maschere_italiane_fb.jpg Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ieri si poteva misurare la presa che ha sull’immaginario collettivo una interpretazione delle catastrofi da tempo non più “naturali” come nemesi che punisce popolazioni colpevoli antropologicamente e socialmente.

A vedere i commenti che circolavano in rete a proposito della morte di Venezia, lungamente preparata da un ceto dirigente locale, nazionale, europeo criminale e barbaro, mettendo sullo stesso banco degli imputati i superstiti residenti del centro storico e quelli costretti all’espatrio in terraferma, per favorire la conversione della città in distretto turistico nel quale Mestre e Marghera hanno al funzione di localizzazione di strutture e infrastrutture incaricate di favorire l’accesso e la breve permanenza nell’ex Serenissima, i veneziani pagherebbero il fio di dimostrarsi una società incivile che vota una classe politica corrotta, al servizio di una cupola mafiosa dedita alla tutela e promozione di interessi opachi, manco abitassero in una qualsiasi Mafia Capitale, che hanno dato e danno la preferenza a sindaci ignoranti, impreparati, incompetenti e che in passato l’hanno concessa a soggetti convolti in gravi scandali, manco fossero quelli che altrove hanno eletto il commissario di una grande opera che aveva richiesto l’intervento dell’autorità anticorruzione per i gravi sospetti poi confermati sulla trasparenza degli appalti, indagato e “perdonato”, non assolto,  per aver commesso alcuni abusi.

A motivare le pene comminate dalla forza del destino sotto forma di acqua alta eccezionale – che fa ipotizzare che gli alluvionati del Sarno subiscano l’accanimento della natura per la contiguità con la camorra  o per uno spiritaccio prepotente e trasgressivo, o che l’apocalisse di Genova del 2012 sia il contrappasso per l’indole proverbialmente oculata degli indigeni – è stato anche ricordato opportunamente che è da imputare ai veneziani, nell’ordine, un’arroganza ingiustificata che trarrebbe origine da un remoto passato glorioso di superpotenza, combinata paradossalmente con una indole al servilismo esemplarmente incarnata dalla maschera tradizionale di Arlecchino, pronto a assoggettarsi ai due o più padroni per qualche zecchino. E poi un talento mercantile e commerciale, anche quella retaggio lontano, oggi ridotto al miserabile approfittarsi e speculare sulla rendita di posizione, sulla bellezza unica e il patrimonio frutto di generazioni  audaci e creative, tanto da adattarsi alla conversione da navigatori, artisti, intellettuali, esploratori a tassisti imbroglioni, gondolieri stonati, affittacamere truffaldini, osti lestofanti, al servizio di una cosca affaristica e di dinastie sciagurate impegnate a svendere i gioielli di casa, a occupare il territorio per trasformarlo in albergo diffuso e emporio dozzinale.

Sarebbe da imputare agli immeritevoli eredi di uno  Stato che ha saputo governare per secoli le acque e i suoli, come un patrimonio su cui costruire una grandiosa potenza da gestire con saggezza e lungimiranza, la trascuratezza, l’incuria, lo stato di accidioso abbandono della città che è considerata un prodigioso tesoro e bene di tutto il mondo.

Per non parlare dell’appartenenza a una regione leghista che vanta il non invidiabile primato di 9 miliardi di tasse evase, ma che esige autonomia decisionale e di gestione sulla scuola e l’università, sull’assistenza e le politiche ambientali,  grazie alla “appropriazione” del  cosiddetto residuo fiscale, ovvero la differenza fra quanto i cittadini versano allo Stato centrale per il pagamento delle tasse e quanto ricevono come trasferimenti dallo stesso Stato centrale,  intesa come legittima rivendicazione di chi produce, lavora, spende e pretende, autorizzata quindi a gestirsi in proprio il portafoglio, che a ben vedere non ha utilizzato per contrastare la rovina irreversibile del suo capoluogo e fiore all’occhiello di fama mondiale leggendaria. A dimostrazione di ataviche responsabilità (ma è stata ricordata una certa attitudine all’alcol) che rende i veneti più riprovevoli dei lombardi, che hanno dato consenso a un governatore leghista noto oltre che per improbabili prestazioni musicali per essere promotore di vergognosi provvedimenti in materia di sicurezza, dello smantellamento del sistema sanitario pubblico, di noncuranza nei confronti delle problematiche ambientali, responsabilità condivisa dal sindaco della Gran Milàn, il capoluogo del consumo di suolo dove Lambro e Seveso rappresentano un rischio perenne e ancora priva di un sistema di depurazione.

Va a sapere se il doppiopesismo che ha segnato una fase di stallo dopo il risveglio temporaneo del “e allora il Pd”, promosso a amorevole alleato di governo, è tornato in auge per legittimare l’invidia campanilistica della provincia nei confronti di città dall’augusto passato, Roma o Venezia, va a sapere se dare addosso a chi vive una condizione di vulnerabilità riscatta il senso di superiorità di comunità altrettanto a rischio ma che ritengono a torto di essere immuni, va a sapere se la festosa rimozione dei propri atti e delle proprie responsabilità individuali e collettive produce automaticamente l’ammissione alla società civile,  abilitata a condannare a un tempo la classe politica viziosa e gli altri, quasi tutti, che non ne meritano l’appartenenza. Cominciano così le proposte una più imbecille dell’altra, dell’opportunità di selezionare l’elettorato, come se già ora non vigesse un sistema che ha penalizzato la libera espressione di voto, si incrementano così le differenze che si aggiungono alle disuguaglianze secondo criteri che scambiano le leggi di mercato in leggi di natura.

Altro che commissioni contro l’odio,  in modo da condannare preventivamente l’odio di classe. Qua serve una commissione contro i cretini e per autorizzare l’avversione per la classe degli asini.