La rovina economica, politica e istituzionale italiana è iniziata in sordina, quasi inavvertita quando con la cosiddetta caduta del muro di Berlino, il “fattore K” venne meno e un intero sistema politico costruito sulla divisione del mondo in due blocchi e la presenza del più grande partito comunista dell’occidente, finì per crollare. Lo scardinamento vero e proprio avvenne con l’indagine di “Mani pulite” sulle cui origini e moventi c’è ancora molta nebbia da dissipare, ma di certo gli esiti furono esattamente opposti a quelli che si potevano pensare perché come rimedio alla corruzione di un intero sistema e non solo della sua parte politica, gli italiani risposero portando in palmo di mano a Palazzo Chigi uno degli individui più ottusi e reazionari che si potessero immaginare e la cui veste di imprenditore palazzinar – televisivo portava i conflitti di interesse, il corto circuito politica affari che si voleva colpire, al cuore dello stato. D’altronde l’opposizione ormai incapace di recitare un rosario diverso da quello neo liberista, trovò un motivo spendibile con l’opinione pubblica per entrare completamente nella cattività europea, vista come talismano della felicità , oltre garante della normalità e legandoci ad obbligazioni palesemente impossibili per la nostra economia.
Il risultato lo abbiamo visto con la perdita del 25% del sistema industriale e da quando l’Europa ha cominciato a sfilacciarsi, diventando una sorta di complicato, ma nascosto lego dell’egemonia continentale la caduta ha cominciato ad accelerare e procede ora precipitevolissimevolmente. Proprio in questi giorni anzi nel giro di una settimana, grazie a un governo di pupazzi che i poteri economici fanno ballare sul palcoscenico del Paese, abbiamo dato ciò che restava della Fiat ai francesi, pur nella certezza che al miliardo e mezzo incassato dagli Agnelli che non finiscono mai di essere lupi, corrisponderà una rilevante caduta di occupazione e la chiusura di fabbriche ormai inutili perché doppioni di altre. E hanno anche la faccia di dire che questo serve per progettare auto elettriche cosa che un semplice meccanico è in grado fare, visto che possono comprare i componenti principali dalla Cina, come del resto fanno la Tesla e tutti gli altri. Poi c’è la questione Alitalia, che verrà ceduta per quattro soldi, probabilmente a Lufthansa, così da perdere anche la compagnia di bandiera, che verrà trasformata in compagnia privata, con pochi aerei e priva di voli intercontinentali, così come vuole il colosso tedesco e questo naturalmente implicherà una perdita diretta di molte migliaia di dipendenti, una indiretta per ora incalcolabile a causa delle minori attività connesse ad Alitalia, ma comunque a una perdita salariale di tutto il settore. Dire che i soldi quando si vuole si trovano: per esempio nelle settimane scorse il governo ha trovato il modo di immettere – tramite la Cassa Depositi e Prestiti (le cui esposizioni entrano comunque nel conto del debito pubblico) – 166 milioni di euro nella società farmaceutica Kedrion, di proprietà della famiglia Marcucci, quella dell’attuale capogruppo del Pd al Senato. Infine c’è la questione Ilva che rappresenta la vetta dell’abominio perché attraverso il ricatto economico l’Arcelor Mittal, ovvero l’acquirente scelto per evitare la soluzione ovvia che era la nazionalizzazione della fabbrica, si dice disposta a portare avanti l’operazione solo se potrà evitare le norme sulle emissioni. Insomma per mantenere un’occupazione ridotta e molto probabilmente temporanea, perché comunque l’acciaieria sarà destinata a chiudere, si darà via libera alla tumorizzazione dei dipendenti e della città di Taranto. E questa non è solo una liquidazione economica, ma anche e soprattutto civile Ma pensate che Conte, presidente del coniglio (e non è un errore) , si preoccupi di tutto questo? Ne è felice perché quando si parla di multinazionali e di mercato gli brillano gli occhi e sussura “j’adore” dopo aver scandito per bene il sissignore che è la sua cifra.
