0004A472-la-strage-di-hiroshima-mSiamo 74° anniversario dello sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki ( Kawasaki secondo una maturanda di quest’anno) e non ne avrei parlato se non fosse che da qualche parte ho ancora visto ricicciare la tesi idiota secondo cui le atomiche americane sarebbero state sganciate per salvare vite umane, quelle che si sarebbero perse  a seguito di un invasione dell’arcipelago giapponese. Era la tesi che veniva autorevolmente accreditata nel periodo della guerra fredda per salvare il nuovo padrone a stelle e strisce dall’accusa di strage gratuita quale effettivamente fu l’utilizzo delle atomiche e dunque smussare un argomento di verità contro quel capitalismo compassionevole a cui si era data mani e piedi la classe dirigente ex e post fascista che governava l’Italia. Nemmeno il Pci, pur ostile a Washington e il resto della sinistra, osarono infrangere del tutto questo mito, salvo qualche sparata a salve di Pajetta e qualche articolo sull’ “Avanti”,  forse nella convinzione che andare a fondo nella decostruzione della “narrativa” americana del conflitto mondiale, avrebbe finito per portare acqua al mulino fascista. Così l’assurda giustificazione umanitaria attraversò per decenni tutti gli schieramenti.

Nel frattempo la storiografia, si incaricava di fare a pezzi questo mito, mostrando come il Giappone, fosse già in ginocchio, incapace di respingere o di opporre una qualche resistenza all’invasione, al punto che alcuni bombardamenti su Tokio, senza caccia da opporre ai velivoli americani e senza munizioni per la contraerea, avevano fatto più vittime delle due bombe atomiche messe insieme. Del resto tutti i rapporti e le documentazioni militari oggi disponibili calcolavano le perdite in caso di sbarco a circa  ventimila soldati americani ed almeno altrettanti nipponici dunque un numero di vittime di gran lunga inferiore a quelle fatte dalle due atomiche. Per di più si è acclarato che il Sol Levante sarebbe stato disposto alla resa sin dall’anno precedente, dopo la battaglia di Leyte che aveva lasciato il Paese praticamente disarmato,  (offerta ribadita nel momento della resa tedesca) se solo gli americani avessero accettato di lasciare intatte le istituzioni del Paese senza pretendere di istituire una sorta di governatorato. Ma i governanti giapponesi commisero  l’errore di rivolgersi a Mosca come possibile intermediario, cosa che gli Usa non potevano assolutamente accettare: così possiamo chiaramente vedere che le bombe furono sganciate come monito all’Unione Sovietica che era in fondo il vero nemico, nonostante fosse anche il principale alleato e per reclamare un diritto imperiale sull’intero pianeta. Dopo tutto l’espressione guerra fredda fu coniata per definire “quel percorso di involuzione della politica estera americana per cui la soluzione dei problemi mondiali non sono più ricercati dagli Stati Uniti in termini di collaborazione internazionale  ma secondo criteri strategici”, il che appunto era la sconfessione degli accordi Yalta. Non è un caso se anche la storiografia del vincitore, dopo un sostanziale  appiattimento sulla tesi umanitaria dovuta originariamente a Truman, finì per riconoscere la gratuità di quella strage  una volta dissoltasi l’Urss e domato il conflitto ideologico: a quel punto faceva più gioco mostrare il volto spregiudicato e vendicativo dell’impero come monito per chiunque e riproporre con questa spada di Brenno, il mito dell’invincibilità americana, soprattutto dopo due guerre perse.

Dunque le bombe di Hiroshima e Nagasaki non furono l’ultimo atto della seconda guerra mondiale, bensì il primo della guerra fredda ed ebbero l’effetto che Washington si aspettava, ovvero quella di controbilanciare l’enorme superiorità militare raggiunta dall’Urss e renderla più  prudente nei suoi tentativi di espansione ideologica in Europa. L’Italia fu direttamente investita da tutto questo dal momento che Mosca rinunciò a premere sull’acceleratore di una vittoria delle sinistre in Italia (e in un certo qual modo anche dall’intervenire in Jugoslavia) cosa che impedì al Paese di cercare, come era riuscita a fare l’India,  una sorta di equidistanza dai due blocchi, che nonostante tutto era una soluzione che piaceva alla maggioranza degli italiani come testimonia il dibattito per l’adesione alla Nato e le vicende che lo accompagnarono. Probabilmente le cose sarebbero andate molto diversamente se l’Urss avesse fatto esplodere  la sua bomba invece che nell’agosto del ’49 qualche mese prima nel momento in cui infuriava il dibattito sull’adesione al patto atlantico: gli Usa che probabilmente avevano avuto sentore che l’Unione sovietica stava per sperimentare la bomba, mostrano una fretta senza precedenti nell’imporre ai governi occidentali la sottoscrizione del trattato al punto che i primi organismi di governo dell’alleanza furono creati solo un anno più tardi.

Ma nonostante tutto, nonostante l’evidenza quel mito è ancora acceso come la fiaccola dell’ignominia e trova una sua miserabile attualità proprio in questi giorni nei quali Trump ha stracciato il trattato Inf  che aveva azzerato le armi atomiche di teatro, ovvero quelle di medio raggio: una gran brutta notizia per l’Italia le cui basi Nato saranno più facilmente sotto tiro in un eventuale conflitto. Non si comprende la ratio di questa decisione visto che è proprio sulle armi di medio raggio che la Russia ha una decisa superiorità, ma di certo oltre ad asserire una minaccia globale, la cosa va a tutto favore dell’industria bellica statunitense che potrà vendere a destra e a manca sistemi anti missile, ancorché inutili  contro vettori multisonici. Il contesto però ripropone, sia pure in uno scenario diverso, lo stesso ricatto atomico di 74 anni fa.