azz Anna Lombroso per il Simplicissimus

Avevo giurato a me stessa di non cadere più nella rete delle sardine e degli Omega 3,  in attesa di vederle sfilare con i loro bei faccini innocenti,  puliti, educate come fossero finte (lo scrive Myrta Merlino che le ha invitate in felice avvicendamento con Sgarbi e la Mussolini,  in estasi quanto Giuliano Ferrara e gli house organ  aziendali, Repubblica in testa) in qualità di bifidus activo alla Leopolda per dare ulteriore voce a fermenti sul territorio che peraltro hanno rappresentanza bipartisan in Parlamento e fiancheggiatori al governo a differenza di altri movimenti, quelli degli innumerevoli No.

Quei No, compresi quelli a un referendum vinto ma già dimenticato, che prima o poi troverà nuova vita vista l’immortalità politica e ideologica dei promotori, colpevoli invece di essere contro Salvini, è ovvio, ma anche contro il sistema che interpreta alla pari con chi vuole la Tav, ha  ridotto Taranto a città martire, ha salvato banche criminali, ha assassina Venezia e lo sta facendo anche con Ravenna che sta per ospitare una piazza anfibia, ha svenduto la Sardegna alla Nato e la Sicilia al Muos, ha siglato accordi empi  finalizzati al neo colonialismo ma affettuosamente assimilati alla “cooperazione”, ha riconferma l’acquisto di armamenti farlocchi e poi geme per le invasioni di chi fugge dalle guerre e dalle carestie indotte dai predoni occidentali, quelli che non vogliono la secessione dei ricchi, in testa proprio l’Emilia, acquario di allevamento della specie ittica più amata dagli italiani,  e che non hanno mai registrato consenso in rete e nei giornali che li hanno collocati nelle sfere dello sterile insurrezionalismo, quanto i loro espliciti o sommersi sponsor.

Nel loro Manifesto riportato da Repubblica manco fosse la lettera della signora Berlusconi a ribadire una linea editoriale improntata a una certa emotività, venuta meno in occasione dei processi per i morti di amianto, non si fa menzione tra le passioni: amiamo le cose divertenti, hanno scritto, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto, la fedeltà all’Europa, forse per la paura di riempire troppo il vuoto di pensiero che ha decretato il loro successo, alla quale c’è da immaginare appartengano con lo stesso trasporto che si riserva a una fede incrollabile e che caratterizza le generazioni dell’Erasmus, delle start up, dei lavoretti alla spina che illudono di essere indipendenti dia padroni quando si ha la libertà di organizzarsi la consegna delle pizze secondo le regole del neo caporalato.

Qualcuno ha scritto in margine al mio post (https://ilsimplicissimus2.com/2019/11/20/i-beccafichi/ ), che  dobbiamo accontentarci perché questi giovani che proclamano di credere ancora “ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola. In quelli che pur sbagliando ci provano, che pensano al proprio interesse personale solo dopo aver pensato a quello di tutti gli altri. Sono rimasti in pochi, ma ci sono. E torneremo a dargli coraggio, dicendogli grazie”,  si battono con audacia “contro la destra che non vogliamo”, secondo una Interpretazione estensiva degli slogan di questo rave party su scala nazionale.

E’ opportuno dargli corda insomma perchè le sardine  rivendicano di non essere né di destra né di sinistra, la stessa colpa che fino a ieri veniva addossata fino a poco tempo fa ai 5Stelle,  confermando l’impressione che oggi non esista una sinistra che ragiona, agisce, lotta solo perché non c’è una destra buona e desiderabile, così come invece ci sarebbe una Lega cattiva, Salvini, e una buona che vuole le stesse cose del Pd, di Italia Viva, di Forza Italia, pure della Meloni e quindi si colloca nel contesto democratico, unanimemente schierato in favore delle politiche imperiali comprensive della svendita del Paese  in nome del contrasto alla bieca pretesa di sovranità, avanzata da una marmaglia ignorante, avara, egoista composta, me lo hanno ricordato proprio le cheerleader dei fighetti, da artigiani che non fanno la fattura, professionisti impoveriti e rabbiosi, impiegati un tempo garantiti dallo stipendio fisso e ora ridotti a classe disagiata.

È proprio vera quella definizione del populismo secondo la quale viene chiamato così il malessere della plebe quando non sopporta più le malefatte e i crimini degli oligarchi, delle élite, dell’establishment, comprensivo dei ceti che non si arrendono a essere stati declassati e vomitano la loro bile  di schifiltosi e schizzinosi contro il volgo ignorante, rozzo, xenofobo, per riconfermare una superiorità alla quale hanno rinunciato, preferendo adeguarsi, obbedire, appiattirsi nella tana calda e comoda dello status quo più comoda dell’immaginare e realizzare una alternativa.

Così è unanime la condanna del populismo messa in scena nei suoi luoghi deputati, le piazze e la rete, che si vorrebbero sottrarre all’altra speculare occupazione, anche quella promossa dalla stampa ufficiale e dalle televisioni impegnate a rispettare la par condicio invitando sardine e squali, cozze e piranha, e che ci regalano il delicato sentimento di nostalgia della Balena bianca ma anche del qualunquismo di Giannini.

E infatti se è vero che quella che è diventata una deplorata parolaccia sta a indicare la retrocessione della lotta di classe a blocco sociale indifferenziato e grezzo assunta quando ha perso identità e coscienza, è proprio quella memoria sepolta, quella origine soffocata che mette una gran paura a chi non vuole il risveglio e il riscatto, una rivoluzione cittadina che ricostruisce le condizioni di una reale partecipazione democratica al processo decisionale, la possibilità di una reale redistribuzione del reddito che metta a rischio il totalitarismo economico, del quale il fascismo è la declinazione sempre attiva,  e rovesci il tavolo, con una potenza sovversiva.

Qualcuno ce l’ha quella potenza, e mette spavento, se perfino Erri De Luca viene trattato  da mandante morale del terrorismo, mentre la madamine  Si Tav riempiono la piazza di Torino, se Corbyn e Sanders che sarebbero stati un tempo guardati come innocui riformisti, che spargono un po’ di Mozart sul capitalismo per addolcirlo, paiono gagliardi rivoluzionari, se nessuno dà la parola ai giovani che combattono per le loro città, ai senzatetto cui i sindaci progressisti sanno solo togliere luce e acqua, ai ragazzi dell’inferno di Quirra che contestano la conversione della loro terra in poligono di tiro e di test per armi che ammazzano ancora prima di essere vendute ai signori della guerra, agli stranieri che alzano la testa per combattere il caporalato legalizzato cui sono negate le piazze, le panchine e i posti in autobus, nell’acquario  e nel nostro “migliore dei mondi possibili”.