agrigentoSono in Sicilia quando mi raggiunge la notizia del ritorno di Dario Franceschini al Ministero dei Beni Culturali, ora diventato della Cultura.
E sono reduce da una visita ad Agrigento che la dice lunga sulla combinazione dei criteri di valorizzazione e turismo che hanno ispirato le politiche di tutti i governi degli ultimi decenni, che ha permesso che la gestione dei nostri beni culturali, quei giacimenti, quel petrolio che dovrebbe costituire la ricchezza contemporanea e futura del Sistema Paese (non a caso uso il gergo in voga presso il ceto politico in forma bipartisan) venisse affidata a cerchie che coniugano inefficienza e illegalità, in modo da fare spazio negli interstizi a forme parassitarie di sopravvivenza.
Chi arriva ad Agrigento, fa la scoperta sgradita che non esistono indicazioni per raggiungere la Valle dei Templi, mentre proliferano quelle per un centro commerciale: la Città dei Templi appunto, che se lascia l’auto nei parcheggi a pagamento deve raggiungere gli ingressi del sito archeologico con mezzi privati, taxi collettivi a pagamento, che una volta fatta la lunga code per equipaggiarsi del biglietto ha la rivelazione che quello che viene pomposamente chiamato Schuttle e che dovrebbe percorrere l’intero itinerario, si ferma a metà via dove se non sei in condizione di proseguire perchè magari hai una qualche invalidità, non hai a disposizione la benemerita dei taxi che ti dovrebbe riportare all’auto. Non esiste una mappa, una breve illustrazione dell’area e dei suoi tesori offerta con il biglietto non proprio economico, forse nel’illusione che il popolo dei selfie sia arrivato equipaggiato della necessaria conoscenza, o forse per favorire i clan delle guide che li assediano. Non ti resta che trovare riparo nel ristorante dal quale godi l’immagine allegorica di Agrigento e della nostra mesta contemporaneità: l’immagine dei tre dei templi che si ergono maestosi e al tempo stesso così fragili sotto le sconce costruzioni frutto delle mani sulla città.
Allegoria per allegoria, Franceschini è l’uomo giusto al posto giusto perché si continui su questa strada perversa: voglio ricordare brevemente come si è distinto negli anni per consolidare la tendenza alla commercializzazione del bello e del “nostro”. Dobbiamo a lui la riforma dei Beni Culturali che ha fatto gridare allo scandalo studiosi, storici, ma anche chiunque pensa che si tratti di beni comuni che vanno salvaguardati proprio come esige la democrazia e come è scritto nella nostra Costituzione e non juek box coi quali fare cassa. A lui dobbiamo un esemplare silenzio quando alcune regioni con colpevole ritardo- ma viene da dire: meglio così- hanno confezionato piani paesaggistici che hanno cancellato regole, criteri e requisiti di tutela, il peggiore di tutti quello della Sardegna che ha fatto strame di quello di Soru, per arrivare a quello recente del Lazio. Altrettanta pudica riservatezza è stata dedicata da lui alla legge sfasciaparchi, così era stata chiamata, che doveva far dimenticare Cederna come una colpa e che per fortuna si è persa per strada.
E non voglio dimenticare la sua battaglia ahimè vinta per la nomina nei principali musei italiani, di direttori-manager, quelli che hanno promesso, e non mantenuto, di mangiare la bellezza come fosse salame tra due fette di pane facendo soldi da aggiungere a quelli di generosi sponsor in veste di mecenati. E che hanno fatto su ridicoli gruzzoletti offrendo le sedi dei prestigiosi contenitori dell’arte e della creatività a sfilate di moda (l’intimo alla Gipsoteca) , performance di zumba (al Museo Egizio di Torino), convention aziendali (pure su Ponte Vecchio), gare di canottaggio (nella piscina della Reggia di Caserta).
Ma non basta: Interrogato dopo le scosse successive a quella del 24 agosto che fecero crollare quello che era rimasto miracolosamente in piedi, mentre si inorgogliva a una mostra mercato sul turismo, ammise che in effetti se si fossero puntellati chiese ed edifici , avrebbero potuto salvarsi. Ma si sperava che il peggio fosse passato .. e poi erano interventi che richiedevano tecnici e finanziamenti. Forse quelli che si proponeva di raccogliere facendo pagare l’ingresso al Pantheon proprio come voleva Mussolini, per contribuire con maggior dovizia alla manutenzione del Colosseo cui non sono sufficienti le risorse dello scarparo. O quelli che meditava di coagulare intorno all’ipotesi di fare della Sicilia il polo del golf mondiale.
Stasera sarà contento il sindaco Brugnaro che proprio oggi ha resa nota la sua pensata per salvare Venezia dalle emissioni inquinanti, non proibendo il passaggio delle Grandi Navi in Bacino, ma imponendo il divieto di fumare in Piazza. Con Franceschini ci fu in passato una bella intesa sulla necessità di conciliare turismo e valorizzazione, che così si chiama il sacco d’Italia oggi.