Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ci voleva poco a immaginarlo. Salvini, – l’incarnazione selvaggia dell’oligarchia che ha bisogno della sua maschera barbarica per non far vedere le due facce signorili e ben incipriate delle due zarine d’Europa che già oggi ci hanno dimostrato che il film greco anticipato da innumerevoli trailer è in programmazione sui nostri schermi, – ha vinto la sua battaglia.
Non capisco come ci siate cascati eppure dovevate saperlo che da discreto doppiogiochista alla fine si sarebbe aggiudicato la partita contro il Rotary umanitario ed europeo: ha fatto la voce grossa, ha buttato un po’ di bracioline nelle fauci del popolaccio leghista, ha berciato contro i giudici rossi proprio come i fan di Lotti e Renzi berciano contro quelli verdebruni, ha strizzato l’occhio alla Merkel facendo fare bella figura a lei a a due o tre carolingi in veste di tardivi solidali che si sono divisi il pacchetto solidaristico dei 42, in modo che siano poi autorizzati a rispedire indietro quelli che fortunosamente arrivano con altri mezzi, come a lui non è concesso di fare moralmente per indole e legalmente per via di trattati che condannano i profughi a stare dove nessuno li vuole per superiori ragioni geografiche.
Così ha confermato alla fortezza Ue che fa come Ue impone, che mostra i denti ma non morde anzi mangia dalla sua mano ben contento che Schengen lo metta in condizione di collocare in vetta alle emergenze locali l’esodo epocale, l’invasione, il rischio terrorismo indotto, il lavoro e le case rubati
Che tanto c’è un indecente concorso di soggetti insospettabili pronti a suffragare le sue tesi da parte solo apparentemente opposta: decisori e pensatori che hanno impersonato il totale fallimento delle politiche di integrazione e delle narrazione del multiculturalismo, confinando la “feccia” dove merita e dove la meritano, nei ghetti periferici lontani da Prati e San Babila e pure da Capalbio, che hanno spinto i ceti popolari impoveriti dalla crisi e tacciati di ignoranza e razzismo a coagulare la loro rabbia contro le scelte austere e neoliberiste intorno all’estremismo destra. Cosicché c’è poca differenza tra chi li vuole lasciare in balia delle onde o rimandare a casa loto e chi ci invoglia a accoglierli tutti subito per mettere a disposizione degli stessi padroni, loro e di Salvini, un esercito disordinato e impoverito di forza lavoro a basso prezzo, pronta a qualsiasi mansione per uscire dai lager amministrativi nei quali sono reclusi, in competizione con quella nostrana, quel terzo mondo interno ormai ugualmente ricattato.
Il fatto è che ci siamo convinti di godere delle formidabili opportunità di esprimerci, comunicare, informarci e informare offerte dalla rete e invece siamo precipitati nella spirale del silenzio, disincentivati dall’esprimere apertamente e riconoscere a noi stessi la facoltà di avere e dire opinioni che percepiamo essere contrarie non alla maggioranza, più o meno afasica, ma dell‘establishment, di ceti acculturati se privilegiati che impongono regole sociali e un’etica privata come fosse coscienza comune.
Così è stata legittimata la rimozione della partecipazione a imprese belliche di “esportazione della democrazia” e di “rafforzamento istituzionale” quando abbiamo dimostrato ni non saper fare nemmeno la più modesta manutenzione dei quelle nostrane, che hanno coperto le più infami avventure coloniali di eserciti e industrie, proprio quella che provocano la fugai popolazioni da luoghi di morte, fame e sete, cui si dovrebbe rispondere con interventi pietosi e caritatevoli. Così è stata promossa la conversione dei fenomeni del cambiamento climatico prodotti da uno sviluppo insensato, da consumi indotti dissipati, nell’effetto di comportamenti collettivi irrazionali cui si deve mettere riparo con azioni volontaristiche e personali. Come vuole l’impalcatura ideologica dei due fronti che si sono creati grazie a un finto antagonismo che nasconde invece la stessa militanza sotto la bandiera del totalitarismo economico e finanziario.
