7C08E059-85FE-491A-9FFA-CAA2A58C8FD3Benché la politica italiana sia stagnante e spesso maleodorante per la presenza delle erbacce clientelari diffuse a tappeto, benché il tentativo di inaugurare un nuovo corso sia miseramente fallito per inadeguatezza pratica e ideale facendo persino risalire a galla dai fondali melmosi, i personaggi ormai impresentabili che sono stati gli starter del declino,  le cose attorno allo Stivale sono profondamente cambiate e qualsiasi nuovo governo dei prossimi anni non può limitarsi a vivacchiare perché questo significherebbe morire, non può più crogiolarsi nell’obbedienza semplicemente perché le voci del padrone sono ormai confuse e divise. La comparsa sulla scena planetaria di una potenza industriale di forza straordinaria come la Cina, la rinascita russa, l’affacciarsi sulla scena di nuovi protagonisti prima inesistenti, ha finito per provocare la frattura del potere occidentale in diverse zolle tettoniche il cui dislocamento è solo parzialmente geografico, ma soprattutto all’interno delle sue stratificazioni: abbiamo da una parte Trump e dall’altro uno stato profondo in cui le grandi multinazionali, quelle tradizionali e quelle nate da internet alleate di ferro con la finanza globalista; abbiamo il tentativo americano di bloccare la via della seta, coinvolgendo anche i renitenti Paesi europei su un fronte insensato per gli interessi del vecchio continente e ancor più per l’Italia: è anche in corso un guerra tecnologica in cui i detentori di internet, in sostanza gli Usa che ne hanno da sempre rivendicato il monopolio, cominciano a perdere terreno come illustra fin troppo chiaramente il 5G, ma le battaglie che si combattono non sono affatto lineari, le alleanze sono a geometria variabile, le major della rete da una parte tentano di conservare il monopolio dall’altro cercano alleanze con i colossi cinesi contro Trump.

Insomma un casino che si ripercuote interamente anche in Europa: la perentoria uscita della Gran Bretagna dall’Ue che dopo il voto popolare ha visto una battaglia di elite che ha portato alla sospensione del Parlamento; la Francia che tenta una sua avventura colonialista clamorosamente fallita in medio oriente, ma ancora viva in Africa dove si appoggia agli Usa per controbattere l’influenza cinese, ma allo stesso tempo deve guardarsi da Washington che vuole risucchiarle le sue posizioni; la Germania che da una parte si è lasciata trascinare nell’avventura Ucraina e nella stolta conflittualità con Mosca, ma dall’altra non vuole rinunciare ai propri rapporti con Russia e Asia, unico modo per tentare di conservare l’egemonia continentale. Insomma tutto è esploso ed anche se è impossibile predire come tutte queste forze plasmeranno i prossimi anni, il contesto in cui si è mosso il ceto politico italiano, ma anche il capitalismo di relazione dello Stivale, non ha più alcun senso visto che si è sempre mosso in una logica di subalternità sia alla Nato che successivamente all’Europa. L’interesse nazionale ha fatto raramente capolino in queste dinamiche ed è comunque sempre stato marginale. Se ne è avuto una specie di succedaneo nel quarto di secolo che va dagli anni ’50 fino alla metà dei ’70, ma solo perché esso in qualche modo coincideva con l’interesse di Washington di evitare la crescita del Partito comunista, ma in realtà non si è mai governato al di fuori dal vincolo esterno che è diventato persino suicida quando ci si è totalmente sguarniti di fronte al doppio e consustanziale attacco dell’ordoliberismo europeo e dell’egemonia tedesca realizzatosi attraverso l’euro. Pazienza i padroni sarebbero stati due e per giunta in accordo tra loro: tutta l’intelligenza di cui è capace il Paese è stata usata al solo scopo di campare alla meno peggio, fra terze generazioni di industrialotti incapaci di pensare e dediti alle pessime imitazioni, di bottegai dell’uovo oggi e un ceto politico raccogliticcio e troppo spesso dedito all’affarismo.

Una situazione drammatica e di fatto fuori dallo spirito della democrazia, ma che a suo modo poteva funzionare dentro uno schema semplice di appartenenza vuoi a Bruxelles -Nato che in termini ancora più vasti al Washington consensus. Ora tutto questo non è più possibile perché l’ubbidienza a un contesto può significare la disobbedienza a un altro. l’adesione a una linea può contrastarne un’altra, fare affari con qualcuno può incontrare i veti di un altro e l’accettazione di questi veti significa meno soldi per il Paese. Bisogna dunque ritrovare in questa confusa trasformazione planetaria e inedite dislocazioni di potere un qualche criterio guida che a questo punto in concreto non può che essere l’interesse nazionale, ovvero quello dei 60 milioni di italiani a cui la Costituzione conferisce una sovranità che è stata messa sotto i piedi da una razza padrona mediocre e proprio per questo ontologicamente opportunista e servile. Certo si potrebbe abbandonare facilmente ai discorsi ideologici di carattere generale e universale, ma questo fa parte della discussione per un futuro lungo tutto da costruire e ricostruire. Qui e ora dobbiamo ritrovare un sentiero, un sano egoismo che serva a tutti, non solo ai ricchi i quali dalle ricette globaliste e dai vincoli esterni sperano di sistemare le proprie idrovore di denaro anche nei settori che a stento rimangono pubblici e trasformare i cittadini in debitori senza diritti.

Per paradossale che possa apparire agli occhi dei luogocomunisti l’interesse nazionale oggi non solo coincide per molti aspetti con l’opposizione al turbo capitalismo, ma è anche l’unica traccia possibile da seguire dentro la liquefazione del vecchio ordine. Ancor più paradossalmente l’interesse nazionale è anche l’unico grimaldello possibile per favorire anche un possibile nuovo assetto europeo, oggi in mano alle elite più reazionarie come del resto si è recentemente visto con la messa al bando del comunismo.  Certo questo interesse nazionale, dopo il lungo disuso andrebbe per prima cosa riconosciuto e poi perseguito in modo intelligente, cosa impossibile per l’attuale ceto politico che di fatto è figlio del vincolo esterno e dei piloti automatici anche in quelle espressioni che parevano dover portare a un cambiamento. Che dio ce la mandi buona.