A leggere i giornali e a guardare le televisioni non sembrerebbe che vi sia stato un golpe eppure è così: quando un presidente del consiglio non eletto dà l’assenso a un trattato di enormi conseguenze per il Paese e per i cittadini come il Mes, senza darsi pena di informare ufficialmente il Parlamento anzi ignorando una risoluzione contraria della maggioranza parlamentare, significa che siamo ormai in un territorio incognito nella quale non sappiamo più quale sia la forma dello Stato. Samo in una repubblica parlamentare o presidenziale? Siamo in uno stato di diritto o tra briganti al servizio di qualcuno che fanno ciò che vogliono ignorando la Costituzione e la democrazia? Qui non è tanto questione di Conte, uomo per le brutte stagioni e avanzo di sacrestia di tale portata da essere coinvolto in prima persona nei sotterranei finanziari del Vaticano, perché siamo di fronte all’epilogo di 30 anni di vicende che hanno tarlato senza speranza le istituzioni e la pratica pubblica.
Non si tratta di una storia tutta italiana, l’assalto ai diritti e quindi allo stato di diritto da parte del sistema neoliberista è un fatto generale che ha reso difficile se non impossibile sviluppare da noi anticorpi efficaci contro la putrefazione della repubblica avvenuta spesso nella farsa e nella corruzione. Basti pensare a quanto e con quale successo i detentori del potere privato cerchino di creare per loro un’area di immunità che sia al di sopra della legge: la vicenda dell’Ilva che Arcelor Mittal vuole comprare solo a patto di poter avvelenare l’ambiente nel quadro di una assoluta impunità penale è un caso di scuola, ma anche la difficoltà a revocare le concessioni autostradali a Benetton – Atlantia, nonostante le decine di vittime provocate dall’incuria e i continui disastri sulla rete viaria costituiscano una drammatica evidenza per la rescissione del contratto. Del resto questo è quanto accade anche altrove se si pensa che di recente il Consiglio europeo ha deciso che le banche, per la vendita dei beni pignorati non dovranno più adire ai tribunali, ma possono servirsi di procedure extragiudiziali. La tendenza generale è in sostanza quella di bypassare il terzo potere sul quale si fondano gli stati democratici, ovvero quello giudiziario, il più resistente all’azione delle oligarchie.
Non bisogna stupirsene: questo assalto è già stato dato con alcuni accordi commerciali tipo Ttip, alcuni dei quali già in atto in Nordamerica, che sposta gli eventuali contenziosi, derivanti per esempio dall’approvazione di leggi per la tutela dell’ambiente e magari non gradite a qualche multinazionale, dai legittimi tribunali a giurì composti da lobbisti. Il caso Conte e del suo assenso su un documento non votato in Parlamento e anzi a dispetto del Parlamento che aveva dato invece parere contrario, si inserisce in questa logica complessiva nella quale si tenta di sterilizzare anche il potere legislativo lasciando in piedi solo quello esecutivo. Quanto poi agli imbecilli o ai servi che dicono che tanto il Mes (vedi qui) non verrà mai chiamato a depredare il Paese ecco che arriva fresca fresca la voce del padrone sotto forma di un pizzino mandato dal capo economista della Deutsche Bank, David Folkerts-Landau, che sulle pagine del Financial Times dice invece che esso deve essere immediatamente applicato: per evitare “un’altra crisi del debito sovrano nell’ area euro dovrebbe essere coinvolto il Meccanismo europeo di stabilità”. Forse questi non si sono accorti che il nuovo Mes permette ad altri stati europei di decidere a maggioranza la ristrutturazione del debito italiano con enormi perdite dirette per i cittadini e innescando così una crisi greca al quadrato. E questo dentro una confusione inimmaginabile, dentro un sistema politico diroccato nel quale partiti come il Pd ferocemente contrario alla riforma del Mes quando si trovava all’opposizione oggi fa il tifo a favore; per non parlare dei Cinque Stelle e che ha seguito la stessa miserabile traiettoria e oggi fa menare il can per l’aia a Di Maio. Tutti comunque subornati dai poteri europei che sono ormai uno strumento di egemonia.