E’ solo la fine di un processo di spoliazione del Paese cominciato quasi trent’anni e il cui primo atto concreto sono stati l’adesione a Maastricht e subito dopo l’accordo Andreatta – Van Miert del 1993 che smantellava l’apparato industriale pubblico e oggi di fronte all’impossibilità, in queste condizioni di calo manifatturiero, di portare l’inflazione al 2% la Lagarde, nuova presidente della Bce, prigioniera di Berlino, ha fissato l’asticella più in basso all’1,5 per cento che per noi significherà deflazione e dunque in breve prospettiva, un’altra perdita di capacità industriale che ci toglierà definitivamente di mezzo. Insomma la condanna sancita molti anni fa sta per essere eseguita e non sarà certo un governo di mentecatti a poterlo evitare perché sono incapaci di tutto, persino di provare vergogna e si ingegnano invece di ricavarne delle buone uscite.
La connivenza politica dei decisori italiani con Parigi è sempre stato un asset a favore dell’avanzata transalpina in Italia. A pensare male potremmo ipotizzare che verso l’Italia è pronto a arrivare un nuovo carico di Legioni d’Onore…
https://it.insideover.com/economia/alla-francia-litalia-fa-sempre-piu-gola.html
La Francia è il Paese europeo che ha “inventato” e che pratica di più il cosiddetto sovranismo, soprattutto nell’ambito economico. L’Agenzia di partecipazioni dello Stato definisce quote e obiettivi dello “Stato azionista”, tra le cui partecipazioni vi è la stessa Renault. L’amministrazione è garantita con continuità dall’alta burocrazia francese pubblica e privata, nel cui ambito è stato peraltro elaborato, da Bernard Esambert, il concetto contemporaneo di “guerra economica”.
In sintesi brutale, al ruolo elefantiaco dello Stato in Francia corrisponde l’impronta delle famiglie italiane, spesso in cerca d’autore, come accade nelle vicende attuali del gruppo controllato da John Elkann. Le medie imprese, punto di forza del nostro sistema rispetto alla Francia, non hanno un vero protagonismo politico, mentre l’Italia non ha affrontato due grandi questioni: la saldatura tra il risparmio e l’investimento e la necessità di sostenere e promuovere quell’alta tecnologia che è ancora un punto di forza del Paese nonostante gli scarsi investimenti, tanto pubblici quanto privati.
Lo Stato in Francia pensa “napoleonicamente”, al di là di ogni riverniciatura di comodo di Macron. L’Italia, invece di pensare “strategicamente”, oscilla tra la richiesta di confusi interventi tampone, per cui pare che la Cassa depositi e prestiti debba giungere a qualunque capezzale, e l’appiattimento dell’interesse nazionale sulle contingenze politiche.
http://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/FCA_Renault_tra_capitalismo_italiano_e_francese.html
@….. Andrea z
Indubbiamente investire in istruzione, quindi start up e tecnologie innovative, consente di rimanere ai piani alti e remunerativi dell’attività economica. Questo in ogni caso, ed è quindi cosa auspicabile
Voglio però rappresentare una linea di pensiero per certi aspetti un pò diversa, le innovazioni proposte dalle start up o comunque le tecnologie analogamente innovative, possono essere molto remunerative per chi le propone ma costituiscono un costo per le aziende tradizionali che le aquistano e che sono collocate nei livelli sottostanti (aziende automobilistiche , frigoriferi etc)
nel senso che, start up e realtà del genere, più che produrre
neo-valore, si appropriano del valore prodotto nella produzione sottostante, nei fatti senza questo livello produttivo sottostante neanche potrebbero esistere
Ciò corrisponde alla distinzione di ambito economico classico oltre che marxiano, tra lavoro produttivo di valore e lavoro improduttivo di valore . Quando si era nel pieno della crisi esplosa nel 2008, i primi settori a crollare dopo la finanza furono quelli dei servizi alle imprese, essi da un lato offrivano innovazione ma proprio per questo erano anche un costo per le aziende in difficoltà che quindi li tagliavano come prima cosa
