Venezia_acqua-alta_maltempo_Afp_0Anna Lombroso per il Simplicissimus

Se, come pare, questo è un Paese che sa celebrare solo i defunti illustri oggi dovremmo aspettarci una visita pastorale di personalità in onore di una città assassinata. Ma non succederà perché a vario titolo tutti nessuno escluso hanno partecipato della morte di Venezia come di un rituale compiuto contro la fragilità, la storia, la creatività da togliere di mezzo perché non facciano riecheggiare in nessuno la voce della memoria e della bellezza che parlano di libertà e ragione.

Ieri sera una alta marea eccezionale ha raggiunto il livello del ’66, data rammentata per l’alluvione di Firenze e non a caso, perché da allora si è messo in moto un meccanismo perverso che doveva produrre soluzioni tecniche e ingegneristiche per “salvare” una città che era già stata condannata a diventare il quartiere turistico  di una grande conurbazione in terraferma al servizio di quell’unica attività imprenditoriale, combinata con l’altra nelle mani del crimine organizzato legalizzato per generare profitti con speculazione e corruzione.

Ma si sa che perfino la Cassazione ha cancellato i reati di mafia dallo stato di servizio di chi ha occupato militarmente una città, sfruttato i deboli per arricchire i forti, mestato in ogni torbido, approfittato della miseria intimorendo e ricattando. Quindi l’uccisione della città verrà attribuita all’accanimento di imprevedibili fenomeni naturali e non alla proterva azione scellerata di una cupola che ha spadroneggiato anche grazie a leggi dello Stato predisposte per favorire il loro operato delittuoso e che da più di un secolo ha costruito le sue fortune sul fango, fertilizzato dal mito leggendario della Serenissima che nell’immaginario collettivo potrebbe in ogni momento inabissarsi tra i flutti come una novella Atlantide. E per quello alla distopia del suo destino industriale è succeduta quella non meno cruenta di una Disneyland, di un parco tematico sulla grandezza di un impero marinaro, da ricostruire con la cartapesta e quegli effetti speciali  che hanno trasformato il suo tessuto urbano in albergo diffuso, le attività tradizionali in tableau vivant a beneficio dei visitatori e i commerci in pallide imitazioni made in Taiwan.

Certamente dopo la mobilitazione di organizzazioni internazionali all’insegna di Save Venice, l’acqua alta era un problema ma una classe dirigente nazionale e locale, in forma bipartisan ha saputo far fruttare anche quella  e ancora oggi in molto stanno godendo i frutti avvelenati di quella creazione che invece potrebbe avere il motto Delenda Venezia, perché il fine è quello di dissanguarla, svuotarla degli abitanti, ridurla a museo a cielo aperto con dependance e foresterie per pochi eletti molto ricchi, salvo qualche percorso limitato concesso a orario a frotte di forzati del turismo di massa, come d’altra parte è stato ammesso, anzi, rivendicato, dall’ineffabile sindaco in carica.

Così le opere di salvaguardia dal mare si sono convertite in spettacolari mangiatoie grazie alla scelta di una soluzione ingegneristica pesante e rigida, alla quale non sono state contrapposte  alternative che pure c’erano, neglette nei cassetti di prestigiose Università o opportunamente censurate, che già in fase progettuale dimostrava di non essere adeguata per fronteggiare i fenomeni del cambiamento climatico, l’eustatismo e il bradisismo e che comportava tremendi effetti collaterali di carattere ambientale.

Il Mose e le barriere mobili sono state da subito una risorsa da sfruttare, sulla quale convogliare fondi e  risorse tanto che da subito si poteva capire che era meglio prolungarne la gestazione e la realizzazione, perché moltiplicasse le opportunità di sfruttarli a beneficio delle cordate imprenditoriali, dei controllori e amministratori corrotti, di un indotto cioè pronto a rivelare la sua indole malavitosa. Un “prodigio” degno dei geni rinascimentali, è stato definito, tanto che sempre l’attuale primo cittadino ha confessato di volerlo rivendere e rifilare ai cinesi in controtendenza con la loro penetrazione in città e sulle orme di Marco Polo, una grande torta spartita dall’arco costituzionale , o almeno “sopportata” anche dai più sussiegosi come l’ex sindaco Cacciari abbastanza ricco per non mangiarci su, ma non abbastanza per contrastare i torbidi interessi di  amici, sodali e affini, quelli delle grandi aziende interessate e di quelli che si affacciavano in città per comprarsela a prezzo di svendita

Per questo è stato affidato al soggetto più congruo per appagare gli appetiti di tutti i commensali, un mostro giuridico autorizzato per legge a andare contra legem  incarnando funzioni, competenze e ruoli che sono e devono essere  incompatibili e conflittuali, un soggetto autoritario, dispotico che si è incaricato anche di spegnere ogni resistenza e critica all’opera, funzionale al progetto strategico di una Nuova Venezia come indica il suo nome, una enclave dedicata a quelli che il sindaco Luigi Brugnaro definisce «la bella gente che voglio in città», completando il ricambio selettivo della popolazione, la distruzione dell’edilizia pubblica per favorirne  la svendita, la chiusura di pubblici servizi o il loro trasferimento in terraferma, imponendo una tassazione penalizzante per chi risiede combinata con una evasione fiscale protetta e addirittura incoraggiata per gli altri, oltre che attuando la distrazione dei quattrini  prima finalizzati alla manutenzione ordinaria (pulizia dei canali, sistema fognario, disinquinamento, rialzo delle zone basse, manutenzione edilizia privata) per dirottarli sul Mose.

E siccome ai padroni della città come a tutti i padroni, i soldi non bastano mai, si è lucrato oltre che sull’opacità degli appalti, sull’ammuina che ha consentito al Consorzio di riassumere in sé gli interventi che sporcano e quelli che bonificano, gli scavi e i  riempimenti, così se si riducono le risorse c’è sempre una greppia alternativa cui attingere, nuovi canali, nuove speculazioni e nuovi modi per approfittare anche dell’incompetenza, se, come asseriscono i commissari straordinari, le imprese si sono inquattate quattrini (la Mantovani tanto per fare un esempio almeno 5 milioni prima di diventare Coge e partecipare di altre influenti cordate), i politici si sono arricchiti (abbiamo appreso degli appartamenti di lusso di Galan a Dubai), ma ambedue hanno accumulato alti benefici grazie ai ritardi, a multe e risarcimenti orchestrati, impiegando materiali scadenti, sicchè la voragine di costi che ha scavato il Mose sarebbe rappresentata al 35% alla voce  “corruzione” e per il resto alla incapacità volontaria, alla utile inefficienza, alla voluta farraginosità di certe procedure a fronte della dinamica e disinvolta semplificazione adottata per altre, allo smantellamento della rete dei controlli e della vigilanza, spesso comprata o blandita.

Venezia è diventata una città martire della mafia, la stessa che ha fatto di Taranto un’altra città martire ancora più avvelenata e insanguinata. Ma non mi aspetto che sui profili qualcuno scriva “je suis Venezia”, perché uno dei successi della Mafia Serenissima è aver ingenerato la convinzione che i veneziano siano vittime di una voracità “commerciale” che li ha autodistrutti, diventati tutti tassisti ladri, affittacamere esosi, osti imbroglioni. Come se quella non fosse la pena alla quale siamo tutti condannati, nessuno davvero innocente  se la subiamo senza protestare.