la-profezia-di-george-orwellPer quanto forte sia la capacità di autosuggestione mi riesce difficile comprendere come si faccia a illudersi che la risoluzione con la quale il parlamentino europeo ha equiparato nazismo e comunismo sia un incidente di percorso, una svista, oppure una scivolata culturale priva di grandi effetti. Essa è invece lo specchio di un vasto movimento censorio che tende a cancellare qualsiasi cosa si contrapponga al pensiero unico nel suo complesso e alle sue tesi specifiche che può essere osservata nella sempre crescente restrizione della libertà di espressione, sia ad opera degli stati che di soggetti privati ed è esattamente la nuova versione di fascismo elaborata dal capitalismo. Un grande scrittore tedesco, figlio della ricca borghesia anseatica e dunque testimone diretto dell’ antropologia capitalistica ha scritto nel dopoguerra qualcosa che oggi ci appare come profetico:  “Porre il comunismo russo sullo stesso livello morale del nazi-fascismo, perché entrambi sarebbero totalitari, è nel migliore dei casi superficialità, nel peggiore dei casi è fascismo.
Chi insiste in questa equiparazione può presentarsi come democratico, in verità e nel profondo del cuore, egli è già fascista e di sicuro combatterà il fascismo in apparenza ed ipocritamente, ma odiando soltanto il comunismo. 
Nel rapporto del socialismo russo e del fascismo con l’umanità, con l’idea dell’uomo e del suo futuro, le differenze sono incommensurabili. 
La pace indivisibile, il lavoro costruttivo, il giusto guadagno; un consumo comune dei beni della terra; più felicità, meno sofferenza causata solo dall’uomo ed evitabile; un’elevazione spirituale del popolo attraverso educazione, conoscenza, formazione: tutte queste sono mete diametralmente opposte alla misantropia fascista, al nichilismo fascista, al piacere fascista di umiliazione e alla pedagogia fascista d’istupidimento. Il comunismo come la rivoluzione russa cerca di realizzarlo, in particolari condizioni umane, e nonostante tutti i segni di sangue che potrebbero confonderci, è in sostanza — e molto al contrario del fascismo — un movimento umanitario e democratico.”

Certo Thomas Mann non deve essere tra le letture dei parlamentari europei che nel migliore dei casi sono sono degli ignoranti acculturati, ma la censura che vuole attuare in maniera programmatica Facebook è sotto gli occhi di tutti al punto che il social network vuole addirittura istituire un tribunale per eliminare i contenuti che non gli piacciano. Bisognerebbe capire a chi non piacciono e per quale motivo, ma diciamo pure che non solo non lo si vuole dire, ma interrogati a fondo questi ricchissimi poveracci non lo saprebbero nemmeno spiegare perché non sono mai andati oltre lo slogan: così come nei brodi di coltura i batteri non vanno oltre il cerchio di penicillina, così questi non riescono a superare la barriera che dalla frase fatta passa alla capacità critica. Ma la cosa evidente evidente è che si crea uno stato sovrano dentro stati che non lo sono più, con le proprie leggi e la propria censura: alcuni pensano che non ci sia nulla di scandaloso in questo perché Facebook è una società privata e dunque fa ciò che vuole, ma sono gli stessi che appartengono alla cultura delle equiparazioni: qualunque azienda privata non può e comunque non dovrebbe agire al di fuori delle leggi in cui opera: dove c’è libertà di espressione essa non può essere negata soprattutto in una rete sociali ideata per dare la possibilità di esprimersi. E’ come se in un circolo di cucito, si negasse la possibilità di parlare del punto croce: ma siccome c’è abbastanza confusione da distinguere tra comunismi e nazismo ce ne è abbastanza per fare ragionamenti sommari ed equivoci.

L’unico modo per rendere credibili questi tribunali faccia libreschi sarebbe quello di sconfessare la pretesa universalità, ovvero quella di essere una piattaforma tecnica neutrale e ci si schieri apertamente. Ma questo non è possibile sia per ragioni commerciali, sia perché il pensiero unico ha una natura interiormente equivoca grazie alla quale riesce a confondere mezzi e fini mettendo le persone in un labirinto dal quale non riescono ad uscire. Senza dire poi che questa natura ambigua si riflette anche nei rapporti fiscali con gli stati  nei quali opera, cosa questa che può essere usata come mezzo di scambio  per le censure. Tutto alla fine si tiene: le scandalose risoluzioni del Parlamento europeo, così come  i tribunali di Facebook, non sono che un’escalation verso il controllo delle idee: il silenzio prende il posto della galera e anche se non c’è la Tokubetsu Kōtō Keisatsu, la polizia giapponese della prima metà del secolo XX° che appunto era rivolta  a sopprimere i “pensieri pericolosi”, lo stesso effetto si ottiene grazie alla struttura padronale dei mezzi e delle infrastrutture di comunicazione. Benvenuti a casa Orwell.