Ad ogni modo preparatevi a essere derubati di 1000 miliardi e a consolarvi con le solite formule del messale eurpeista perché ormai il sistema politico è marcio fino al midollo, per metà zombi e per metà comprato, l’erede di una storia sbandata dal quale non ci si può attendere nulla.
Mi sono fermato a “presidente del consiglio non eletto”. Invalida tutto il resto, per crassa ignoranza o per malafede.
Inno della DDR
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=DTV92wqYjfA&w=480&h=360%5D
Il neoliberismo non si limita a dividere, ad “atomizzare” i membri del corpo sociale, ma li mette in competizione tra loro.
“In base ai principi e alla prassi del pensiero unico e del liberismo imperante, lavoratori e imprese sono soggetti che trattano tra loro alla pari; i primi non hanno bisogno di tutele – sempre e comunque distorsive del mercato – più di quanto ne abbiano bisogno le seconde. Inoltre, nei rapporti tra lavoratori assimilati a imprese individuali deve vigere la piena concorrenza: ogni lavoratore, o potenziale lavoratore, deve considerarsi in competizione con tutti gli altri per accaparrarsi un posto di lavoro – o un lavoro – o per realizzare un progresso di carriera a spese dei suoi colleghi o compagni; o per difenderlo a spese degli altri se sono in vista dei licenziamenti o dei ridimensionamenti produttivi. Questa competizione di tutti contro tutti è il rovesciamento integrale del principio di solidarietà su cui è stata costruita l’intera storia del movimento operaio.
La trasformazione del lavoro in impresa e del lavoratore in imprenditore di se stesso non riguarda solo l’universo sempre più ampio del lavoro precario, delle partite Iva, vere o false che siano, delle collaborazioni, dei contratti a termine, ma investe lo stesso lavoro dipendente a tempo indeterminato (quando ancora c’è), dove ogni lavoratore viene messo in competizione con gli altri all’interno della stessa impresa e valutato in base al “capitale umano” di cui è detentore.”
http://www.mitbestimmung.it/guido-viale-che-cose-il-lavoro-nella-societa-dominata-dal-capitalismo-finanziario/
Complimenti per l’intervento davvero interessante. In un punto parli “delle masse popolari ormai ridotte ad individui atomizzati”; poi parli della lotta di classe.
Ma con quale materiale umano pensi sia possibile attuare una lotta di classe? Non lo chiedo provocatoriamente, non fraintendermi. In una relazione, non ricordo se del CENSIS, si faceva una radiografia terribile dei ceti popolari appunto “atomizzati” con lavori precari che li portavano ad una concorrenza tra disperati e ad abbracciare un individualismo senza speranze.
Negli anni ’70 c’erano masse d’urto operaie e studentesche su cui si poteva basare una lotta di classe, perchè c’erano esperienze condivise, ideali e stili di vita comuni.
Adesso io vedo un amico precario che fa il montatore di filmati in una televisione privata e tutto quello che gli interessa è trovare un lavoro sicuro; poi un altro che scrive pezzi per un giornale locale un tanto ad articolo, un altro che lavora da Mc Donald’s e così via. Nessuno di loro si sogna di connettersi con gli altri per raggiungere un obiettivo comune. Il neoliberismo ha creato le condizioni per disaggregare i membri della società proponendo scelte lavorative e ludiche assolutamente individuali e uniche “low cost”.
