Da molti anni il premio Nobel per la letteratura viene assegnato in base a logiche che solo marginalmente hanno a che fare con meriti artistici quanto piuttosto con la chiacchiera del potere occidentale nelle sue varie manifestazioni, con la diffusione delle lingue (eccetto quelle scandinave per ovvie ragioni), con questioni ideologiche e geopolitiche. Insomma quasi sempre la letteratura o quel che ne rimane in occidente – ed è davvero ben poco – costituisce un elemento di secondo piano e quando per una sorta di miracolo o di svista essa prende il sopravvento e viene premiato uno scrittore vero che per avventura non appartiene al cartello del PUO, pensiero unico obbligatorio, scoppiano le polemiche. E’ accaduto quest’anno con il conferimento del premio a Peter Handke, lo scrittore austriaco colpevole di aver criticato a suo tempo la guerra contro la Serbia, che oggi sappiamo essere stata giustificata con le consuete menzogne e all’interno di una narrazione unilaterale e speciosa.
Dopo l’uscita del 1966 del suo breve saggio “Giustizia per la Serbia” ( il titolo originale è lunghissimo: Eine winterliche Reise zu den Flüssen Donau, Save, Morawa und Drina oder Gerechtigkeit für Serbie, Viaggio invernale sul Danubio, la Sava, la Morava e la Drina, ovvero giustizia per la Serbia) è diventato una sorta di appestato: fu attaccato da molti intellettuali, tra cui lo pseudo scrittore Salman Rusdie, che deve benedire ogni giorno della sua vita la fatma che lo ha reso famoso senza nemmeno l’ombra di qualche merito letterario, mentre Wim Wenders non gli chiese più sceneggiature, insomma il trattamento completo da parte di ambienti, sempre diligenti quando si tratta di evitare coloro che si discostano dall’ortodossia liberista. L’ultimo sgarro di Handke è quello di aver partecipato ai funerali di Milosevic morto in galera senza uno straccio di processo, che probabilmente non verrà mai fatto fino a che i principali protagonisti sono in vita per evitare figuracce ai poteri occidentali. Tuttavia Handke viene accusato dai firmatari di una petizione perché gli venga revocato il Nobel, “di aver usato la sua voce pubblica per ridurre la verità storica” e prosegue “In un momento di crescente nazionalismo, leadership autocratica e disinformazione diffusa in tutto il mondo, la comunità letteraria merita di meglio.”
Ora tutto questo arriva quando la “verità storica” che venne posta a fondamento della guerra e alla quale Handke si oppose, si è dimostrata fasulla, ma a parte questo assurdo automatismo dell’immoralità e dell’ideologismo più rozzo, la polemica è molto interessante perché svela in maniera inequivocabile le contraddizioni in cui cade la retorica imperial globalista quando tenta di dare un senso ai suoi slogan: il riferimento al nazionalismo e alla necessità di non avere stati etnici come fu detto al tempo della guerra (“Non c’è posto nella moderna Europa per stati etnicamente puri. È un’idea del 19 ° secolo e stiamo provando a trasformarla nel 21 ° secolo, e lo faremo con stati multietnici”) è a dir poco paradossale e grottesco proprio perché la Jugoslavia era per l’appunto uno stato multietnico e per certi versi anche multiculturale, che non è stato affatto aiutato a superare le difficoltà, anzi esse sono state accuratamente coltivate ed enfatizzate per riuscire a disgregarlo in una galassia di staterelli divisi su confini vetero storici, etnici, nazionalistici e culturali, alla luce di ragioni geo strategiche che niente hanno a che vedere con i buoni propositi espressi per compiere il misfatto. Non occorre essere premi Nobel per comprendere che i motivi portati a giustificazione della guerra non sono soltanto pretesti, ma appaiono diametralmente opposti a ciò che con essa si voleva realizzare.
Ma bisogna capire che Il globalismo è per sua essenza stupido, prevede solo reti di terminali che si attivano su impulso del server centrale e che per non essere rottamati come mal funzionati, devono presentare la stessa immagine: tutto il resto è fake news.
La Jugoslavia multietnica costruita dal maresciallo Tito aveva aumentato il PIL ad una media del 6% annuo tra il 1960 e il 1980, godeva dell’assistenza medica gratuita e di un tasso di alfabetizzazione del 90%.
