2015629193814_1Comprador sembra spagnolo, ma in realtà è un termine portoghese che si è iniziato ad usare nell’ Ottocento tra Macao e Hong Kong per indicare un nativo dei luoghi che assisteva i compratori europei nella trattazione dei loro affari e successivamente ha assunto, anche nella lingua inglese,  il significato di persona che svolge la funzione di agente per un’organizzazione estera e ne promuove gli investimenti in loco in campo commerciale, economico o politico. Ora è abbastanza evidente che a partire dagli anni ’80 con il declino dell’Unione Sovietica e la conseguente perdita di capacità contrattuale del Pci che ne ha poi determinato lo sfilacciamento ideologico e l’implosione ideale, il sistema politico italiano sostanzialmente strutturato attorno al compito di mantenere il Paese nell’area occidentale  è entrato completamente in questa dimensione di procuratore di interessi altrui.

Si è trattato ovviamente di un processo durato circa un decennio che potremmo convenzionalmente far partire dalla strage di Bologna del 1980 con i suoi misteri irrisolti ancorché coperti da verità giudiziarie per finire con mani pulite e l’ascesa di Berlusconi che è già una conseguenza dello sfascio morale e civile del Paese. In questo lasso di tempo sono accadute alcune cose salienti che hanno segnato questo cammino: la separazione fra Banca d’Italia e Tesoro, il referendum sulla scala mobile, l’adesione all’euro, la svendita dell’ Iri e della presenza dello Stato nell’economia il tutto accompagnato da una narrazione in favore del bipartitismo come ideale per la governance e non per la partecipazione e la rappresentanza. Insomma i nostri compradores agivano come procuratori della finanza internazionale, la quale però non interveniva in maniera diretta, bensì attraverso uno dei suoi più efficaci strumenti, proprio quell’Europa già malata malata di neoliberismo che ancora oggi è uno dei suoi bastioni principali di retroguardia nel  mutamento di paradigma che si avvicina a grandi passi. “Lo vuole l’Europa” da noi come anche altrove è stato il gingle politicamente accettabile di lo vogliono multinazionali e banchieri. Una volta arrivato a maturazione questo processo, abbiamo assistito a continue battaglie sul nulla, a uno scontro fa il mondo berlusconiano e una sinistra sempre più sedicente  che non avevano alcuna consistenza sul piano politico, sulle prospettive e i programmi  che erano sostanzialmente le stesse, ma soltanto sul piano dell’immagine e sugli assetti di potere interni. Gli unici eventi politici di rilievo si sono svolti completamente al di fuori del palazzo e il più importante dei quali è stata la vicenda del G8 a Genova: purtroppo ciò che poteva sembrare un inizio si è ben presto rivelati gli ultimi fuochi della contestazione radicale del sistema.

Tuttavia quella violenta battaglia cui abbiamo assistito e a cui abbiamo anche partecipato aveva un senso e precisamente quello di nascondere attraverso una batracomiomachia senza soluzione la direzione generale delle cose. Poi il potere globalista si è sbarazzato di Berlusconi, quando ha capito che il personaggio,  chiaramente preda di una sindrome senile,  stava perdendo terreno e rischiava di far nascere qualche opposizione reale mettendo da parte i compradores di mestiere. il rischio in effetto era reale e anzi a un certo punto quell’opposizione sembrava in grado di coagularsi. Ma era il sogno prima prima del brusco risveglio in cui si è scoperto che tutti erano europeisti, euristi, seguaci della Nato e iniziati alle pratiche misteriche del  culto mercatista. Allora la natura compradora della democrazia italia è apparsa in tutto il suo fulgore: prima i giornali della destra più becera definivano governo giallo rosso come comunista mentre quelli sinistresi lo consideravano fascista, ma adesso il governo giallo fucsia ha  il medesimo presidente del consiglio, rigorosamente non eletto da nessuno e con oltre la metà dei parlamentari in comune con il vecchio governo. E il giudizio sui è quasi invertito. Del resto nella desolazione politica più completa suscitare ostlilità è necessario in quanto essa simula per analogia l’esistenza di idee e prospettive che si sono estinte da tempo: cos’è mai uno stadio senza le curve? Nello sfascio e nella farsa occorre una sorta di mitopoietica quotidiana che distolga dal vuoto e offra un qualche stimolo: così la polemica politica non è affatto differente dalle dinamiche degli stadi. Senza ostilità le cose apparirebbero nel loro desolato squallore.