wikitesti-enciclopedia-06Anna Lombroso per il Simplicissimus

C’entra di sicuro Berlusconi nel processo che ha condotto alla sostituzione di Gramsci con De Andrè, alla normalizzazione di poeti maledetti collocati a corredo di micetti sui profili dei social. La più orecchiabile delle operette morali del cantautore genovese vive una nuova popolarità anche tra le quote rosa – che esultano perché un donna ha rotto il soffitto di cristallo, lei stessa lo ha rivendicato proprio come una qualsiasi nounadimeno, salendo all’autorevole soglio di presidente della Corte Costituzionale – benchè esalti la libertà sessuale sotto forma di amore a pagamento con ossi sottratti alla proprietà esclusiva di cagnette.

Il rinnovato consenso è effetto di quella rivincita dell’amore appunto, proprio come ai tempi del partito del cavaliere che lo contrapponeva all’odio appannaggio dei comunisti, e oggi esemplarmente incarnato da creature innocenti, energiche e dotate di quella leggerezza calviniana che le fa preferire ai cupi inquilini dei centri sociali e dei No Muos da un pubblico di mezza età pronto a abbandonare il tempo di una gita entro la porta il mouse, la tastiera e il telecomando che li aiuta a pensare di essere ancora classe privilegiata perché il fa eccedere a Netflix a poco più di 5 euro al mese, a militare sui social, a bannare chi non è d’accordo manco fossero degli odiatori seriali.

Perché c’è una frase del testo: si sa che la gente da buoni consigli se non può più dare il cattivo esempio, che si riferisce a zitelle invelenite e inappagate, ovviamente per la mancanza di eros coniugale con annessa procreazione, che è diventata lo slogan da sbandierare contro chi continua, con la tenacia dei cretini che non vogliono cambiare casacca o dei rincoglioniti,  a pensare che tutto questo amore abbia come intento il contrasto all’unica forma di odio che la società non autorizza, quello di classe, perché è diventato proprietà e esercizio esclusivo di quella lotta  alla rovescia, quella di chi ha e vuole avere sempre di più ai danni di chi ha avuto poco e deve per destino, per nascita o per le regole dell’economia e del mercato assurte a leggi naturali, avere sempre meno.

È gente poco simpatica infatti, quella,  legata alla memoria del buon esempio dei partigiani che magari ha avuto in famiglia e intorno e che pensavano appunto che quella guerra che stavano conducendo anche con una buona dose di amore per chi sarebbe venuto dopo di loro e di odio per chi voleva condannarli a un futuro umiliante e umiliato, povero di beni, di istruzione, di dignità e bellezza, non era solo una lotta di liberazione da un invasore o da un regime che oltre all’olio di ricino aveva elargito lacrime e sangue, ma di liberazione dallo sfruttamento, dalla speculazione, dalla corruzione, quella delle mazzette e quella delle leggi promulgate per perpetuare privilegi, iniquità e differenze, e che ha dato vita a quella Costituzione che non piace a quella entità sovranazionale che pretende di comandarci imponendo la cessione della sovranità dello Stato e  del popolo, perché troppo intrisa di valori sovvertitori e socialisti, quelli appunto della Resistenza.

È gente che non ha il giusto appeal per essere invitata a un apericena, musona, in quanto frustrata e repressa perché avrebbe inanellato una catena di insuccessi e fallimenti, ben rappresentati dalle piazze semivuote nelle quali ha manifestato tetramente insieme a altrettanto mesti operai delocalizzati, precari ricattati, commesse dei supermercati che hanno strappato due ore a turni obbligatori anche la domenica e a Natale, a molesti nostalgici dell’articolo 18 che non gradiscono le nuove frontiere aperte dal Jobs Act, gente insomma affetta da negatività e disfattismo, sempre “contro” non solo contro Salvini, così invisa per il suo nichilismo da essere condannata a essere conferita nella  discarica del populismo e del sovranismo.

Si tratta di un target che a ben vedere si merita la penalizzazione inflitta da una modernità della quale non sa  godere i frutti, vuoi per poca ambizione, per scarse determinazione e spregiudicatezza, per ininfluenti protezioni, per censo e collocazione dinastica miserabili e per la poca attitudine a fidelizzarsi in organizzazioni che hanno saputo realizzare la compatibilità apparente degli interessi egemonici del ceto privilegiato e la sopravvivenza di una larga fascia impoverita sì, ma che ha conservato una “relativa agiatezza”, uno status che qualcuno ha chiamato condizione “signorile di massa”, che fa da contrasto, e dunque garanzia di superiorità,  rispetto a quella di alcuni milioni di immigrati e di italiani ridotti in miseria e semi schiavitù, che non hanno voce se non come vittime da esibire in occasioni pubbliche.

La loro eterna scontentezza merita l’isolamento se non gradiscono di dare la loro delega in bianco a soggetti competenti, se non sono gratificati dell’appartenenza a quelle cerchie di creativi dinamici e cosmopoliti, che sanno cogliere la sfida della modernità a suon di grandi opere e start up, di presenzialismo a grandi eventi, di master e Erasmus come parcheggi graditi per procrastinare responsabilità e impegno, di una libertà interpretata come la licenza concessa di organizzarsi percorso e orario delle consegne a  domicilio per Foodora.

Eh sì, sono pieni di acrimonia, soprattutto nei confronti dei giovani  costretti a guardare con trepidazione e fiducia a quelli come Macron che vogliono introdurre criteri di equità “intergenerazionale” per impedire che le risorse del sistema pensionistico maturate in anni di lavoro vadano a beneficio solo degli anziani, come dimostrano le meravigliose opportunità e le garanzie di sicurezza contro la precarietà offerte dalla Legge Fornero e dal Jobs Act in Italia.

Patetici avanzi dell’internazionalismo, non si accontentano di solidarizzare come altri più illuminati e selettivi, con chi manifesta a Hong Kong e in Iran, ma pure con chi è in piazza in Bolivia, in Cile, in Venezuela, con la sinistra antifascista in Ucraina e in Lettonia. E pure con i nigeriani di Firenze, colpiti da provvedimenti bipartisan di tutela della sicurezza minacciata da poveri neri e bianchi, applicati con entusiasmo dal sindaco sceriffo, con quelli di Rosarno, esclusi dai benefici dalle misure di contrasto intermittente  sul caporalato benedette dalla relatrice della Legge Fornero e pronuba degli “accordi” per Almaviva, pastori sardi, Gepin, con i veneziani che protestano per aver subito la corruzione e i furti a norma di legge, con chi ostinatamente si batte per non subire il ricatto della scelta tra posto o salute, con chi denuncia l’occupazione militare della sua terra e le svendite dei beni comuni.

Sono ostinati se ancora si chiedono: ma se l’obiettivo è far cantare Bella Ciao a tutti compresa Casa Pound bene accolta se fa atto di abiura, perché non siete venuti a intonarla in tutti questi anni con noi, che lo vedevamo bene il fascismo rimasto, presente e futuro?