grandi-navi-venezia-inquinano-veramente-navi-crociera-v6-381602-1280x720Anna Lombroso per il Simplicissimus

Già me li immagino quelli del Simby, si purchè nel cortile degli altri. Le compagnie Costa e Aida, del gruppo mondiale Carnival Corporation, hanno prenotato per l’anno prossimo gli approdi a Trieste e a Ravenna  per tutte le navi che abitualmente iniziano e finiscono le loro crociere alla Marittima a Venezia.

In realtà si sono riservati di attraccare anche a Venezia, come hanno già fatto altre volte, ma è probabile che in questo caso si tratti di un segnale intimidatorio lanciato al Governo in previsione di un provvedimento, applaudito da autorità scientifiche come Celentano, che dirotti il passaggio delle navi corsare dal Bacino di San Marco al Canale alternativo, quello certamente meno suggestivo. dei Petroli rinforzato all’uopo da opere affidate all’immancabile Consorzio Venezia Nuova.

E infatti la stampa locale ci fa subito sapere che le due compagnie, da sole, coprono il 30% del traffico della Marittima; l’approdo che è il nono porto crocieristico nel Mondo, il terzo in Europa ed il primo home port italiano,   ristrutturato con la munifica magnificenza di più di 100 milioni di euro nel corso del decennio dal 1990 al Duemila, per conseguire il traguardo dei 2,5 milioni di crocieristi in transito all’anno, è economicamente sostenibile solo se mantiene determinati standard di utilizzo, pena un incremento delle tariffe praticate alle compagnie, che, sottolineano i riflessivi cronisti,  si sono dovute sobbarcare i costi conseguenti agli incidenti di giugno e luglio. Senza dire che già dal 2015 a causa della crisi è diminuito di almeno il 30% il numero dei croceristi, altro duro colpo dopo quella fase di arresto simbolico del 2012 con il naufragio della Costa Concordia e la promulgazione del Decreto Clini-Passera, che vietava il passaggio in Bacino di San Marco e nel canale della Giudecca alle navi di stazza lorda superiore alle 40.000 tonnellate. Il provvedimento, scaturito dall’emozione e dalla preoccupazione che un simile pericolo possa verificarsi  all’interno della città storica,  rinvia però la propria applicazione al momento in cui sarà trovato e realizzato un percorso d’ingresso alternativo. Così nel confuso e contraddittorio rimpallo di proposte, stalli, progetti e ricorsi che ne consegue, la provvisorietà diventa definitiva.

Ora chiunque dotato di un modesto buonsenso capirebbe che siamo di fronte a un altro caso Tav su scala appena un po’ ridotta: si pensano e si realizzano opere ingiustificatamente  superbe  e sovradimensionate senza fare il conto con l’oste, la riduzione del traffico, l’austerità che restringe i consumi, la proposta di nuove rotte, una inversione nel percorso della megalomania gigantista che ha abbassato l’altezza dei grattacieli in tutti i posti civilizzati salvo Milano e che  potrebbe provocare un ridimensionamento anche nelle stazze  al fine di ridurre  rischi e consumi.

Invece no, meno di venti anni fa proprio come  circa di venti anni fa si sono cominciati a praticare inutili buchi sulla montagna, si è attrezzato il porto della città più sensibile, fragile ed esposta del mondo per essere oggetto di un oltraggio quotidiano che a volte ammonta a 13 passaggi in un giorno  e che perfino a detta dell’Università che ha avuto tra i suoi prestigiosi rettori lo stesso che poi ha davvero applicato il format distopico del transito delle navi davanti a San Marco, non porta benefici economici alla città pericolosamente sfiorata dai mostri, dalla cui pancia nemmeno scendono più i suoi forzati, preferendo fotografarla e fotografarsi sul ponte più alto con la Basilica ridotta a modellino dentro la palla di vetro anche senza neve.

In previsione di trovare destinazioni con tasse e imposte più basse, per evitare altri purtroppo probabili rischi, per non aver a che fare con un’opinione pubblica che si è fatta più attenta, le compagnie stanno decidendo con il buonsenso della tasca al posto dello spirito di servizio e della cautela   dei governi che si sono succeduti, oggi incarnati dalla De Micheli che avverte che sulla Tav è inutile discutere, è tutto deciso e si è provveduto sollecitamente ad avvertire di questo l’Ue.

Che tanto si sa che a fare le scelte sono sempre i padroni: sono state le compagnie a darsi un codice di comportamento scegliendo, dopo l’incidente della Costa e in attesa che le autorità si pronunciassero,  di posizionare a Venezia solo unità fino a 96.000 tonnellate confermando la volontà di dettare le regole al posto dei soggetti pubblici fino ad acquisire nel 2016 l’intera proprietà della Vtp, la società privata a partecipazione pubblica  incaricata di “governare ed incrementare il traffico passeggeri”, diventando di fatto  gestori e clienti del terminal passeggeri veneziano, un mostro giuridico che ha altri illustri precedenti nella Serenissima.

Adesso i combattenti Non Grandi Navi saranno imputati di aver prodotto un danno economico che avrebbe dovuto risarcirci di quello morale prodotto sulla nostra reputazione dall’aver permesso quell’affronto recato alla crescita, come se le navi da crociera fossero virtuose più delle petroliere della Schell,  come se i loro carburanti fossero più respirabili di quelli dei vecchi Concorde (in Europa 203 navi da crociera inquinano più di tutte le auto, 260 milioni, in circolazione), come se non fosse dimostrato dimostrato il pericolo prodotto dallo spostamento d’acqua  sulla idromorfologia lagunare, come se non fossero in discussione da anni il volume  e la tipologia di turisti che si riversano e occupano una città già drammaticamente desertificata  dall’espulsione di residenti e attività. E come se i proventi non fossero a unico beneficio non di Venezia bensì dei privati che con la privatizzazione dell’aeroporto di Tessera e grazie al regalo offerto a una enclave extraterritoriale (le navi) da gestire in regime di monopolio da compagnie  straniere – che hanno interesse a fare apparire pochi profitti in loco, per trasferirli all’estero – hanno creato e consolidato un polo che accentra e gestisce l’accesso navale e aereo, estraneo alla città anche se costruito con capitali pubblici.

Diceva il Marco Polo di Calvino: ogni volta che descrivo una cottà dico qualcosa di Venezia. Adesso potremmo dire che ogni volta che decsriviamo la morte di una città dobbiamo pensare a Venezia, al suo Arsenale dove di costruivano le navi che ne avevano fatto una trionfante potenza, davanti al quale sfilano i tetri condomini con i loro nuovi forzati.