SDC10966_thumb1Scordiamoci i bollettini della vittoria: a un secolo di distanza possiamo concludere che la Germania ha vinto la prima guerra mondiale o meglio l’ha persa solo contro gli Stati Uniti, ma per il resto ha realizzato tutti gli obiettivi che si era proposta dopo lo scoppio dell’ immane conflitto.  L’elezione della Lagarde  e la prossima di Ursula von der Leyen nel tripudio delle forze reazionarie comunque travestite e pure quelle che si erano finte critiche e alternative che sono come una resa. Ora per renderci conto di ciò che sta accadendo bisogna sapere che nel 1914, mentre erano in corso le prime operazioni belliche sul continente il cancelliere tedesco Theobald von Bethmann-Hollweg elaborò quello che viene comunemente chiamato “programma di settembre” ( di cui si parla ormai pochissimo per ragioni che al termine del post appariranno chiare)  in cui si delineavano gli obiettivi tedeschi dopo la guerra che ancora si immaginava breve e vittoriosa visto che era in corso l’offensiva in direzione della Marna destinata a spezzare l’esercito francese: a parte il ridisegno delle colonie in Africa e qualche  piccola revisione territoriale il grosso era  delle condizioni che la Germania avrebbe imposto era costituito dalla creazione di una “Mitteleuropäischer Wirtschaftsverband” ossia di una comune zona doganale comprendente Francia, Belgio, Olanda, Danimarca, Austria-Ungheria, Polonia ed, eventualmente, Italia, Svezia e Norvegia che avrebbe dovuto sancire il dominio tedesco sul continente. Ingenuamente ci si potrebbe domandare: tutto qui per una guerra terribile e sanguinosa? Per ottenere qualcosa che appare come un obiettivo di pace?

Non si possono comprendere a pieno le intenzioni del “piano di settembre” senza chiamare in causa la storia dell’unificazione tedesca ad opera della Prussia che raggiunse questo risultato non con le armi, ma con lo zollverein, ossia l’unione doganale tra i 38 stati della Confederazione Tedesca, ad esclusione della sola Austria e del suo impero con il quale si creò una continua frizione. Fu una costruzione complessa e durata diversi decenni, ma che alla fine venne sfruttata da Bismarck, grazie al predominio economico prussiano per la creazione dell’impero. Naturalmente queste unioni portarono a una progressiva unificazione monetaria con la creazione  ufficiale del Goldmark nell’età guglielmina, ma preceduta già da molti anni dall’adozione del Mark Banco, una moneta garantita dalla Hamburger Bank: non si ebbero i gravi scompensi che sarebbero stati fatali allo Zollverein perché questo tipo di marco era solo una divisa di riferimento per trasferimenti bancari (come dovrebbe essere l’euro) , priva di banconote circolanti, mentre nel concreto continuavano ad essere usate le monete dei vari stati senza l’effetto di creare enormi divari come invece è accaduto con la moneta unica europea.  In Italia questa parte di storia europea  viene completamente ignorata a cominciare dalle scuole sebbene proprio l’espandersi del potere prussiano come contraltare di quello austriaco permise in definitiva anche il successo della riunificazione italiana.

Evidentemente però tutto questo è ignorato anche altrove visto che nessuno sembra avere il minimo sospetto di come queste unioni doganal – economiche vengano percepite in Germania, ossia  come una questione essenzialmente di potere che si è immediatamente trasferita anche nella costruzione europea. In pochi decenni Berlino è stata in grado di raggiungere prima (come avvenne per la Prussia ) una preponderanza economica e poi, con l’euro, la capacità di creare una vasta area manifatturiera  che include tutte le regioni industriali ad essa vicine. Ha approfittato e tratto vantaggi notevoli dall’inclusione dei Paesi dell’Est e ha scaricato sull’area mediterranea il costo della moneta unica favorendo al contempo le proprie esportazioni. In breve, è riuscita a sviluppare una struttura geo – commerciale  che le permette di avere di avere sul continente europeo unì influenza simile a quella che che si prefiggeva di avere con un’eventuale vittoria nella prima guerra mondiale. Tutto questo naturalmente è stato raggiunto naturalmente grazie all’attenta supervisione degli Usa che, specie dopo il crollo dell’Unione sovietica le hanno regalato a Berlino questo ruolo centrale, convincendo anche i partner continentali a appoggiare in ogni modo l’unificazione del  Paese e poi ad adottare la moneta unica. Ciò che non avevano messo in conto e che anche gli altri Paesi europei avevano equivocato con la scellerata scelta della moneta unica, è che la Germania acquisisse un’egemonia tale da voler fare da sola ed emanciparsi dal suo tutore iniziando a fare una propria politica nei confronti degli arcinemici di Washington, ossia Russia e Cina.

L’animosità di Trump verso la Ue non è certo dettata da ragioni ideologiche che comunque nella testa dell’inquilino della Casa Bianca devono essere parecchio confuse, ma dal fatto che dopo aver lavorato duramente a tenere insieme l’Europa prima in funzione antisovietica e poi come dama di compagnia nel mondo unipolare, adesso Washington si trova a temere una defezione. La strategia non è però quella di andare in rotta di collisione – a parte alcuni avvertimenti , vedasi Volkswagen – né è quella di favorire una disgregazione della Ue che è nei fatti,  ma semplicemente di renderla una istituzione tecnocratica e includente, favorevole alla governace della finanza e delle multinazionali, ma incapace di avere una propria sovranità politica e ridotta ormai un mero ostaggio del nuovo conflitto con una Berlino che ha finalmente raggiunto gli obiettivi della Germania di Bismark. Naturalmente a nostra insaputa e anzi con il nostro fattivo aiuto.