DIGITAL CAMERAIeri è caduto il trentesimo anniversario della caduta di Berlino, data salutata come l’inizio dell’era liberista oltre che come fine del comunismo sovietico e inizio dell’impero planetario americano che avrebbe dovuto essere senza rivali per un tempo infinito: prova ne sia che Mike Pompeo nella sua celebrazione lo ha collegato alle date della rivoluzione americana e alla vittoria nella seconda guerra mondiale, facendone chiaramente un simbolo dell’espansione a stelle e strisce. Il fatto che Pompeo sia un personaggio con una particolare vocazione all’ignoranza, non svaluta la valenza di tale prospettiva, anzi la rende più significativa come portato interiore dell’elite americana.  Adesso  tutta questa mitologia fondativa comincia ad emanare un penetrante odore di marcio e cominciamo a renderci conto che quello non è stato l’inizio di qualcosa, ma il culmine di un sistema ucciso dalla scomparsa di un nemico che ne aveva in qualche modo arginato la follia. Ho già dedicato, tempo fa, un post alla questione  Si fa presto a dire muro…  nel quale mostravo che quel muro è stato un simbolo occidentale almeno quanto esso è stato un simbolo sovietico, quindi questa volta mi dedicherò a mostrare come ciò che è successo dopo quell’evento avrebbe dovuto essere di monito specialmente per noi che due anni dopo ci siamo abbandonati a Maastricht simulando per certi versi i medesimi meccanismi.

Partiamo dall’oggi, dove la disoccupazione della ex Ddr è di un terzo superiore a quella del resto del Paese  e con salari inferiori del 20 %,  nonostante negli anni molta parte della popolazione si sia trasferita ad ovest, con un ritmo enormemente superiore a quello dei primi anni della Germania est ancora senza muro. Anzi se il governo tedesco non si fosse trasferito da Bonn nella vecchia capitale, il bilancio sia in termini di popolazione che di reddito sarebbe drammatico. Ma come si è arrivati a questa situazione? Semplicemente con gli stessi mezzi con la quale è stata messa fuori gioco l’Europa mediterranea: è frutto di una unificazione monetaria frettolosa e sconsiderata, anche se al momento fu interpretata come atto di generosità, volta ad accelerare al massimo l’unione politica: il marco dell’Est venne parificato con quello dell’Ovest che valeva ufficialmente 4,4 volte di più. All’improvviso parve che tutti si fossero arricchiti, una sindrome che ha colto anche gli italiani con l’arrivo dell’euro. Ma ben presto la cosa si rivelò letale perché le imprese della parte Est che pure esportavano molto in Germania ovest (compresi alcuni motori della Golf e della Polo) ed erano comunque uno dei riferimenti della produzione dell’est europa, Russia inclusa, all’improvviso si trovarono fuori mercato con prezzi cresciuti di oltre 3 volte e ci fu un crollo gigantesco e subitaneo della produzione.

Subito dopo queste aziende, talvolta dal nome illustre, cominciarono a valere zero e furono acquistate per pochi soldi da speculatori privati dell’ovest, attraverso meccanismi per larga misura opachi e cominciarono le ristrutturazioni, i licenziamenti  e i cali di salario reale. Tutta l’operazione servì complessivamente  a rendere la Germania il più forte Paese del continente e a prenderne la guida. Scioccamente, senza pensare a questo esempio,  l’euro fu pensato proprio per evitare tale egemonia, ma essendo stato costruito ad immagine del marco e con le stesse regole  della Bundesbank, si è rivelato lo strumento perfetto per il dominio continentale. Per chi volesse approfondire il tema può leggere “Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa” di Vladimiro Giacché, ottimo conoscitore del Paese e della sua cultura, che costituisce la migliore analisi disponibile sulla questione. Oppure per gli antecedenti  “ Chi ha costruito il muro” di Giuliietto  Chiesa.  In ogni caso viste queste premesse non c’è da stupirsi se  anche a livello politico c’è una differenza ancora visibilissima tra Est ed Ovest della Germania, anzi a dire la verità essa diventa sempre più marcata, man mano che passano gli anni e ancora una volta senza Berlino capitale che con i suoi governativi salva la faccia ai partiti nazionali, la differenza sarebbe tale da far pensare a due Paesi.  La Linke vi è stata sempre particolarmente forte e adesso l’Afd  è cresciuto fino a diventare il primo partito in Turingia, sbaragliando la Cdu e riducendo i socialdemocratici all’8 per cento. Insomma la Germania Est, attraverso un voto che per oltre il 50 per cento va ai partiti estremi dell’arcobaleno politico sta esprimendo un rifiuto.

Prima di cominciare a mugugnare e bestemmiare per la crescita della destra va detto che le posizioni di questo partito che chiede l’uscita della Germania dl’Europa e dall’euro, si connotano in maniera peculiare in quest’area che si ritiene – e non a torto – sacrificata dal potere venuto dall’Ovest al disegno di egemonia continentale e comincia anche a ripensare con qualche nostalgia ai vecchi tempi. In ogni modo siccome nessun’altra formazione esprime questa inquietudine, compresa la Linke che nonostante le prese di posizione di alcuni illustri padri nobili, non ha avuto il coraggio di indicare in maniera chiara questi obiettivi, ecco che la protesta, malcontento e rabbia volano a destra. Se il partito di sinistra l’avesse fatto probabilmente avremmo una Germania dell’Est di nuovo rossa dimostrando che un muro esiste ancora anche se non di mattoni, ma gommoso, fatto di denaro e disuguaglianza.  Purtroppo l’Italia che è stata una delle vittime designate del sistema Europa non ha mai imparato la lezione, né la prima volta, né la seconda e nemmeno la terza anzi si accanisce nel suicidio.