italia-secessione  Anna Lombroso per il Simplicissimus

Sono passati 22 anni da quando una piccola e risoluta task force di cretini – 8 “venetisti”, vennero definiti – sequestrarono un ferry boat per trasferire a San Marco un tank, un camper fornito di alcun fiaschi di vino, pane e salame, l’equipaggiamento necessario  insomma per la presa del simbolo della Serenissima e dell’istanza di indipendenza da Roma ladrona.

Si sa che il sindaco Cacciari, uno di quelli che invidiava esplicitamente il radicamento territoriale della Lega, costola della sinistra, perse una intera notte di lettura di brani scelti di Hofmannsthal e di inediti di Nietzsche, impegnato in una trattativa con gli insorti asserragliati nel campanile, che si arresero, si mormorò,  una volta finite le vettovaglie e le bevande.

L’accaduto, oggi dimenticato, suscitò allora grande scalpore in qualità si segnale d’allarme del diffondersi di pressioni secessioniste e eversive, poi via via retrocesse a inoffensivo folclore, come l’elmo con le corna dei fan di Borghezio e la somministrazione rituale ai fedeli di acqua del sacro fiume fetida e velenosa per via dei reflui industriali e agricoli della brava gente della Padania.

Siccome tutto è relativo l’impresa degli 8  preoccupò l’arco costituzionale ancora intriso di valori unitari e sovranisti mentre la vera secessione, quella richiesta di autonomia delle regioni ricche, viene intesa oggi come legittima rivendicazione di chi produce, lavora, spende e pretende, autorizzato quindi a gestirsi il portafoglio, padrone in casa sua, oggetto verosimile di una contesa all’interno del governo che l’azzeccagarbugli degli italiani cerca di sanare con doverose concessioni su sanità e ambiente, di un negoziato con l’opposizione, le cui “ragioni” sono ben rappresentata dal  presidente dell’Emilia targato Pd, e  di un pronunciamento del Parlamento come d’abitudine chiamato a mettere un timbro notarile sul già stabilito.

I secessionisti decisamente imborghesiti rispetto ai magnifici 8 e destinati perciò ad avere successo di critica e di pubblico dopo quello “istituzionale ( la richiesta di maggiore autonomia   è stata sottoposta a referendum consultivo regionale nell’ottobre 2017 per poi essere ratificata nel febbraio 2018 dal Governo Gentiloni)  stanno dirigendo il loro tank anticostituzionale alla conquista dei fortini oltre che della scuola pubblica e dell’università, dell’assistenza e del governo delle politiche ambientali,  grazie alla “appropriazione” – legittima a loro dire  – del  cosiddetto residuo fiscale, ovvero la differenza fra quanto i cittadini versano allo Stato centrale per il pagamento delle tasse e quanto ricevono come trasferimenti dallo stesso Stato centrale.

Vaglielo a dire a Zaia che  avrebbe molti più proventi per attuare le sue riforme se potesse contare sui contributi sottratti dall’evasione dell’operoso Veneto che vanta un primato con 9 miliardi di tasse evase, una cifra enorme,  che pesa per l’8,5% sulla quota nazionale, in un territorio che produce il 9,3% del Pil italiano. Vaglielo a dire che la proverbiale efficienza proclamata non ha saputo contrastare la consegna della gestione dei rifiuti a consorterie criminali, che puzza di marcio lontano un miglio il welfare che vorrebbe promuovere grazie all’autonomia, perchè cresce sul volontario disfacimento dell’assistenza pubblica (sono stati sollecitati a tornare al lavoro i medici ultrasettantenni, per mancanza di personale) in modo da darla in custodia ai privati, proprio come fossimo nel Lazio o in Campania, come si vuole fare con l’istruzione.

E andate a chiedere a Fontana dove vanno i rifiuti delle industriose aziende lombarde, come mai chiudono i presidi ospedalieri e i dipendenti hanno solo i tetti per dire le loro ragioni, che cosa è cambiato dopo lo scandalo Formigoni, se è vero che Milano continua ad essere senza depuratore – e senza opere di salvaguardia per il Seveso, come una Calabria qualunque-  o cosa sta facendo l’Aler (azienda regionale) commissariata a fronte di migliaia di senza tetto, proprio come fossimo a Roma.