A mia volta mi complimento per la valenza e la precisione della questione di merito che poni (come sempre, e come nei tuoi interventi), secondo me sono gli stimoli reciproci di questo tipo che sviluppano il pensiero critico. Voglio però ponderare la risposta, che non mancherò di postare in questo dialogo a piu voci che da un po di tempo si sta sviluppando
A riguardo, osservo che il Simplicissimus ha pienamente ragione a sviluppare i suoi toni “crepuscolo degli dei” circa questa questione del Mes, che sembra la possibile bomba atomica finale dopo una grande distruzione bellica, e credo abbiamo tutti la sensazione di trovarci di fronte ad un passaggio qualitativo che ci trova insufficienti e forse sbigottiti, altrove non vi è tutta questa consapevolezza
Valide e condivisibili le considerazioni sul golpe, appunto per questo un approfondimento storico su ciò che puo porre un limite alla distruttività del capitalismo, una tematica che riemerge perchè di estrema attualità
Nei paesi più avanzati il capitalismo dei salari alti derivava da una esigenza della borghesia industriale stessa, es Henry Ford che grazie alla catena di montaggio produce le economiche Ford t da vendere anche agli operai, e nasce il finanziamento a cambiale et, per quanto senza le lotte operaie la cosa sarebbe andata avanti in modo più limitato (il famoso compromesso socialdemocratico)
La borghesia industriale italiana storicamente debole non ha mai raggiunto tale livello da proporre un capitalismo dei salari alti, da noi il ruolo dei capitalisti privati tipo Henry Ford lo ha svolto lo stato, le partecipazioni statali etc, grazie a politici della borghesia che volevano arrivare ad un capitalismo avanzato per paura delle masse popolari e per integrare queste.
Tale ruolo dello stato inizia con Francesco Saverio Nitti, questi capendo le cause sociali del brigantaggio nella Italia meridionale ideò il progetto dell’Ilva a Napoli, che doveva essere parte di una politica più complessiva, da cui discende l’acciaieria di Taranto di cui oggi si parla (Nitti operava decenni prima della rivoluzione d’ottobre).
Giolitti, nella stessa fase storica, per evitare una radicalizzazione del nascente socialismo (Sonnino era per la repressione autoritaria), prende le prime misure sociali talvolta in alleanza con il moderato Turati, continua la politica di intervento pubblico nell’economia soprattutto al sud, nazionalizza le ferrovie (il muro di Berlino sarebbe venuto circa 60 anni dopo).
Il fascismo anche aveva paura delle masse popolari, nacque proprio come reazione al biennio rosso e dopo l’occupazione delle fabbriche e delle proprietà terriere, ed il regime volle l’Iri stante la crisi del 29, a capo fu Alberto Beneduce, seguace di Francesco Saverio Nitti, di cui peraltro aveva sposato una figlia. Lo stesso regime inaugurò politiche di stabilizzazione sociale a favore del capitale, assicurazione per la disoccupazione, infortunio e malattia etc.
Nel dopoguerra, La Dc aveva paura della recente resistenza, del fronte popolare, e la sua parte tecnocratica sostenne l’economia dell’Iri e delle partecipazioni statali, i validi manager di stato venivano quasi tutti dalla gavetta fatta a contatto diretto con Beneduce, comunque da quella scuola
Gli industriali privati italiani, a parte forse l’eccezione di Agnelli, non hanno mai avuto interesse a rendere l’Italia un grande paese industriale moderno, infatti questo risultato non è da ascrivere a loro, tali industriali inseguivano solo la massima redditività per loro possibile ed il comando assoluto sulle loro aziende (mai società per azioni).
D’altronde, è proprio questa la fisiologia del capitalismo, ai capitalisti privati non fa nessun problema essere subalterni ai capitali di altre nazioni se data la loro forza non possono andare oltre questo, a loro basta fare i maggiori profitti sulla pelle dei ceti subalterni, è solo una illusione di taluni credere che i capitalisti si facciano o debbano farsi il problema dell’interesse nazionale, essi perseguono semplicemente il massimo profitto e potere per loro. Diversamente, non si spiegherebbe come una borghesia locale appena ricca spesso voglia la secessione, pur avendo intorno stati ancor più ricchi e potenti alla cui borghesia poi diventa subalterna (si guadi ad es all’est Europa)
Il più delle volte l’industrializzazione italiana partì grazie a capitali inglesi francesi o belgi, tempo dopo Henry Ford e quelli come lui ebbero la stazza ed i capitali per sviluppare il capitalismo dei consumi di massa. I capitalisti privati italiani mai hanno avuto eguale stazza e capitali, ad essi andava bene rimanere più piccoli e periferici perché ciò era già il massimo per loro plausibile, magari perorando le imprese coloniali prefasciste e poi fasciste più simili al colonialismo del Portogallo di Salazar che non al neoimperialismo da sempre tipico degli Stati Uniti.
