Da un certo punto di vista che fa incavolare i leghisti il nostro intellettuale ha perfettamente ragione, anzi come potrà spiegare efficacemente il banchiere non solo la questione dei migranti di cui null’altro si vuole sapere tranne che migrano stendendo un velo pietoso sulle ragioni, viene ampiamente usato come parafulmine dei malumori sociali, ma è stato ed è impiegato come strumento di pressione anti salariale. La cosa appare evidente e tuttavia nel gruppo di osservatori il discorso dell’intellettuale di sinistra cade nel vuoto più completo semplicemente perché nel suo ragionamento egli non si ferma alla strumentalità dell’immagine costruita per appannare il conflitto sociale che sta sullo sfondo dell’evento e impedire così alle persone e soprattutto a quelle più giovani di organizzarsi e reagire in modo coerente, ma finisce per negare l’esistenza stessa di un dentro e di un fuori come se si trattasse di una semplice apparenza politicamente scorretta e appartenente a un remoto passato. Invece di ritrovare il senso della permeabilità delle culture e del dialogo con l’altro si nega che l’altro esista davvero come se tutti fossero indifferenziati cittadini del mondo . E così ci si limita sempre a pratiche della convivenza che sono soltanto contraddittorie rispetto all’assunto principale di derivazione globalista, ma vanno regolarmente incontro al fallimento.
Il problema di fondo è che le teorie anti globaliste sono sullo stesso piano e negano il dentro e fuori: a un impero e al suo primato egemonico in ogni campo che serve a garantire il sistema neoliberista si dovrebbe contrapporre una moltitudine altrettanto globale e indifferenziata in attesa di una democrazia globale, ignorando che invece le resistenze più forti a queste omologazioni orwelliane vengono proprio da situazioni locali. Naturalmente si tratta ancora una volta di una tendenza di pensiero tipicamente occidentale che nemmeno per un secondo dubita della sua universalità fondata finora sulle canne dei fucili. D’altronde se non esistesse un altro da sé non esisterebbe nemmeno un sé che è poi il vero approdo del pensiero unico. Ma non andiamo oltre sulla strada di questo discorso per non impantanarci in questioni filosofiche: diciamo che il dentro – fuori, così come l’amico – nemico sono le categorie fondamentali del politico e senza di esse cade ogni possibilità dialettica. Dal momento poi che l’assenza di politica ovvero di possibilità di cambiamento, di evoluzione, di esistenza della storia, è il presupposto di ogni egemonia, capiremo che il banchiere non potrà che compiacersi di tutto questo: egli infatti sa benissimo che esiste un fuori rispetto al denaro che sono i bisogni e un fuori rispetto alla finanza che sono i diseredati, ma si guarderebbe bene dal farne cenno: egli preferisce che tutto diventi così moderno da invocare la notte dove tutte le vacche sono nere.