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Anna Lombroso per il Simplicissimus

Pare che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti abbia fatto una scoperta sensazionale: agli italiani interessa più il calcio che il voto delle Europee. Ancora meglio avrebbe potuto dire che interessa loro più se pioverà domani piuttosto che il cambiamento climatico, e che più che l’alta velocità importa loro che l’81 inteso come bus non passi ogni 55 minuti e così via.

Non succede invece perché Giorgetti ha partecipato al distacco sempre più profondo tra politica dei partiti al servizio imperiale e politica della vita e così non ha capito che   la squadra del cuore non ti delude mai mentre la disaffezione delle tifoserie nei confronti dei contendenti alle urne dimostra che la fiducia era scarsa e la diffidenza ben riposta. Ormai non scuote più nemmeno qualche rivelazioni dei crepitii dello scoppio di nuove tangentopoli a livello di scala locale,  tanta è l’assuefazione di cuori coraggiosi che hanno superato lo choc di calciopoli, vissute con maggiore partecipazione.

Così domani con tutto comodo assisteremo alle consuete lagnanze sull’astensionismo che di volta in volta viene accreditato come prova di maturità di una democrazia talmente forte e adulta da persuadere i cittadini della sua buona salute anche senza la loro partecipazione. O invece  criminalizzato (oggi perfino da Facebook che ci invita a condividere in diretta l’assolvimento del diritto/dovere)  come la riprova della accidiosa indifferenza di cittadini ingrati che sanno solo chiedersi cosa possa fare la nazione per loro e non cosa fare loro per la nazione, e  la conferma della vittoria del famigerato populismo che abiura dalle responsabilità e dai doveri incarnato dal ceto governativo che approfitta delle varie tipologie di malessere legittimate e suscitate su su fin dal profondo della pance dove stavano relegate vergognosamente per diventare ideologia.

Quando, a voler dare una interpretazione corretta del fenomeno, i populisti sono quelli che hanno indotto una visione del sistema sociale come una comunità nella quale i germi patogeni sono burocrati, speculatori, banchieri, mafiosi (pochi) di cui il popolo virtuoso prima o poi potrà liberarsi, in modo da accreditare la convinzione che il conflitto sociale non sia più la lotta di classe tra sfruttati e sistema, ma tra l’1% di profittatori che si sta mangiando tutta la torta e il 99% che se la vede sfilare da sotto gli occhi anche se l’ha impastata e infornata.

Nessuno dei partiti tradizionali che hanno schiumato di rabbia per le vittorie del feroce energumeno impresentabile in società, rammenta quanto l’abbia sostenuto, aiutato, blandito, dopo averlo sottovalutato come incarnazione di un folclore inoffensivo. E men che mai ricorda come il suo partito sia stato ininterrottamente al governo per un ventennio, senza che si facesse una piega  per la Bossi-Fini, per la legge Maroni, per la contiguità con il fascisti nostalgici in modo da autorizzare quelli nuovisti, senza mai toccare il tema-  molesto per tutti – del conflitto di interesse, senza mai sollevare un sopracciglio per gli attentati alla Costituzione poi innescati come una bomba da altro attore dopo che le procedure corrette per la nomina di un governo erano state ribaltate e manomesse per favorire l’intronizzazione di un senatore a vita fresco di unzione in veste di uomo della provvidenza.

Nessuno  adesso in vista dei risultati vuol rammentare le premesse avviate dai progressisti/ riformisti, che è antistorico assimilare perfino alla commemorazione della sinistra se non in forma di becchini, quando si misero festosamente agli ordini dell’impero cianciando delle opportunità della globalizzazione per far digerire la retrocessione dei sudditi a schiavi pronti a costruire piramidi dove il faraone vuole, siano africani o greci, quando derise le ansie della gente comune derubricando a vergognose e irrazionali percezione il malumore per la presenza degli “altri” che loro avevano contribuito a  portare alla disperazione partecipando di guerre e conquiste coloniali, quando in sintonia con la Chiesa invitarono e invitano al dovere morale della carità e dell’accoglienza, trattando come moralmente riprovevoli quelli che non sentono lo stesso imperativo, purché ovviamente non siano i cittadini estivi di Capalbio.

C’è come sempre da chiedersi perché poi tutti, nessuno escluso, si lamenti della disaffezione, del disamore, del disincanto. Quando invece si tratti del loro più grande successo, la loro operazione di comunicazione meglio riuscita:  far intendere la casa comune come un palazzo nel quale i cittadini sono stati sfrattati in veste di  gli inquilini morosi, l’Europa come una galera dalla quale non si più evadere e della quale oggi si devono voltare nemmeno i secondini, troppo sarebbe, ma le coop di Buzzi che seduti in Parlamento si godranno remunerazioni e benefit.

Ci hanno convinti che nulla si potesse contro il fiscal compact, votato di soppiatto come una vergogna doverosa, che nulla si potesse per rivedere gli obblighi, la natura e  il volume die contributi che siamo obbligati a dare,  a cominciare da quelli per le calamità che non ci vengono resi nemmeno dopo tre terremoti per via della nostra proverbiale inaffidabilità anche in qualità di senzatetto, così come i finanziamenti per  progetti che non vengono mai scelti in favore di fiamminghi,  olandesi,  lussemburghesi, danesi le cui lobby più contigue e dinamiche delle nostre partecipano direttamente alla stesura di criteri e procedure. Ci hanno dimostrato  che le nostre città devono essere espropriate e dobbiamo rinunciare a servizi essenziali per ossequiare le regole del pareggio di bilancio.

E via via  ci hanno convinti che è imperativo per conquistarsi l’appartenenza alla civiltà occidentale ricordarsi i 27 caratteri dell’Iban,  prendere atto della necessaria curvature delle banane e il diametro dei prodotti delle galline ovaiole, del rosso dei pomodori, concordare sulla qualità dei lager nei quali dobbiamo confinare i poveracci   che respingono da Calais e dare la nostra parte per coprire le operazioni di respingimento dalla Turchia alla Grecia stracciona come noi, condividere l’impegno comune alla difesa della fortezza comune  comprando armamenti e  fornendo risorse umane – si dice così per tutti i lavori umilianti e infamanti – per operazioni belliche ormai dichiaratamente tali.

Mentre nessuno calcola davvero quanto ci costerebbe e cosa succederebbe se davvero cominciassimo a dire no, a dire no a certi capestri, a certe minacciate sanzioni mai quantificate e forse illegittime, come all’obbligo futurista di un’alta velocità al servizio dei vicini. O se cominciassimo a dire di no alle regole di un contesto in cui il potere legislativo primario è dell’Unione, mentre il nostro ruolo di Stato democratico e di un Parlamento eletto sia pure con elezioni farlocche, è residuale e quindi le nostre istituzioni possono legiferare solo conformemente a quanto deciso dall’Unione o dove questa non è intervenuta, se volessimo mettere sui piatti di una bilancia la nostra Costituzione e i Trattati compreso quello di Aquisgrana recentissimo, per stabilire se davvero questi ultimi, che rappresentano la legge primaria di una UE ormai definitivamente su misura di una nazione, la Germania, devono pesare di più della nostra Carta e delle leggi del nostro Parlamento.

A prima vista abbiamo ragione a essere più tifosi della Roma o dell’Inter o della Juve. Ma non ne abbiamo se ci limitiamo a gridare arbitro cornuto, se idolatriamo giocatori milionari assistendo alle loro gesta sempre più prudenti in stadi offerti in cambio di case e strade e scuole, se ci basta un goal per scordare la miseria  e se non facciamo una bella e definitiva invasione di campo.

 

 

 

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