100813d0-b05e-11e9-affe-5d3503ab535eQuando uscì il  Silenzio degli agnelli di Thomas Harris e successivamente la versione cinematografica, l’unico Paese al mondo in cui entrambe le opere presero il nome di Silenzio degli innocenti, staccandosi dall’originale, fu l’Italia dove il milieu del capitalismo di relazione e tutto ciò che vi girava attorno, informazione e media in primo luogo, ritenne il titolo poco rispettoso nei confronti della casa regnante torinese che appunto si chiamava Agnelli.  Intendiamoci alla fine il titolo italiano era più bello e anzi donava al romanzo di Harris un respiro metaforico che non aveva di suo, ma il fatto saliente è il servilismo attivo che traspare da questo episodio, l’autocensura al limite del ridicolo, il cinismo con il quale si compiace il potere nei suoi vari gradi e di conseguenza la faziosità da poltrona che ne è il correlativo oggettivo.

Certo questa potrebbe sembrare una ben strana premessa alla vicenda dell’uccisione del carabiniere da parte di due delinquenti che molti speravano  fossero immigrati sporchi, brutti e cattivi ma che invece si sono rivelati cittadini americani, bianchi, benestanti nonché studenti e dunque assai più pericolosi e privi di scrupoli perché consapevoli di godere di una immunità di fatto ( vedi caso Amanda Knox). All’inizio c’è stata un’ondata di sdegno corale  per la morte di un tutore dell’ordine il cui lavoro mette in conto anche questa possibilità, mentre non fanno scandalo e nemmeno notizia le mille persone che ogni anno perdono la vita in lavori che non la prevedono affatto. Con questo non voglio dire che l’indignazione fosse fuori luogo, tutt’altro, ma che attraverso di essa più che un fattore umano si poteva scorgere una sorta di sgomento per il vulnus causato a una delle manifestazione del potere. Poi misteriosamente è comparsa la foto del delinquente ammanettato e bendato in una caserma e subito la lobby americana che in Italia è vastissima  e comprendeva pure quel famoso avvocato per il quale era necessario cambiare i titoli di libri e di film, ha gridato vergogna, quando ha invece taciuto o si è diplomaticamente barcamenata per anni su altri su altri e ben più gravi episodi. Quando Mentana grida vergogna, allora c’è davvero da vergognarsi.

Ma in questo caso è successo un fatto praticamente unico nella storia della Repubblica: avete mai visto foto di Cucchi o di Serena Mollicone o di Aldrovandi o di tanti altri durante gli interrogatori che hanno preceduto la morte? Avete mai visto le foto di un qualche pestaggio anche senza esiti fatali che sono cosa quotidiana? No non le avete mai viste, in primis perché a nessuno è concesso scattare immagini e se per caso a qualcuno ci fosse riuscito l’avrebbe pagata cara assieme a quelli che avessero improvvidamente pubblicato simili immagini, ma in questa vicenda i servizievoli servizi si sono incaricati di fare e diffondere la foto del bendato sempre che, una volta accertata l’identità degli assassini, quella benda sia stata messa appositamente per creare un caso, premessa necessaria  a estradare i due assassini naturalmente dopo l’opportuna pantomima diplomatico – giudiziaria per rendere meno scoperta la calata di braghe. E già si vedono le prime metafisiche dichiarazioni di personaggi da peggiore tlevisione sulla durezza del carcere in Italia che non si capisce perché debbano venire fuori proprio in questa occasione, ma sono quanto mai funzionali alla bisogna oltre alla carriera degli esternatori. Nulla può essere escluso in questo Paese e del resto il ministro Salvini è un maestro nelle pratiche di kamasutra del potere che comincia con i dinieghi, i proclami e assoluti rifiuti  e si conclude con la resa senza se e senza ma di fronte ai più potenti di lui. Per carità anche la parte cosiddetta  progressista ha tratto un bel respiro di sollievo perché stava dando l’impressione di girare a vuoto nel tentativo di attribuire al ministro degli Interni responsabilità per fatti che hanno costellato tutta la vita della Repubblica e a cui nessuno ha mai voluto porre un rimedio. Così alla fine non si realizzerà il silenzio degli innocenti, perché nessuno è innocente, ma piuttosto il chiasso degli agnelli.