E magari si potrebbe avere da Bonaccini presidente dell’Emilia Romagna qualche notizia che incoraggi da affidargli un budget speciale per aiutare quei terremotati che dal sisma del 2012 devono ancora vedere aiuti e risarcimenti, nemmeno si parlasse di Irpinia, o qualche informazione sui suoi “aiuti” alle famiglie molto apprezzati dalla Lega, o sulle recenti misure per la casa della regione Emilia Romagna, che pare non siano altro che contributi arbitrari per l’affitto, o sulla sua legge urbanistica segnata dal totale assoggettamento alla rendita, ai potentati immobiliari e ai costruttori legittimati dalla natura di “cooperative”.

E sto parlando soltanto delle inadempienze che riguardano le competenze in capo alle regioni dopo lo “scioglimento” delle province, la rivoluzione amministrativa e moralizzatrice di Delrio che ha fatto risparmiare ai cittadini ben 26 centesimi di risparmio, a fronte (la fonte è proprio l’Upi) dei  drammatici tagli a scuole, strade, assistenza, con  il quasi dimezzamento delle spese di manutenzione ordinaria (-43% dal 2013 al 2018) e del quasi azzeramento della capacità di investimento delle province (-71% nello stesso periodo) sugli oltre 130 mila chilometri di strade e sulle quasi 7.000 scuole secondarie superiori, insieme all’ aumento secco di circa 36 milioni dei costi per gli oltre 12.000 dipendenti ex provinciali transitati nelle regioni e nei ministeri (dove gli stipendi sono mediamente più elevati). E per non dire del caos che si è creato, della sovrapposizione di competenze, della miserabile rappresentazione di tornate elettorali per le città metropolitane tenute all’insaputa dei cittadini e dove votano i già eletti in modo da raddoppiare l’incarico.

Nemmeno ricordo gli scandali che hanno avuto le regioni come ambientazione di ruberie cialtrone dalla mutande alle merendine e altre più sofisticate, rammentando invece che da molto prima della loro istituzione in tanti avevano messo in guardia sulla natura di enti che avrebbero comportato costi difficilmente sostenibili per le finanze pubbliche italiane senza effetti apprezzabili sulla crescita, dotate di potere decisionale e legislativo ridotto e occasionale anche in virtù della riforma del titolo V della Costituzione del 2001, che ha prodotto sperequazioni in utti i settori compreso quello fiscale.

Oggi il secessionismo dei ricchi rivela la sua indole antidemocratica interpretata in forma bipartisan e che dà carattere di ufficialità alle esternazioni dell’ammiratore del Vesuvio: sfiduciare il Sud, consolidando la convinzione che il Mezzogiorno sia insalvabile per la sua natura di peso morto dove le risorse vengono impiegate in modo irrazionale, improduttivo e clientelare, dove hanno origine e prosperano le cosche, dove alberga il familismo amorale. E volendo dimostrare che in assenza di provvidenziali terremoti e eruzioni, è meglio condannarlo a propaggine africana cui è tassativo negare autodeterminazione e pure le risorse che producono. E d’altra parte si tratta della declinazione nazionale della strategia europea, imporre l’austerità più feroce e arbitraria in modo da dirigere distribuzione, alterare gli equilibri e favorire le disuguaglianze.

Non è solo la Lega a  volere la sua interpretazione aberrante del federalismo,  che costringe il governo a distorcere le norme costituzionali sull’autonomia in modo eversivo per l’unità nazionale e l’universalità dei diritti: la lobby della secessione degli estratti dalla lotteria del privilegio immeritato ha molti associati, le rendite, le multinazionali, i costruttori, gli investitori nei settori del Welfare privato, la finanza che inventa sempre nuove bolle per alimentare il suo casinò, i venditori di beni comuni all’incanto che da anni promuovono crisi in modo che diventino proficue emergenze, quelle che costringono a poteri speciali e liquidazioni eccezionali.

Ah ci sono anche i professionisti dell’antisovranismo, anche quello dei ricchi, che non vogliono dividere le loro correità, nell’Ilva,  ad esempio, cercando qualcuno cui appioppare  la mela marcia che ha avvelenato i tarantini,  nelle banche criminali, nei fallimenti ripetuti dell’Alitalia, in modo che sia chiaro per tutti che lo Stato deve fare il becchino, e noi con lui, seppellire le magagne,  pagare per salvare i padroni, diventare invisibile quando ci sono utili.