seguito si è abbandonato a una ambigua incertezza sul tema finendo per ottenere una sconfitta di proporzioni storiche figurando tra quella parte di ceto politico che se ne infischia della volontà popolare. La cosa va comunque spiegata meglio: quando Cameron volle il referendum sull’uscita lo fece esclusivamente per avere maggior libertà contrattuale con la commissione di Bruxelles, ma non si aspettava che il Si vincesse davvero, voleva soltanto portare al tavolo delle trattative una consistente minoranza di inglesi decisa ad andarsene per spaventare la commissione e ottenere maggior spazio di manovra. In questo modo la intesero anche i Laburisti i quali speravano di poter stappare regole diverse di bilancio meno draconiane e così rilanciare la politica sociale.
Quando gli inglesi si pronunciarono a sorpresa per l’uscita, finirono per spiazzare tutti i partiti come galline nel pollaio quando arriva la volpe, ma mentre tra i conservatori è prevalsa mano mano l’idea che bisognava cavalcare la tigre e premere su quest’acceleratore per conquistare una maggioranza che mettesse in cassaforte lo stato antisociale di stampo neoliberista, i Laburisti non sono stati in grado di prendere una chiara posizione ondeggiando continuamente attorno a un “ni” che si è concretizzato nella proposta di un nuovo referendum, finendo così per scontentare i propri elettori che volevano uscire, ma anche quelli che invece volevano rimane nella Ue, sia pure in posizione defilata. Ancora una volta questo feticcio dell’Europa causa danni e riesce a sostenere la causa della reazione persino quando si tratta di andarsene. D’altro canto la questione riguarda soltanto gli assetti delle elites e le geopolitiche, ma non certo la classe lavoratrice che ha disertato le urne dei laburisti e certamente non senza ragioni: tutta la caduta dello stato sociale, dei salari e l’assunzione della precarietà come modello di lavoro si è svolta con la Gran Bretagna nell’Europa, anzi è stata potentemente supportata da quest’ultima soprattutto nella fase blairista: quale credibilità poteva avere la radicalizzazione corbiniana con questo combattuto attaccamento alla Ue?
Alla fine si è spontaneamente creata l’idea che non ci fosse poi molta differenza tra le formazioni politiche in relazione alle questioni sociali: non è infatti molto credibile chiedere un cambiamento radicale delle cose in favore del lavoro e contro la disuguglianza che nasce dall’accumulazione di capitale senza quasi più redistribuzione e nello stesso tempo traccheggiare per rimanere dentro un un’unione che fa proprio di questo la sua ragion d’essere costringendo i bilanci dentro regole, palesemente assurde e costruite proprio per questo, che non permettono politiche sociali e privatizzano tutto. E’ chiaramente una posizione insostenibile o sostenibile solo dallo strato borghese e garantito di queste sinistre convertite. Del resto questa è la ragione per cui la mania europeista ha di fatto distrutto tutta la sinistra europea anche perché è del tutto evidente che le ragioni del lavoro contro quelle del capitale hanno più forza dentro i singoli Paesi dove il peso del consenso ha un’efficacia ben superiore a quella che può avere nelle ambigue governance elitarie sovranazionali e ricattatrici. E’ quasi elementare, ma l’effetto di questo errore è stato devastante permettendo che questi temi venissero cavacalcati da altri così da alimentare una dialettica politica che in un modo o nell’altro è tutta alla fine dentro i dogmi del sistema.
Ma invece di cercare d comprendere cose così evidenti ci si rifugia in fantasie perverse e ridicole che partendo dai supposti sfracelli che la Brexit avrebbe provocato all’economia inglese insinuate dai soliti sedicenti esperti che da anni annunciano un disastro immaginario, naturalmente dietro pagamento, ha come punto di arrivo stravaganti fesserie, come per esempio l’apertura di sottoscrizioni per i poveri bambini inglesi colpiti dalla Brexit. La sterlina si rivaluta, ma come fanno questi poveracci a rinunciare al loro minimo mondo così ordinato e così disperatamente ottuso? Tutto fa brodo per diffondere paure insensate perché nessuno osi alzare la testa, anche quando per puro caso ce l’abbia.
E’ proprio lo scalpo della sanità pubblica che il simpatico Boris ha offerto agli sponsor di Trump, da mettere sul piatto del prossimo patto commerciale anglo-americano, per bilanciare l’uscita di Londra dal mercato comune europeo.
Tradotto: le cure che oggi sono gratuite, domani costeranno un sacco di soldi, come negli Usa.
Assicurazioni sanitarie: un business clamoroso. «La Brexit non è mai stata nient’altro che questo: un assalto del neoliberismo al welfare britannico, che è ricco e fa gola al business privato», dice Moiso. «E mi meraviglio che Salvini non se ne sia accorto: scrive “go, Boris”, sul Twitter, e non sa che a farne le spese saranno gli inglesi, a cominciare dai meno abbienti».
https://www.libreidee.org/2019/12/moiso-spiegate-a-salvini-che-gli-inglesi-perderanno-la-sanita/
Sempre interessante e analisi sempre puntuale. Anch’io penso che Corbyrn abbia fatto un errore sulla brexit, però non credo che sia soltanto per quello che abbia perso. C’è anche una società inglese che è storicamente differente e un sistema di relazioni e di radicate convinzioni sociali che il cambiamento è sempre visto con molto disgusto. L’Inghilterra non è mai stata europea, è un Paese a sè, c’è sempre l’idea del grande Impero britannico che governava il mondo, un senso di superiorità culturale, storica, di cui bisogna tener conto, per cui l’inglese piuttosto che cambiare, sceglie di per sè il vecchio, ciò che gli dà sicurezza, in cui sono racchiuse le sue vecchie certezze.
“perché è del tutto evidente che le ragioni del lavoro contro quelle del capitale hanno più forza dentro i singoli Paesi dove il peso del consenso ha un’efficacia ben superiore a quella che può avere nelle ambigue governance elitarie sovranazionali e ricattatrici.”
Vero!
da un poco di tempo anonimo si sta dedicando a commentare con commenti minimi ciò che commmenta, neanche piu i graditi video sui manager che bullizzani i dipendenti, forse le forze lo abbandonano, potrebbe essere indicata una qualche cura ricostituente…
Jorge invece continua a sciorinare le sue roboanti teorie (pseudo) comuniste … perseveri Jorge perseveri prima o poi otterrà qualche risultato, magari Non quello che vorrebbe Le , ma un risultato lo otterrà comunque… vedo che di tanto in tanto interrompe i suoi sproloqui ( pseudo comunisti…) per argomentare ad personam, complimenti, sta facendo progressi.
Un post approfondito, grazie della lettura 🙂 personalmente sono un’estimatrice dell’inghilterra, delle opportunità che è stata in grado di offrire fino ad ora, ma con la Brexit sto cambiando opinione… certo è che la crisi del sistema politico di sinistra non è un caso isolato, sono stati semplicemente bravi a cavalcare il malcontento degli inglesi