Purtroppo per lei, gli strateghi militari di Washington consideravano la “diagonale ortodossa” Mosca-Belgrado la direttrice fondamentale attraverso la quale la Russia avrebbe potuto esercitare la sua influenza sull’Europa dopo la fine della Guerra Fredda.
Si decise quindi di sottoporre la Jugoslavia alle cure neoliberiste della BM e del FMI per disinnescare il pericolo.
Nel 1989 il presidente Bush senior convocò il primo ministro Ante Markovic e gli ordinò il passaggio all’economia di mercato pena l’estromissione del suo Paese dai circuiti finanziari.
Quindi l’FMI erogò un prestito necessario a garantire la riconversione economica della Jugoslavia accompagnato dalle solite misure di austerità, compressione dei salari, taglio dei sussidi alle industrie e dei dipendenti pubblici, privatizzazione delle imprese pubbliche e svalutazione della moneta.
Tra il Gennaio e il Settembre del 1990 i salari crollarono del 41%, 900 aziende fallirono e 500.000 persone persero il lavoro.
Le entrate fiscali che avrebbero dovuto essere inviate alle repubbliche e alle province autonome furono utilizzate per pagare gli interessi sul debito contratto con l’FMI.
In questo modo gli USA fecero saltare i rapporti tra centro e la periferia dello Stato basati sulla ripartizione del denaro pubblico. Iniziarono così le spinte indipendentiste che portarono alla disgregazione della repubblica federale e alla successiva avanzata della NATO verso i confini russi.
L’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura, che anno dopo anno perde sempre più credibilità e prestigio (l’anno scorso non fu consegnato per fatterelli degni di un tabloid anglosassone), ha raggiunto sub-livelli tragicomici con la premiazione di personaggi ridicoli oltre che mediocri scribacchini. Il primo che mi passa per la testa è l’ineffabile lecchino globale mariovargasllosa, che piagnucolò per decenni onde gli venisse assegnato l’ignobile Nobel, fino a quando gli stremati accademici di Stoccolma non ne poterono più e lo accontentarono come un bimbetto capriccioso che guaita per tutta la fiera fino a quando non gli comprano lo zucchero filato.
Le sue opere dimenticabili quali pantaleonelezoccole, o giù di lì, e laziajuliaeloscribacchino (vagamente autobiografica…), non sono lontanamente paragonabili ad uno scarabocchio lasciato a caso dal Maestro Gabo Garcìa Màrquez. Eppure questo personaggetto (che nel ’90 si presentò alle Presidenziali del suo Paese – il Perù, dove è considerato alla stregua di un mediocre salottiero blablaista a palle incatenate – riuscì nell’impresa di farsi battere da Fujimori, il Salvini del tempo, ‘mutatis mutandis’, e, dopo aver piagnucolato al solito “mamma mi son fatto la bua… ueee…”, abbandonò il popolo peruviano al suo destino ed andò ad arricchire il gossip rosa dei tabloid spagnoli, di cui prese la nazionalità e la patrignità di Enrique Iglesias, tra un’articolessa globalista e un titolo nobiliare elemosinato da S.M. Juan Carlos, dopo un’inenarrabile sfilza di piagnistei, al solito, e tanto presenzialismo nel jet-set della gente che non piace alla gente che non piace). Eppure, dicevo, questo impiastracartigli compila-centoni che non valgono un carlino di stagno, ha ricevuto il Nobel per la Letteratura: c’è speranza anche per baricco o per carofiglio…
ma cos’è sta merda? ma va camina va… te e il nazionalismo serbo…
Per la verità a supportare i nazionalismi furono il Vaticano soprattutto, la Repubblica Federale Detesca, che subito riconobbero le scissioni etniche di Slovenia Croazia… con ciò assestarono il colpo di grazia alla luminosa magnificente e gloriosa convivenza tra etnie molteplici che era stata peculiare della ex iugoslavia
La Germania appoggiò le secessioni per creare un sistema produttivo integrato con Stati a basso impatto salariale e a cambi depressi che potessero rifornire la sua industria di componentistica dal basso valore aggiunto.
Ancora più interessanti sono i motivi che spinsero il Vaticano a sostenere l’indipendenza di Slovenia e Croazia: recuperare i beni ecclesiastici che erano stati nazionalizzati dal regime comunista dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.