Fin quando l’accumulazione capitalistica complessiva procede a passo sufficiente di questa distinzione non ci si accorge neanche, data l’indubbia utilità del lavoro improduttivo di neo-valore , ma se la produzione di automobili e frigoriferi ed altri prodotti tradizionali vede come tu dici vede un significativo calo dei profitti, a risentirne ed a declinare sono per prime proprio start up e servizi alle imprese in genere. Esse appunto si nutrono del valore prodotto nei livelli produttivi sottostanti ma non producono neo-valore, che corrisponde solo dal tempo di lavoro espropriato a gratis alla gran massa lavoro di tipo operaio ( il famoso plusvalore)
aggiungo anche che il dibattito su ciò che è lavoro produttivo e ciò che non lo è non ha mai visto unanimi quanti se ne sono occupati, non poco si potrebbe eccepire su quanto ho scritto, ma in tale prospettiva certi settori innovativi non sono la via di uscita del capitalismo dalla propria crisi generale ( vogli dire che è il pensiero unico neoliberale che li descrive come tali)
Cio non toglie che le aree o nazioni che per prime si posizionano in questo settore dell’innovazione ne traggono indubbi benefici finchè il sistema regge
la riflessione sul lavoro produrttivo di valore o non produttivo di questo ha ceduto il passo con l’avanzare dela globalizzazione, quando si è preteso da parte di alcuni economisti che anche la finanza speculativa fosse produttiva di neovalore, o da parte di altri, che portare una maglietta con un logo di sopra ( pubblicità involontaria) corrispondesse alla produzione di neo-valore
Come è finita l’abbiamo visto, il valore realmente prodotto non corrisponde minimamente alla contemporanea leva finanziaria ed alle pretese del capitalismo contemporaneo, e quindi tutto crolla ( il prossimo crollo sarà imparagonsabile al precedente, nella speculazione non è cambiato nulla anzi tutto è peggiorato)
Condivido la tua analisi. Diciamo che il mio era solo un esempio. Sperare di mantenere l’apparato produttivo del passato è difficile, visto che l’elite economica e politica italiana ha chiaramente contrattato con la classe dirigente transnazionale il mantenimento dei propri privilegi e la possibilità di carriere negli organismi europei e mondiali con la cessione del patrimonio industriale nazionale, pubblico e privato. Credo che sia impossibile contrastare questo probabile accordo ai piani alti e sia necessario cercare strade alternative.
La crisi industriale italiana ha molti padri: dai politici sempre più incapaci e privi di idee o progetti ad una classe imprenditoriale inadeguata ad affrontare il nuovo mondo globalizzato dopo essere vissuta per decenni sotto la protezione dei dazi e della politica corrotta.
L’eredità industriale ereditata dalla Prima Repubblica, geniale ed efficace, con le sue grandi aziende pubbliche in grado di sfondare i mercati esteri per facilitare l’entrata delle imprese private è ormai destinata a scomparire fagocitata dai grandi gruppi esteri in combutta con la nostra elite corrotta.
D’altronde anche le altre economie europee, come quella tedesca, basate sulla produzione di automobili, frigoriferi e lavatrici non potranno durare a lungo con profitti sempre più declinanti.
Per rinascere come grande potenza economica bisogna accettare questo cambiamento e rinnovare il Paese partendo dall’istruzione e dalla ricerca. Un esempio di successo in questo senso è rappresentato dallo Stato di Israele, una nazione che fino a pochi anni fa era ancora legata alla vecchia economia basata sull’industria e ora, grazie agli sforzi e agli investimenti nel settore della ricerca e dell’università dei vari governi, ha cambiato in modo positivo tutta la sua struttura basandola sulle famose start up dell’informatica e della green economy.
https://www.linkiesta.it/it/blog-post/2019/07/18/istruzione-startup-e-innovazione-e-israele-il-paese-per-giovani/28209/
https://thefoodmakers.startupitalia.eu/64414-20190712-israele-ecco-le-opportunita-per-le-startup-italiane?cn-reloaded=1
Si può leggere:
https://comedonchisciotte.org/classe-rivoluzionaria-cercasi/