CarpanoE’ veramente strano che mentre i servitori più zelanti e ottusi dell’Europa oligarchica si straccino le vesti per evitare che il governo metta un veto ai cambiamenti nel Mes, inaugurando le più incredibili  giustificazioni a fianco delle mistificazioni rituali, debba essere Wolfgang Munchau editor del Financial Times e personaggio influente del milieu di Bruxelles e di Berlino a dire che per l’Italia sarebbe una follia rinunciare a mettere il veto sul nuovo meccanismo di stabilità, così penalizzante per il Paese  e che se lo facesse non succederebbe nulla di ciò che viene paventato. Il ragionamento è semplice, lineare, realistico e non intriso delle perenni ipocrisie dell’europeismo di maniera: l’Italia è troppo grande perché la si possa far fallire e quindi anche le vendette dell’oligarchia devono tenere conto di questa realtà, sono minacce con scarso contenuto. D’altro canto anche al di là della questione Mes, porre il veto è finalmente l’occasione “per riequilibrare  le strutture di  potere della zona euro, che sono molto sbilanciate a favore dei creditori” anche a causa del fatto che il nostro Paese “ha una lunga storia sull’ accettare leggi Ue contrarie al proprio interesse nazionale, come il fiscal compact…”.

La cosa, detta da uno dei padri predicatori dell’europeismo economico,  è talmente evidente che suscita immediatamente l’interrogativo su questa passività che, ben lontana dal favorire una reale integrazione, facilita e asseconda il suo esatto contrario, ovvero lo sviluppo dell’egemonia e della disuguaglianza non solo sul piano sociale, ma anche tra Paesi. Per quale motivo la classe politica nel suo complesso ha mostrato questa abulia suicida nei confronti dell’Italia e dei suoi interessi vitali? Qui non si tratta solo degli errori e dei mal riposti miraggi del passato e nemmeno della sciocca perseveranza in essi, non solo della forza residua delle illusioni o ancora di quella sostituzione ideologica che è avvenuta nella sinistra rimasta orfana dell’Urss: c’è qualcosa di più radicato in questo atteggiamento rinunciatario, in questa rassegnazione. del ceto politico italiano nel suo complesso. Io la chiamerei una crisi di legittimità che spinge quasi inconsciamente ad abbandonarsi ad altri poteri sovranazionali, a volersi fare semplici amministratori cui spetta soltanto una funzione esecutiva. La legittimità è qualcosa di più complesso del semplice potere, è qualcosa che secondo i politologi borghesi dell’inizio del secolo scorso, da Gaetano Mosca a Max Weber, è qualcosa che ha che fare non soltanto col  perseguimento  di motivi motivi razionali rispetto allo scopo, ma ha anche una base morale, di prestigio e di esemplarità, quanto mai necessaria quando la politica deve passare attraverso il consenso. Tutto questo è venuto meno con lo choc di mani pulite seguito alla caduta del muro, due eventi assai più collegati tra di loro di quanto non si sia portati a pensare e che ha completamente mutato  stravolto il quadro politico.

A dire la verità la questione risale alla fine del secondo conflitto mondiale quando in pochi anni furono marginalizzate le ragioni della Resistenza e controllate strettamente le forze democratiche nell’ambito di una logica che vedeva il Paese come semplice pedina del gioco geopolitico. Per decenni la scarsa legittimità dell’ensemble politico è rimasto celato dalla divisione bipolare del mondo e dalla sua riproduzione domestica tra la maggioranza democristiana e l’opposizione social comunista. E’ vero che la sperimentazione del centro – sinistra costituì un eccezione, un tentativo di riscatto da questa condizione e tuttavia fu ben presto chiaro che la formula era praticabile solo nella misura in cui le forze di sinistra si adeguavano alle tesi e alle visioni del capitalismo in procinto di diventare ultracapitalista. Quando questa tensione venne meno e giunse  la fine del bipolarismo e con la quasi contemporanea apertura del vaso di Pandora della corruzione e dei comitati d’affari, questo sistema politico ha dovuto cercare altrove le ragioni  della propria legittimazione profonda, qualcosa che andasse al di là delle ondivaghe leggi elettorali tra la sponda maggioritaria e quella proporzionale alla ricerca di una stabilità politica che poteva essere garantita solo da una rinnovata legittimazione del sistema. Qualcosa che andrebbe posto come premessa visto il clamoroso fallimento dei tentativi di rinnovamento.

E’ anche per questo che non riusciamo ad essere partecipi dell’Europa, ma solo subordinati da essa n modo suicida nella speranza che sia la altrui legittima a garantire la nostra ormai tarlata da troppi vizi, troppo a lungo praticati