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Al Baghdadi, morto la settima volta

Chissà se  l’ex califfo dell’ Isis Al Baghdadi questa volta è davvero morto, dopo essere stato eliminato a parole in ben sei occasioni negli ultimi cinque anni. Ma adesso la notizia ha una consistenza maggiore che in passato benché le narrazione secondo cui si sarebbe fatto esplodere assieme alle sue mogli in un tunnel,  non prima di aver “piagnucolato”,  cosa difficilmente riscontrabile nelle condizioni nella quale la Cia avrebbe condotto l’operazione, farebbe pensare ad un’ennesima e grottesca balla. Non c’è dubbio infatti  che Trump, dopo le critiche ricevute per l’abbandono della Siria anche da parte dei repubblicani aveva bisogno di un colpo simbolico per recuperare terreno e poi perché un Al Baghdadi vivo sarebbe un disastro per gli Usa se per caso finisse nelle mani dei turchi o dei russi, evento ormai probabile: ha molto da dire sulla preparazione e sull’organizzazione delle guerre mediorientali da parte americana e come si fa quando si bruciano i ponti, si eliminano i personaggi scomodi.

La storia di quest’uomo è infatti intricata, oscura e si svolge tutta all’ombra di Washington: accusato di resistenza ai “liberatori” per aver formato un gruppo armato e aver ucciso parecchie persone legate al governo fantoccio di Bagdad,  era stato catturato nei pressi di Falluja e rinchiuso nel campo di concentramento americano di Camp Bucca in Iraq, ma nel 2004, dopo pochi mesi di internamento venne misteriosamente liberato a causa di “un solito errore di burocrazia” come ci spiega il candide filo americano Gianni Riotta che ha una visione della realtà simile a quella di un bambino e anche un po’ tonto. In realtà la sua scarcerazione non avvenne per qualche errore, ma su indicazione della commissione Combined Review and Release Board, che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”, riconoscendolo un come “prigioniero di basso livello”, cosa che stupì molto il colonnello Kenneth King che era tra i comandanti del campo perché invece era considerato una persona estremamente pericolosa. Ma fare 2 + 2 è considerato complottismo. Dopo la detenzione e la liberazione Al Baghdadi si avvicino ad Al Qaeda (che oggi è alleata degli Usa) e ne divenne uno dei capi più in vista. Oggi sappiamo che il progetto  primavere arabe e i piani per un mediorente “americano” risalivano già ai primi anni del secolo e dunque non c’è bisogno di un particolare acume per arguire che il futuro capo dell’Isis fosse stato individuato come uno dei personaggi in grado di servire a tali disegni.

Infatti se guardiamo la foto a fianco, scattata nel 2013 vediamo  il poco compianto senatore John McCain,  –  avversario di Obama nelle elezioni del 2008, ma dal 1993 presidente dell’International Republican Institute, una Ong fondata da Reagan per estendere le attività dei servizi segreti anglosassoni – che parla con Al Baghdadi  (il primo a sinistra di profilo ) quando ancora faceva parte dell’esercito siriano libero, ossia l’organizzazione che era servita per simulare la guerra civile siriana (McCain li chiamava “moderati dei quali ci si può fidare”) e che in seguito divenne il nucleo del Califfato.  Da notare che all’epoca nella quale il senatore americano si intrattiene affabilmente con il futuro Califfo questi compariva già da due anni nella lista dei cinque terroristi più ricercati negli Usa, con una taglia da 10 milioni di dollari ed era pure inserito nell’ elenco del Comitato per le sanzioni dell’ Onu come membro di Al Qaeda. Insomma si può comprendere bene come il Califfo dovesse morire o comunque sparire: sapeva davvero troppe cose perché gli americani potessero rischiare che cadesse in mano a qualcun altro. Qui non si tratta di essere o meno complottisti, ma di essere uomini o burattini.

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