190910113842-01-trump-bolton-file-restricted-exlarge-169La notizia del licenziamento di Bolton, famigerato consigliere per la sicurezza nazionale, oltre che guerrafondaio senza pentimenti, ha lasciato sorpresi un po’ tutti perché da un anno e passa è questo personaggio ad aver gestito le vicende di Iran, Venezuela, Afganistan, Corea del Nord oltre alle pratiche di  più lungo periodo riguardanti la Russia e la Cina tra cui figura il ritiro unilaterale dal trattato sulle armi nucleari che prevedeva la  proibizione dei missili a corto e medio raggio. Cosa significa questo benservito improvviso oltre a dimostrare l’assoluta improvvisazione con cui Trump tiene le redini dell’amministrazione americana? Probabilmente la decisione è arrivata per poter trattare con l’Iran in maniera meno aggressiva o forse per questioni di politica interna, ma lo sfondo è quello che riguarda le sempre maggiori difficoltà americane e occidentali nel sovvertire regimi o allestendo colpi di stato militari o attraverso le rivoluzioni colorate.

Si sa che è stato Bolton a scegliere Guaidò come personaggio chiave del sovvertimento venezuelano, pensando scioccamente che potesse tirarsi dietro l’esercito ed è stato lui a pensare che stracciando il trattato sul nucleare, Teheran cedesse  come un castello di carte. Insensatezze, ma che hanno già una storia dietro le spalle. Il fatto è che dopo la Jugoslavia e l’Irak l’occidente e gli stati Uniti sembrano incapaci di portare a termine quelle operazioni che una volta riuscivano alla perfezione secondo un copione standard: identificazione del Paese da scardinare in ragione di interessi economici o geopolitici, scatenamento dei media contro di esso e contro il suo “regime”, approvazione di sanzioni per fiaccare il morale della popolazione, specie quella più povera e deprimere l’economia, minacce come se piovesse e se tutto ciò non fosse bastato, intervento militare in prima persona o attraverso mercenari che possono essere estremisti islamici raccolti un po’ dovunque come in Siria per simulare una guerra civile, oppure falangi neonaziste come in Ucraina o infine le forze armate del Paese stesso, spesso dipendenti dall’occidente.  Tuttavia la cosa non sembra funzionare più come prima nonostante le decine di miliardi profusi in queste operazioni attraverso i servizi, le ong, le quinte colonne: i Paesi colpiti dalle mire occidentali conoscono ormai benissimo le prospettive di una resa, ovvero miseria, predazione delle proprie risorse e molto spesso veri e propri governi fantoccio che governano il fantasma di una democrazia inesistente, ma sanno anche che l’impero nelle sue varie articolazioni non è onnipotente: per esempio non può permettersi grandi perdite umane e quindi può agire solo attraverso le armi a distanza o con piccoli contingenti di appoggio ai mercenari. Una guerra vera con decine di migliaia di caduti destabilizzerebbero società che già sono sotto un vulcano. Inoltre tali operazioni  trovano un forte ed esteso contrasto in Paesi assolutamente determinati a non farsi travolgere: si tratta di nazioni militarmente fortissime come la Russia o dall’economia gigantesca come la Cina che ormai hanno compreso il gioco. Finora il Venezuela e la Siria sono sopravvissute agli assalti, l’Iran sta cercando di espandere la propria aerea di influenza, la Russia ha risposto per le rime agli attacchi riprendendosi parte dell’Ucraina,  la Cina riesce a tenere a bada le sovversioni sponsorizzate dall’Occidente e/o dai boss della mafia come ad Hong Kong.

E’ quasi ovvio che in questo quadro generale i falchi sbattano il muso più violentemente contro la nuova realtà e finiscano per essere sostituiti ( in due anni se ne sono alternati 3 alla Casa Bianca), ma ciò non toglie che l’occidente nel suo complesso non possa rinunciare alla sua politica di imperialismo perché è da essa che dipendono il sistema e dunque la sopravvivenza delle elite di comando che l’hanno costruito. Poco importa che come scrive Andre Vltchekq a forza di opprimere gli altri lo stesso occidente è diventato luogo di oppressione: quindi stiamo entrando in una fase di instabilità dove episodi di questo genere, cambiamenti di tattica e inversioni di marcia saranno all’ordine del giorno anche in assenza della fatuità di Trump e delle sue giravolte giornaliere: il multipolarismo sta pure determinando una serie di fratture all’interno dello stesso occidente e delle sue oligarchie con Germania e Inghilterra che perseguono un proprio disegno complicando ulteriormente le cose e trascinando altri Paesi in queste avventure. Per fortuna che noi abbiamo il nuovo governo Conte e un ministro degli esteri come Di Maio: quanto a declino siamo in una botte di ferro.