plebei

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Chissà se adesso è chiaro che la “società” non è Facebook né Twitter. Chissà se adesso è chiaro che l’antifascismo degli striscioni al davanzale, di “sto con Luciano”, dello stupore per la tracotanza di Casa Pound è un sentimento diffuso nella misura che l’establishment vuole come manifestazione di una coscienza post ideologica che non va oltre la superficie della deplorazione per un bruto forastico, per limitare lo scontro a posizioni umanitarie e compassionevoli che non compromettano la realizzazione degli obiettivi del sistema economico  e finanziario, guerre predatrici e commerciali comprese.

Duole dire che avevo ragione … ma avevo ragione: l’elezione di un organismo senza potere in una supernazione con troppi poteri arruolati e concentrati in un unico soggetto che lavora pro domo sua era solo lo spiazzo dietro al convento dei cappuccini dove aveva luogo un duello all’ultimo sangue di bande locali.

I vincitori sono quelli prevedibili, il satanasso che gli oppositori formali hanno aiutato a crescere come una divinità incontrastabile per via politica, giuridica, morale e loro, che nutrivano la speranza ben riposta di far fuori così i veri antagonisti, a loro immagine e somiglianza: ugualmente inadeguati, ugualmente impreparati, ugualmente pasticcioni quanto sbruffoni, ugualmente privi di un bagaglio di ideali, valori, principi diventati ormai gli arnesi da riporre in una cassetta degli attrezzi obsoleta e che potrebbe ostacolare il sano realismo del fare, dello scendere a ragionevoli compromessi, dell’adeguarsi agli imperativi dello stato di necessità, con una differenza  che proprio oggi ha perso parte della sua potenza, quella di un controllo dal basso che non è esercitato da un popolo militante di partito, ma da simpatizzanti che si aggregano su temi e su aspettative, perlopiù etiche,  e il cui consenso, per questo, è effimero e labile.

Ieri si è consumato l’estremo paradosso: il 30% degli elettori ha votato per un cagnaccio che ha sempre abbaiato contro l’Europa e la sua moneta, standoci dentro ben accomodato (ma da distante, in modo da prendersi il salario non guadagnato senza il fastidio del pendolarismo) e volendo continuare a starci, latrando contro i suoi comandi ma ben disposto a eseguirli a cominciare dall’alta velocità, che ha ormai il valore di un discrimine e che denuncia l’unità di intenti con l’opposizione, alla Flat Tax, alle norme incostituzionali del decreto Sicurezza-bis, ma ancora di più e in totale contrasto con le dichiarazioni sovraniste, nel perseguire un disegno di “riforme” costituzionali che deformino le competenze dello Stato centrale non tanto in vista della super esposizione dei governatori, ma per favorire la consegna di interi settori ai privati e per la ostinata pervicacia nel ridurre il peso della rappresentanza rispetto agli esecutivi, fino all’attribuzione di poteri speciali alle “sue” regioni,.

E anche in questo è ben visibile come dietro al teatrino kabuki, al gioco delle parti in commedia di Lega, Pd e Forza Italia resti in vigore un patto mai sciolto, strettamente accomunati dalla stessa ideologia che si distingue solo per apparenze, slogan e esternazioni se la ferocia dell’uno è stata propiziata dalla legittimazione della diffidenza e dell’autorizzazione della paura compiute dagli altri, con la promozione a “sicurezza” della repressione del rifiuto, con l’appoggio alla corsa agli armamenti secondo la regole che la pace si deve preparare con la guerra, con la cancellazione di diritti e garanzie e conquiste del lavoro che hanno seguito un disegno preciso ben collocato nel Jobs Act dentro la cui cornice si sono applicati i principi della precarietà, la depravazione del ruolo della rappresentanza sindacale, in modo che i lavoratori fossero tutti più esposti, più vulnerabili, più isolati e più soli all’Ilva come al Mercatone 1.

Eh si, non è difficile immaginare gli elettori del partito unico che ha il sostegno di un’unica stampa, un’unica televisione, e che ubbidisce a un unico padrone con le sue declinazioni e i suoi kapò territoriali: sono gli arruolati alle classi che si sono scoperte disagiate recentemente, espropriate di beni, piccoli privilegi e speranze di consumo e affermazione, quelli che sperano che l’appartenenza all’impero sorvegliato dalla Nato promuova un’occupazione dove la fatica è svolta dai robot e si può far  carriera affittando B&B, pilotando droni, creando siti dove si vendono prodotti cinesi nascondendo l’etichetta di origine, quelli che sono troppo abbienti per rinunciare alle proprie aspirazioni e troppo poveri per realizzarle e che per questo sconfina nel risentimento dei figli e nipoti per generazioni dissolte che hanno vissuto meglio di loro, quelli che pensano di avere il monopolio meritato della libertà perché è concesso loro di lamentarsi e di fare satira sui comandi cui sono costretti a ubbidire.

E non è difficile immaginare la soddisfazione degli eletti, non quelli all’europarlamento che tanto non conta nulla, no, quelli promossi senza la fatica di esibire programmi, di vantare successi e recriminare sulle colpe, perché questa era una competizione giocata sui pregiudizi, nemmeno sul braccio di ferro ma sulla gara a chi l’aveva più lungo, cui è affidato quello che succederà  commissionato alle loro trattative, a come sapranno raccontare accordi tra Salvini, Meloni e il vecchio cavaliere, a come ne sarà partecipe il Pd con il flebile Zingaretti che ha l’unica qualità di non essere Renzi, alla capacità di resistenza non proprio affidabile dei 5stelle col loro minimo storico e la consegna non premiata alla ragionevolezza dopo il promettente scalpitare, all’irresolutezza sia nei confronti dell’Europa che dell’alleato prepotente e preponderante, e che ha perso voce e egemonia perfino sui temi della moralità e della legalità messi alla prova dalla realpolitik.

Come è naturale da oggi vincitori e vinti hanno una opposizione comune, l’astensione che come è tradizione sarà interpretata come disdicevole disincanto democratico, ma che invece è la reazione fisiologica a un’Europa che è vista come una forza di occupazione e a una politica remota, crudele, avida e indifferente ai bisogni, un esercito nella guerra dichiarata contro i popoli che nessuno ascolta, nessuno rappresenta, nessuno difende, ridotto e in clandestinità che quando alza la voce contro  le grandi opere, contro le trivelle, per tutelare la sua terra e la sua casa, contro la trasformazione dei suoi luoghi in meta turistica o in poligono di tiro, viene condannato al silenzio, deriso come ignorante custode della conservazione e freno alle fiduciose promesse dello  scambio e del mercato.

Ma anche quello è un partito mobile, ieri si astiene, oggi si può mettere un gilet giallo o anche una camicia nera e la colpa è di chi ha detto che sono morte le ideologie per far morire le uniche idee e  l’unica lotta che potevano liberarci.