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Anna Lombroso per il Simplicissimus

E’ proprio vero, il decadente impero di Occidente non ha rispetto per gli anziani, a contraddire la sua produzione letteraria densa di favolette morali, apologhi, aforismi sulla ricchezza, rappresentata dall’esperienza, sul ruolo pedagogico svolto nella cultura contadina, nel movimento operaio, nella scienza, nelle arti e della letteratura, da grandi vecchi.

Ma come capita nel decadente impero di Occidente e come vuol farci credere la nuova presidente della Bce che buon per lei non ha raggiunto i fatidici 65 anni, non tutti i vecchi sono dei pesi che gravano sulle società, dei molesti passivi nei nostri bilanci, che sarebbe preferibile potessimo togliere di torno a una certa scadenza non facilmente identificabile, se l’età produttiva e quella dell’andata in pensione vengono spostati e non solo simbolicamente come comandano padronati, fondi e enti previdenziali.

Perché grazie alla crescente potenza delle disuguaglianze, a fronte di anziani che nessuno sta a sentire, vecchietti che passano l’estate nei centri commerciali dove non possono permettersi niente salvo l’aria condizionata, come tanti Umberto D ancora più vergognosi della loro invisibilità in una società che impone di essere giovani, tonici, audaci e ambiziosi pena l’emarginazione, ci sono invece augusti vegliardi alla cui saggezza dovremmo abbeverarci come a una fonte del sapere, del discernimento e del buonsenso, anche se sembrano proprio  quei loro coetanei che impartiscono lezioni agli stradini o quelli che commentano la partita di bocce di altri giocatori con: l’è longa, l’è curta.

Interrogato sulla fantasiosa petizione per proporre una sua candidatura a senatore a vita – quale doveroso riconoscimento per “aver dato un considerevole contributo allo sviluppo culturale del nostro paese” –  Piero Angela nel declinare sdegnosamente l’offerta, rispolvera il suo libro del 2011 e  offre alcuni sferzanti giudizi, sulla politica  madre di ogni sconfitta economica, culturale e sociale. Da cittadino, denuncia,  vedo l’incapacità della politica italiana di far emergere le mille potenzialità che ha il nostro Paese, pieno di gente in gamba …. Se la produttività è l’indice dell’efficienza di un Paese, ebbene l’Italia è ferma da quindici anni. Altri Paesi, con gli stessi mezzi, hanno saputo fare ben di più e assai meglio.

E poi sull’istruzione, che dopo la guerra vinta contro  l’analfabetismo dagli esordi del ventesimo secolo, è venuta meno  alla sua missione: si parla continuamente di precari, di scuola laica o cattolica, di sicurezza degli edifici. Ma rarissimamente del vero problema: cioè come migliorare il livello e la qualità dell’insegnamento. E sul gioco al massacro che innerva le relazioni, quella smania distruttiva che porta a demolire i progetti degli altri, invece di premiare in un clima di leale competizione il merito e la competenza.

Ci mancherà la sua voce in Parlamento, che si aggiunge alle altre degli inossidabili e canuti indignati che protestano la loro innocenza e la loro estraneità alle aberrazioni della nostra mesta contemporaneità, al cui svolgersi hanno assistito dal davanzale come al passaggio di un funerale: Cacciari che protesta contro la mercificazione a scopo turistico di Venezia, Castellina e Rossanda che si dolgono dell’eclissi del pensiero e della prassi di sinistra, Scalfari che polemizza con l’informazione assoggettata all’ideologia del conformismo corrente fatto regime, Cirino Pomicino che analizza i guasti della partitocrazia, manca solo Berlusconi che condanni il conflitto di interessi di qualche ministro suo ex alleato di coalizione, e siamo a posto.

Lavoro in Rai da decenni, chiude l’intervista al Corriere l’intrepido divulgatore della gaia scienza imperiale, il guru della tecnocrazia, del primato dell’innovazione e della competizione leale che ci conducono sulla strada del progresso, dove il diritto alla conoscenza e alla critica  può essere agevolmente sostituito dall’accesso a un sapere confezionato e propagato da oltre Atlantico.   Ma non ho mai risposto alle lusinghe di tante, diverse sirene politiche. Penso di lavorare, divulgando, nell’interesse del mio Paese, con lo spirito… come si dice?… di un servitore dello Stato”.

 

Peccato, da quella tribuna autorevole in veste di casto e incontaminato artigiano dello scibile scientifico neutrale chissà con che forza morale avrebbe potuto intervenire per contrastare i delitti contro la libertà di informazione perpetrati nel servizio pubblico, in quel nido di vipere dove si consumano – forse a sua insaputa? sterili guerre aziendali e commerciali, dove governano  fazioni lobbistiche, dove hanno la meglio condizionamenti partitici, dove pare – salvo  lui – sarebbero sempre rimasti a galla gli allineati, gli ubbidienti, dove il merito – eccettuato per l’ultimo, per ora, esponente dell’Angela & Son –  quando vi sia, è costretto a accompagnarsi all’appartenenza dinastica, privilegiando rampolli di qualche stirpe dalla consolidata autorità e dal prestigio inviolabile, secondo le leggi del familismo amorale.

Peccato, ma così potremo godere ancora della somministrazione delle magnifiche sorti del progresso sotto forma di prodotti patinati, della soporifera ostensione della natura e dell’antropologia un tanto all’etto offerta dalla documentaristica acquistata in blocco nel supermercato della divulgazione made in Usa, che non fa rimpiangere nè le spigolature della Settimana Enigmistica nostrana né tanto meno le rimpiante Selezioni dal Reader’s Digest.