gov ladro Anna Lombroso per il Simplicissimus

Una volta si pensava che le calamità fossero una livella come la morte. Sappiamo da tempo che non è così, che i soldi allungano la vita, che è meglio addolorarsi in un attico che nella baracca di una bidonville e che una pioggia torrenziale in una metropoli occidentale fa meno danni che nel Bangladesh.

Ma siccome ormai ci siamo consegnati tutti più o meno consapevolmente ad essere un terzo mondo interno alla superiore civiltà europea, quello che pudicamente autorità e giornali continuano imperterriti a chiamare “maltempo” sta flagellando, come titolano i giornali, più o meno uniformemente tutta l’Italia. Con una differenza evidente: in Indonesia, in Thailandia,  in Mozambico quando cicloni, alluvioni, frane si abbattono sul territorio la gente si unisce, si dà una mano, divide la ciotola di riso, aiuta i vicini a tirar su le povere cose dal fango, mentre da noi è in corso una nobile gara a sostituire il “prima gli italiani” del barbaro inviso ma votato e emulato in gran numero, con prima i materani, prima i siciliani, prima i campani, segno evidente che mentre i proletari di tutto il mondo conducono crociate straccione, i padroni sanno sempre andare d’accordo, armando e mettendo i poveracci sfruttati gli uni contro gli altri.

E infatti in barba ai governi nazionali eletti di buon grado o sopportati turandosi in naso grazie a sistemi elettorali che hanno demolito l’edificio della partecipazione democratica né più e nè meno del nostro patrio suolo, la cartina delle campagne di guerra, saccheggio, conquista e svendita dei beni comuni, territorio, suolo, paesaggio, arte, monumenti è fitto di bandierine da nord a sud.

Nella Capitale morale che vanta l’appartenenza alla regione Lombardia traino del Paese e intenta a rivendicare l’autonomia, quella di Formigoni, quella di Maroni che l’ha coperto e prosegue nell’azione di smantellamento della Sanità pubblica e che diede in suo nome a una legge sulla sicurezza fieramente anticipatrice dei decreti di Minniti e Salvini, ecco in quella regione e a Milano, che gode del primato di consumo di suolo, si registra il rischio di esondazione del Lambro, Più o meno come ogni anno in autunno: eppure nel lontano 1989 vennero stanziati, ma non sappiamo dove siano finiti, 5 mila miliardi per la messa in sicurezza del fiume insieme al Seveso e all’Olona per assicurarne la  messa in sicurezza e una potente strategia di risanamento.

Matera la capitale delle Cultura, in Basilicata  dove la Lega ha triplicato i voti alle ultime elezioni e al cui largo si prevedono nuove e proficue trivellazioni, mentre sono in corso le trattive con la Bei per sostenere il “superamento dei prefabbricati post sisma del 1980”, si Matera,  dove c’è una stazione fantasma come nei western-spaghetti ma non arrivano i treni ( e viene da dire meglio così se si pensa che a Balvano in provincia di Potenza si è verificata il più tragico incidente ferroviario della storia),  dove i Sassi sono stati convertiti in albergo diffuso con i presepi viventi dei cittadini che simulano attività tradizionali in barba alle lauree in marketing e finanza, è stata colpita da un fortunale, nome paradossale per una cascata d’acqua che ha invaso case, uffici e negozi con una stima di più di 8 milioni di danni.

Non è andata meglio a Licata travolta da un nubifragio che impone lo stato di calamità, nella Sicilia che dopo la parentesi politicamente corretta del presidente eletto e sostenuto anche per via delle sue esibite inclinazioni in modo che non si dicesse che era vittima di omofobia, si è convertita a un più convenzionale esponente di Forza Italia, tornato talmente nelle grazie del Cavaliere da ideare a suo sostegno un piano eccezionale per il Sud, e lui se ne intende anche per via degli illuminati suggerimenti di adepti, stalliere di Arcore compreso, un regione che non ha gran bisogno della secessione dei ricchi postulata da Veneto, Emilia e Lombardia, perché gode già di una autonomia che è andata a beneficio di lobby private perlopiù né legittime né legali.

E nemmeno a Ravenna, nella pingue Emilia Romagna che scalpita per tenersi i residui fiscali in vista della produttiva avocazione a sé delle competenze e della gestione dei settori della scuola, dell’Università e della sanità, ma non della tutela del territorio che preferisce lasciare in capo allo Stato in qualità di sgradita patata bollente, antica capitale di un impero e ex città portuale come insegnano i sussidiari al centro di una pianura alluvionale da decenni identificata come affetta da tutte le più gravi patologie riferite al dissesto idrogeologico e mai messa in sicurezza, che da giorni ancora una volta teme la minaccia dei fiumi Ronco, Montone, caratterizzati da una incuria delle golene, dall’erosione delle spiagge, fenomeni die quali ci si ricorda ad ogni emergenza che si presenta ogni volta sorprendente e imprevista.

Bei tempi quelli nei quali si diceva “piove governo ladro”, se adesso corruzione, ladrocini, malaffare sono stati talmente normalizzati che non suscitano più sdegno e ribellione, riservate in forma di meritevole richiamo alla nemesi al rancore e alla soddisfatta considerazione che anche i ricchi piangono, che certe calamità sarebbero la pena meritata per il prezzo del caffè in Piazza San Marco, che più che i poteri nazionali e locali meritano riprovazione quelli costretti a votarli grazie a regole che hanno espropriato tutti del diritto al libero consenso o dissenso.

Insomma i governi ladri hanno vinto ancora una volta, destinando risorse a opere inutili e dannose pensate nella loro funzione di macchine mangiasoldi pubblici per foraggiare imprese disoneste e inefficienti, che lucrano sull’incompetenza, i cattivi materiali al risparmio, gli appalti opachi, i ritardi della benefica burocrazia, per oliare i meccanismi grazie alle mance, ai Rolex, alle consulenze, agli appartamenti all’insaputa dei beneficiari, determinando condizioni di crisi che sconfinano nella provvidenziale emergenza vocata a generare trasgressione di regole, regimi di deroghe e licenze, promozione di autorità speciali con poteri eccezionali, la corruzione delle leggi per autorizzare la corruzione in forma di legge.

Hanno vinto ancora narrando delle occasioni occupazionali di grandi eventi, grandi opere e grandi cantieri dove far lavorare un esercito precario a termine, proprio come quello dei dipendenti del Mibact metà dei quali presta la sua opera senza contratto, quando un immenso e qualificato bacino di lavoro potrebbe essere quello della manutenzione, del risanamento, della tutela, della vigilanza e della cura. Hanno vinto ancora impoverendo e costringendo alla fuga il popolo delle campagne e pure quello dei centri cittadini, espulsi verso periferie umiliate dove il brutto originario diventa deposito prescelto per altre brutture e per nuove e antiche povertà da confinare lontane dalla vista di ceti privilegiati arroccati nei loro ghetti di lusso e protetti da polizie private e pubbliche incaricate di salvare il decoro.

I governi ladri hanno vinto e vinceranno perché hanno imparato a dividerci, a farci odiare tra noi in modo che sperperiamo così la collera che dovremmo destinare a loro.