Salvini-Conte-facce-Senato-5-1000x600Di Maio ha applaudito insieme ai deputati Pd alla sparata di Conte contro Salvini  per il dibattito che ha sancito la fine del governo. E non si è accorto che il discorso dell’ex premier era rivolto quanto ai modi, all’etichetta politica contro il leader della Lega, colpevole di voler governare attraverso la piazza e di anteporre i propri interessi a quelli del Paese, ammesso che ancora esista un Paese con interessi specifici,  ma era diretto nella sostanza contro tutto ciò che ha rappresentato il movimento Cinque Stelle nel momento del suo massimo fulgore elettorale. lnfatti il presidente dimissionario Conte ha già messo le basi per il suo probabile bis o per l’eventuale successore, magari l’orrido Cottarelli,  in vista delle elezioni di primavera e del sopraggiungere di Draghi: più Europa e meno sovranismo, dunque più austerità, più privatismo, meno meno spazio alle politiche sociali o di contenimento dell’abisso sociale che si sta creando e tra le righe l’aumento di 2 punti dell’Iva, necessario a causa della servitù continentale. E tutto questo avverrà presumibilmente sotto le ali di Mattarella, il grande lodato di giornata di cui adesso paiono dimenticate le circostanze che hanno portato alla sua elezione e l’ostilità assoluta nei confronti dei pentastellati più che della Lega.

E’ assolutamente vero che Salvini è riuscito, grazie anche all’assenza di un leader Cinque Stelle con i cabasisi a stravolgere completamente gli indirizzi iniziali di governo, abbaiando a più non posso, salvo cedere sempre e aprendo la porta persino a suggestioni di derive autoritarie, come se già esse non fossero in atto in senso globale, rendendo la vita difficile ai Cinque stelle che non hanno saputo reagire efficacemente perché stretti fra il caporale leghista e i ricatti della finanza europea e internazionale così come delle organizzazioni imprenditoriali e corruttive dello Stivale. Per farlo occorreva una visione politica più ampia e meno frammentaria e una compagine parlamentare meno occasionale. Ma non basta certo azzerare il leader della Lega travolto dalla sua stessa insipienza strategica e togliersi i suoi bastoni fra le ruote per riprendere il cammino: egli anzi è stato il siluro lanciato dalla razza padrona contro il movimento ben sapendo che alla fine il demagogo leghista era di gran lunga il pericolo minore per i poteri oligarchici e avrebbe costretto all’angolo gli alleati, da una parte screditandoli in quanto tali con le sua burbanzosa xenofobia  e dall’altra facendo fronte ad ogni momento contro i loro programmi. Non è certo un  caso se ogni mossa salviniana è stata seguita ed enfatizzata dai giornaloni facendolo diventare il principale personaggio di governo Purtroppo non si può mai tornare indietro, non è che rimuovendo le cause si possono azzerare gli effetti  e adesso un governo M5S con l’appoggio interno o esterno esterno del Pd e contorni – unica soluzione possibile senza un appello alle urne che di certo i Cinque stelle vogliono rimandare il più possibile – non sarà un nuovo inizio,  ma una palude nella quale i consensi finiranno con lo scomparire come per un’epidemia di malaria elettorale. A meno di sviluppi per ora imprevedibili rispetto alla linea di fatale democristianizzazione dei pentastellati .

Non credo affatto che la caduta di governo sia stata frutto di un accordo sottobanco tra Salvini e Zingaretti e tantomeno di una combine fra Di Maio e il Pd , credo invece che il leader della Lega sia stato in qualche modo pressato dai poteri economici, timorosi di vedersi sottrarre le grandi opere, dai progetti politici di palazzo (qui)  e  da pressioni internazionali  ( qui) ad anticipare contro il suo stesso interesse le mosse che aveva in animo per la stagione autunno . inverno ricavandone solo una figura barbina, come capita ai bauscia.  Alla fine il potere globale ha vinto e avrà colto due piccioni con una fava avvelenata portando alla rovina parallela i due nemici politici, ma amici per convenienza. La cosa curiosa è che i Cinque stelle –  dico la base e non i parlamentari dove ora si accenderà la battaglia per le poltrone – esultano perché trascinati dal sentimento di vendetta contro chi gli ha scippato la primogenitura non pensando nemmeno che la campana suona anche per loro perché in definitiva si sono lasciati subornare da un’alleanza politica che non era anche, nemmeno di striscio, un’alleanza sociale e dunque rappresentava anche due prospettive di sovranismo contrapposte, quello identitario e quello sociale.

A farne le spese è il Paese che perde le residue speranze di poter cambiare qualcosa e beato a chi crede nel dimezzamento dei parlamentari, un ballon d’essai rituale che del resto implica risparmi marginali, ma del resto questo esito era già scontato nel momento in cui non è stata frapposta una decisa e vitale resistenza alle pretese di Bruxelles sui bilanci, dove per pochi decimali Martin perse la cappa. Si trattava di un momento ideale per strappare qualche qualche brandello di flessibilità, del resto concesso abbondantemente ad altri e dunque un po’ di respiro per fare più politica sociale. Sarebbe bastato dire no nella certezza che il gioco al massacro di una commissione europea già in scadenza di mandato con la crisi interna di molti Paesi e la Brexit in arrivo sul primo binario era solo un bluff, disperatamente chiesto da chi aveva perso elezioni e potere, invece ci sono cascati mani e piedi grazie anche al tam tam dei poteri forti che preconizzavano le sette piaghe d’Egitto e alla quinta colonna dei Tria, del Quirinale e compagnia cantante. Sottovalutare il nemico è un grave errore, ma sopravvalutarlo è, se possibile, anche peggio: se si fosse resistito all’offensiva alcolemica degli uomini di Juncker, Salvini avrebbe rimasto accucciato nell’angolo per mancanza di argomenti, molti dei successivi problemi non si sarebbero posti e anche il risultato delle europee sarebbe stato diverso.

Ma è inutile piangere sul latte versato, meglio conservare le lacrime per i prossimi governi.