Per una serie di ragioni inerenti il meccanismo profondo del capitalismo, negli anni 70 si manifesta a pieno la crisi strutturale della economia di tipo keynesiano, ciò porta in Italia ma anche nel mondo ad una disfatta della organizzazione e della lotta operaia di dimensioni storiche, la borghesia di comando non ha più avuto paura delle masse popolari ormai ridotte ad individui atomizzati, ed ha cominciato a smantellare quel tipo di economia mista basata sull’ Iri che solo per paura delle masse popolari era nata (con Nitti, quasi un secolo prima del muro di Berlino)
Risulta allora ridicolo e stupido illudersi che dalla borghesia produttiva italiana, oggi ancor più piccola che prima non essendoci ad es Fiat, e ridotta agli industrialotti che esportano semilavorati in Germania, possa venire il contrasto alle mire imperialistiche degli stati forti e delle più potenti borghesie.
Ancor più stupido proporre alle masse popolari, inclini a causa dei guasti che tutti conosciamo a rialzare lievemente la testa, di mettersi al seguito di gruppi sociali e leader politici espressione della micragnosa borghesia italiana, ovvero politici di natura sovranista, globalista o chissà quale altra diavoleria verrà fuori nel prossimo futuro.
Ad es. il piccolo padroncino veneto può comprare obbligazioni della tedesca Siemens o della Deutsche Bank, e poco frega a lui che queste siano forti grazie al risparmio che il Mes può sottrarre agli italiani dei ceti non proprietari, la stessa Unicredito potrà essere salvata con i risparmi degli italiani non capitalisti acquisiti con i meccanismi del Mes
Ci vuole ben altro che la sovranità nazionale, che nei sovranissimi Stati Uniti non impedisce la povertà di massa, e neanche serve necessariamente la sovranità come se questa stessa fosse una condizione propedeutica, la lotta di classe erode margini di ricchezza alle borghesie nazionali e costringe queste a ricontrattare a muso duro le regole con l’Europa, che altrimenti a tali borghesie starebbero più che bene.
Solo pochi decenni fa era opinione maggioritaria che il ruolo svolto in altri paesi dalla grande borghesia industriale, da noi venisse svolto dalla sinistra, che con le rivendicazioni di base o con esperienze di governo realizzava la modernizzazione del paese di cui la borghesia nostrana non risultava capace, già ai suoi esordi questa non aveva tagliato la testa al re ed eliminato l’aristocrazia come invece la borghesia francese o come la stessa borghesia inglese aveva fatto pur con notevoli differenze.
Il muro di Berlino, continuamente citato dal Simplicissimus, non è presentato come il risultato della lotta di classe, addirittura di una rivoluzione, per quanto degenerata, altrimenti si riproporrebbe l’esigenza della lotta di classe, che il nostro evidentemente aborre. C’è da chiedersi, se non è per auspicare una ripresa della lotta di classe, che senso ha richiamare il muro di Berlino, in mancanza di tale richiamo esso viene ridotto ad un vincolo esterno, come per altri versi secondo una ristretta cerchia borghese astratta ed illuministica del nostro paese, doveva essere un vincolo esterno la separazione Tesoro Banca d’Italia o l’entrata nell’Euro
Il vincolo esterno della separazione Tesoro Banca d’Italia, limitando la possibilità di emettere buoni del tesoro, ha portato non già al recupero dei 103.000 miliardi di evasione fiscale, o alla fine dei sussidi alle imprese costrette cosi a concentrarsi si da raggiungere le economie di scala, ma alla svalutazione dei salari e del livello di vita delle masse. Calata nei reali rapporti di classe, la scelta illuministica di una certa borghesia è stata agita proprio dai piccoli padroncini al cui carro il Simplicissimus ci vorrebbe legare con il suo rifiuto della lotta di classe ed i suoi continui inviti a sostenere tutte le opzioni piccolo-borghesi (a suo tempo Trump, poi Salvini e Di Maio, etc)