Così per essere antifascisti basterebbe scaricare l’infamone all’Interno perchè mostra i muscoli contro i profughi e richiedenti asilo, mentre pare faccia comodo tenerselo come alleato per la realizzazione dell’alta velocità, delle trivelle, per concedere impunità perenne ai padroni di ieri e oggi dell’Ilva, per dire si si padroni agli imperativi europei, nella festosa confusione creata da quando abbiamo rinunciato alla sovranità economica per paura di diventare sovranisti, da quando viene definito populismo da biasimare la reazione del popolo contraria alle scelte dei governi e alla lotta mossa contro i plebei dagli oligarchi.
Già oggi si consuma un’altra tragedia che prenderà la forma di una atroce commedia della parti: la nave Alex con 54 migranti a bordo è al largo di Lampedusa e è cominciato il prevedibile braccio di ferro tra Salvini che si avvale degli accordi con la Libia stretti dal predecessore sotto forma di nuova cooperazione con l’Africa e a sostegno delle nostre imprese che portano progresso, sfruttamento e corruzione, e le Ong che sostengono che le condizioni dei profughi nono permettono di accogliere l’invito del governo di Malta. Nessuno può ragionevolmente pensare che non si debbano salvare quelle persona, anche così ridotte a 54 numeri 0 come i 42 della Sea Watch dei quali non sapevamo e non sappiamo nulla.
Non vincono mai i migranti, anche stavolta avranno o vinto Salvini e le Ong sia pure su fronti apparentemente opposti, perchè la spirale del silenzio ha convinto tutti che i problemi della nostre vite sono nelle mani di soggetti privati, siano le grandi potenze mai abbastanza grandi da non rispondere a interessi padronali e imperialistici, che confezionano leggi nel chiuso di grandi studi legali internazionali pagati da multinazionali, o siano le Ong, qualcuna trasparente qualcuna meno indipendente, che hanno persuaso che carità e beneficenza, contraccambiate da generose compensazioni fiscali e ritorni di immagine, siano le degne sostitute dello Stato cui paghiamo le tasse, della solidarietà che così siamo esentati dall’esercitare concretamente, dell’umanità che ricordiamo solo come parola magica da mettere a margine della foto sul profilo di Facebook.
A parte l’8 per cento di veri profughi e perseguitati, il restante 92 per cento dei migranti vince sempre, al netto degli affogamenti. Tra elemosine, spaccio di droga, lavoretti in nero vari ed eventuali riescono a racimolare abbastanza per vivacchiare qua, con elettricità e acqua corrente pagati da cardinali elettricisti (tradotto: dalla comunità ospitante, ad libitum) meglio che ammucchiati in dieci in tucul di paglia, sterco e fango, con l’acqua del fiume che mentre disseta fa crepare di dissenteria qualche giorno dopo (specie i bambini) e che per essere raggiunta e trasportata al villaggio, esige il pedaggio dello stupro da tutte le donne — in verità, meglio se bambine — senza eccezioni, al massimo con qualche fortuita dilazione.
E in fondo non ci sarebbe poi così tanto da perdere per noi autoctoni (solo qualche Pamela e qualche Desiree, di tanto in tanto: non ci accorgiamo di quanto siamo fortunate, noi mamme bianche?) se non fosse che di un miliardo di africani, i tre quarti potrebbero sentirsi in dovere di fare lo stesso discorso. A quel punto sì che il ragionamento costi/benefici risulterebbe in perdita per tutti, da tutti i lati della scacchiera di questi immondi Hunger Games, perché allora anche da noi scorrerebbero fiumi di colera invece che di acqua e gli ospedali dove poter ricevere anche solo una parvenza di cura sarebbero ridotti come quell’hotel di lusso di Castelvolturno dove il sindaco Dimitri Russo vide celebrarsi nell’allegria e nell’abbondanza il matrimonio della sorella, a metà anni novanta del secolo scorso: un rudere sventrato come non se ne vedono più neanche in Bosnia, disseminato di rifiuti, siringhe usate, prostitute accoccolate negli anfratti appena più bui dei loro volti e del loro futuro.
Ecco, le consiglio di osservare la partita da questa prospettiva, un po’ più ampia nello spazio e nel tempo, prima di parlare di vittorie e fallimenti di questo o quel “giocatore”..
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