zL4JDRzwIl buonismo del boia

C’è da non crederci, ma qualche quotidiano riporta il paradossale  “Rapporto sul traffico delle persone” uno dei tanti ballon d’essai americani che non valgono la carta sul quale  sono scritti, il quale  “declassa”  l’Italia in questo particolare campo. Ora, per quanto la battaglia sull’ immigrazione abbia acquisito un importanza centrale per l’impossibilità ideologica di trattare i problemi a monte dell’immigrazione stessa, non ha alcun senso dare la minima credibilità a questa proterva robaccia che viene da un’amministrazione impegnata nella costruzione del grande muro al confine del Messico, che affama per  la popolazione venezuelana al solo scopo di far cadere il governo chavista, che impone regimi reazionari e/o sanguinari ,che adotta sanzioni in ogni dove provocando povertà e disastri umanitari, che arma e poi abbandona mercenari per le proprie guerre le quali sono alla radice del traffico umano. Non a caso il rapporto è stato presentato da Mike Pompeo uno dei guerrafondai più illustri, quello che assolutamente vuole la guerra all’Iran. Anche solo citare queste orrende ipocrisie significa dal loro un qualche impossibile credibilità.

La terra dei Draghi

Al forum dei banchieri di Sintra, alle porte di Lisbona, si è assistito al silente psicodramma dell’Europa unita e reazionaria: il governatore della Bce, ormai in via di lasciare il posto, ha espresso in maniera contorta e anguillesca il vicolo cieco economico e politico del neo liberismo: “Se la crisi ci ha insegnato qualcosa è che noi useremo tutta la flessibilità disponibile entro il nostro mandato per rispettare il nostro mandato. Nelle  recenti deliberazioni, i membri del Consiglio direttivo hanno espresso la loro convinzione su come riportare inflazione vicino al 2%. Proprio come il nostro quadro politico si è evoluto nel passato verso nuove sfide, così può farlo di nuovo. Nelle prossime settimane, il Consiglio direttivo delibererà su come i nostri strumenti possano ridurre il rischio di danni alla stabilità dei prezzi”. Ciò che voleva dire è che si farà il possibile per superare la stagnazione e raggiungere un’inflazione del 2%, che sarebbe appunto l’obiettivo di base della Banca centrale, ma anche il possibile perché questa cifra non venga superata. Ora questa idea dell’economia e della società in funzione del monetarismo è già di per se patologica, ma ancora più patologiche sono le cifre: perché il 2% di inflazione e non il 5 o il 6, necessario per recuperare il tempo perduto, immettendo nell’economia e non solo nelle banche o nella speculazione economica tutte le risorse? Semplice: l’inflazione a livelli medio bassi consente alle banche e alle società finanziarie, come ad esempio i fondi pensione di guadagnare al massimo senza per questo suscitare allarme sociale. Un’inflazione più alta avrebbe invece tre effetti: smobilizzerebbe capitali aumentando il tasso di crescita, farebbe crescere gli investimenti pubblici, ridando centralità allo stato, ma farebbe anche calare rapidamente la capacità di acquisto di salari e stipendi mettendo in moto reazioni politiche non facilmente controllabili. Tutte e tre sono cose che non piacciono affatto all’oligarchia europea che preferisce rimanere immobile perché nulla cambi.

Passate le elezioni, gabbati i gretini

Al consiglio europeo è saltato l’accordo sul clima che prevedeva come obiettivo di massima l’assolutamente impossibile, ovvero un’ Europa a zero emissioni nette di CO2 entro il 2050. Ufficialmente l’accordo è saltato per l’opposizione di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca ed Estonia, ma questo lo si può credere solo se si è dei Candide affetti da cecità, perché l’obiettivo era talmente ambizioso da ridursi in effetti a poco più di un libro dei sogni visto che per raggiungerlo bisognerebbe vietare l’uso di qualsiasi veicolo o riscaldamento non elettrico e contemporaneamente non produrre più energia con petrolio, gas o carbone, ma affidarsi esclusivamente al nucleare e alle rinnovabili. Un simile cambiamento è del tutto impossibile in soli trent’anni non fosse altro che gli investimenti necessari, del tutto al di fuori della portata delle economie continentali e per i tempi di realizzazione degli impianti. Ma non è la prima volta nella storia che l’annuncio di obiettivi troppo ambiziosi per essere realizzati coincide con la volontà di non fare proprio nulla, nemmeno ciò che si potrebbe effettivamente fare. Del resto queste buone intenzioni erano abbastanza ipocrite poiché si scontravano con  gli straordinari aumenti dell’uso di carbone per la produzione di energia elettrica per compiacere la deliranti sanzioni di Washington nei confronti della Russia e del suo gas (vedi qui).    Così la politica verde divenuta cuore dell’europa per la breve stagione elettorale e la sua profetessa bambina vanno a farsi friggere.

Gli inganni del marketing

In questi giorni è stata presentata al pubblico una nuova Hasselblad medio formato, questa volta con mirino elettronico e nuove circuitazioni di bordo che si potrà possedere per appena una decina di migliaia di euro. Il prezzo è alto, ma va pagato perché la nuova macchina, come dice la brochure di presentazione.  “è fatta a mano in Svezia”, nulla a che vedere dunque con quelle prodotte in Asia. Sono le frasi ingannevoli del marketing perché chiunque abbia anche una vaga idea dei processi costruttivi nell’elettronica – e le fotocamere di oggi sono tutte elettronica a parte le lenti – sa che fatto a mano è sinonimo di pessima qualità visto che i componenti necessitano di assemblaggi  micrometrici che solo macchine evolute possono garantire. Quindi la frase è purissimo acchiappa citrullismo. E lo è ancora di più quando si scopre che la Hasselblad non è svedese manco per niente: nel 2004 è stata acquistata dalla giapponese Shiro, unico modo per poter accedere ai nuovi sistemi di elettronica e da due anni è passata alla cinese Dji: insomma al massimo mette inseme pezzi, dai sensori Sony, agli obiettivi zeiss agli otturatori Seiko e via dicendo. Del resto Hasselblad aveva cominciato la sua attività nel 1890 come distributrice dei prodotti fotografici di Kodak e dell’italiana Murer & Duroni, ma di svedese ha sempre avuto assai poco a cominciare dagli obiettivi Zeiss che ne sono stati il cuore, per finire alla sua fotocamera ancestrale, la 1600 F, nata nel dopoguerra la quale era una copia quasi perfetta della Kiev 88 prodotta in Urss dalla Arsenal come macchina per fotografia aerea (anche la Hasselblad  si occupava del campo durante il conflitto). Paradossalmente quando alla fine degli anni ’50 uscì la Salyut, primo prodotto civile dell’azienda sovietica, sembrò che fosse stata copiata dalla Hasselblad.  Insomma pare che le cose fatte a mano siano ben altre.