$_10Come avevo accennato in un post di qualche tempo fa la Germania sta entrando in crisi visto che la sua produzione industriale è in vistoso calo, fa segnare un “meno” anche in questo terzo trimestre del 2019, almeno stando alle previsioni della Bundesbank e dunque siamo vicini alla recessione in senso tecnico. Ma non sono queste terminologie para economiche che interessano, quanto il fatto che arriva sul banco degli imputati  tutta la politica che ha guidato l’Europa dopo l’introduzione dell’euro: l’erosione dei mercati da parte di altre economie extraeuropee non può trovare compensazione nel mercato continentale impoverito dalla moneta unica,  dalla caduta dei salari e da tutte le fissazioni reazionarie della dottrina ordoliberista  che ha sacrificato sul proprio altare il welfare, la distribuzione del reddito, gli stessi diritti del lavoro. Per le stesse ragioni anche il mercato interno tedesco non può più supportare la mitica crescita e dopo segnali che si sono susseguiti fin dagli inizi del 2018, adesso si è arrivati alla malattia conclamata.

Ma attenzione fino a che questi mali hanno attanagliato la periferia, tutte le cretinerie procicliche di Bruxelles sono state imposte con ogni tipo di ricatto politico – finanziario anche perché questo favoriva le classi dominanti, ma anche  l’egemonia del centro con il declino di altri sistemi industriali che non potevano essere in alcun modo supportati dallo Stato perché l’ingresso del pubblico nell’economia era come violare un tabù del neoliberismo cosa  che oltretutto andava contro gli stravaganti limiti di debito posti come cani da guardia nella costruzione della moneta unica. Adesso però che il veleno distribuito con grande abbondanza negli arti inferiori del continente arriva al suo cuore, la musica cambia e il ministro delle finanze del governo di Berlino, Olaf Scholz dichiara di voler aumentare la spesa pubblica di 50 miliardi, mentre a noi si negano persino gli spiccioli. Con questo non solo si stracciano i presupposti economici cui tutti gli altri si sono dovuti attenere, ma si abbattono a picconate anche le fondamenta dell’unione politica, perché la Germania può permettersi qualcosa che a tutti gli altri è stato vietato negli ultimi vent’anni e per giunta senza nemmeno consultare la commissione europea che del resto è saldamente in mano tedesca grazie ad Ursula. Insomma viene del tutto meno quel principio paritario che è il minimo sindacale per una qualunque unione.

Qualcuno dirà vabbè ma la Germania con il 60% di debiti sul Pil può permettersi i 50 miliardi, anzi magari anche i 100, ma questa è un’illusione ottica: infatti qui parliamo di bilancio federale, mentre i debiti dei 16 Länder che ammontano a 600 miliardi  non vi fanno parte, così come non entrano i 500 miliardi di debiti  della Kfw,  Kreditanstalt für Wiederaufbau, un organismo simile alla nostra Cassa depositi e prestiti i cui 300 miliardi di debito entrano invece nel bilancio dello stato.  Così siamo già  a 1100 miliardi, senza contare le esposizioni pubbliche  del sistema delle Landesbank e Sparkasse, ovvero Casse di risparmio locali finora rimaste al di fuori dei controlli della Bce. Esse in Germania sono la bellezza di 1600 (519 in Austria), con 45 mila filiali e 700 mila dipendenti e si tratta di banche caratterizzate da scarsa redditività a fronte di elevati costi gestione, con una forte influenza della politica. Istituti che in Germania hanno finito con l’accumulare un’esposizione preoccupante a derivati e titoli “spazzatura”, ma anche una percentuale  di crediti deteriorati (che oscilla sul 7%) a causa di generosi prestiti concessi secondo logiche che di economico hanno ben poco. Il governo ha già dovuto spendere oltre 500 miliardi di euro (di cui oltre 230 miliardi di aiuti diretti) per evitarne il crack. Quanto debito occulto si nasconde lì dentro? Per non parlare poi del fatto che, a differenza di tutti gli altri Paesi dell’Ue, nel bilancio non entrano nemmeno alcune voci della spesa pensionistica e del welfare. Non ci si deve di certo stupire se l’Economist calcola che la Germania abbia il debito potenziale più alto d”Europa, ovvero il 145% del pil, seguito a ruota da altri primi della classe come Olanda e Austria.

Questo illustra benissimo lo stato di un’Unione che ha una moneta unica, ma criteri fiscali e di bilancio diversissimi, qualcje volta persino truffaldini,  insomma un tetto senza fondamenta, anzi di più: un tetto che impedisce di costruire solide fondamenta. Ma illustra anche tutte le dissimmetrie  di trattamento che si sono accumulate nel tempo e che un ceto politico non solo subalterno, ma anche dissennato e cialtrone ha accettato senza condizioni, diventando complice di un disegno egemonico altrui ai danni del Paese. Si tratta dello stesso ceto che proprio nei giorni scorsi è di fatto tornato al potere in Italia, mentre oltralpe si preparano a strappare gli scenari di cartone con cui hanno ingannato il pubblico.