2 eAnna Lombroso per il Simplicissimus

La quotidiana pratica di umiliazione di cittadini ed elettori ha trovato il suo vertice in questa campagna elettorale nella quale l’Europa è stata un nome accompagnato da un più, da un “altra”, poco meno di un fantasma intimidatorio che si aggira nei territori nazionali in modo da avvilire  qualsiasi critica e opposizione ai comandi dell’Ue,  catalogandole come  razziste, neofasciste, xenofobe, sessiste, espressioni insomma del governo vigente che è arrivato come un fulmine inatteso a squarciare l’atmosfera solare, pacifica e limpida del “prima”.

Ci sarebbe quasi da compiacersi per l’inusuale pudore delle liste in lizza che non hanno nemmeno tentato di nascondere la portata “locale” della sfida, se non fosse sicuro che in caso di disillusioni e punizioni, anche quei risultati sarebbero immediatamente retrocessi a dati non significativi e decodificati in modo strumentale per non dire aberrante, fino a ipotizzare selezioni dei target degli aventi diritto in modo da scremare all’origine i più meritevoli.

Ma non c’è da stupirsi, si tratta di un male comune in questa “confederazione” di stati che, lo dice il nome stesso, avrebbero dovuto trovare una temporanea o permanente unità di intenti  per la comune difesa dei partner, regolata in base a norme di diritto internazionale, ma che fin dalla fase della sperimentazione in provetta ha imposto la doverosa cessione di sovranità in forma disuguale e iniqua a formare un super-sovranismo tenuto non sempre saldamente in due o tre mani di ceti dominanti che rinunciano a qualsiasi progetto nazionale che non si ponga l’obiettivo di generare una classe sottosviluppata, impoverita e dunque subalterna.

Ed è un prodotto esemplare di questa visione proprio quel Parlamento per il quale si vota domani, nato come organo puramente consultivo che solo nel 1999 ha visto rafforzare i suoi poteri ma che tuttora non possiede potere di iniziativa legislativa, che spetta invece alla Commissione. Mentre di fatto la “Legge Primaria” in Europa restano i Trattati, Maastricht, Lisbona, o il Fiscal Compact, ridicolizzando la partecipazione e rappresentatività dei cittadini elettori  e che  nessun partito e movimento nazionale o transnazionale ha la forza e la volontà di impugnare per contrastare le politiche neo-liberiste e la soggezione alla Nato e ai suoi fantocci,  a cominciare dal fascista e sfascita Salvini, che fascista è, che porta in piazza i suoi sovranisti per far contare i voti che porterà dopo domenica a alleati più compiacenti, antisovranisti a casa e sovrasovranisti a Bruxelles e Stasburgo, gli stessi che lo hanno più che sottovalutato, blandito, vezzeggiato, fatto crescere, perché è meglio un cagnaccio che abbaia ma sta nel canile a guardia dello stesso padrone.

Così officiata la solita liturgia e fatti i doverosi scongiuri e esorcismi contro il riaffiorare delle oscene pulsioni scaturite a sorpresa da chissà dove, ci viene somministrata la solita balla stratosferica sulla necessità di votare per la galera che applica la ricetta fallimentare dell’austerità per combattere la povertà che produce, di sostenere la fortezza che ci rimprovera per la cattiva accoglienza ai migranti che provoca in prima linea in guerre coloniali, di dare appoggio all’entità che ostacola e riduce le democrazie colpevoli di nascere da lotte di liberazione per salvare la democrazia dalle destre che nutre e alimenta, per gli sbirri della sicurezza secondo i comandamenti dell’ ordoliberismo  comunitario per tutelarci da quelli indigeni mandati a menare chi non abbraccia l’ideologia e le opere del totalitarismo mercantile, economico e finanziario, compresi i giornalisti scambiati per antifascisti che potrebbero disturbare mercati e la roulette del casinò globale protetta dai croupier del rating e dello spread.

A guardarsi intorno non c’è da fidarsi proprio di nessuno, non certo di un Salvini che ha imparato a cambiare felpa a seconda degli interlocutori del suo latrare grazie al frullato di populismo, sovranismo e neoliberismo, o dei 5stelle che hanno scoperto un realistico moderatismo democristiano la cui parola d’ordine ormai è “vorremmo ma non possiamo”, preoccupati delle intemperanze dello scomodo alleato quanto delle minacce di quella che si continua a chiamare troika che potrebbe metterci ginocchioni sui ceci se avanziamo legittime rivendicazioni, nemmeno a parlarne di quelli che con la loro presenza simbolica e purtroppo già collaudata l’Europa pensano di riformarla, mettendo un po’ di strofe di Bella Ciao, ormai sdoganata in chiesa e in piazza, non certo dell’Internazionale, come controcanto alla ferocia degli inni della guerra di classe alla rovescia.

Siamo oggetto di appelli al voto “comunque”, della implacabile offerta imperdibile del peggio (Pd e Fi),  conosciuto e purtroppo provato e non solo rispetto al peggio cominciato da poco, più maleducato, ma soprattutto nell’ipotesi indesiderabile per l’establishment di un meglio che ancora non sappiamo e che dovremmo farci noi, non stando più a ascoltare le loro sirene, mica solo quelle europee, piuttosto quelle delle ambulanze per il malato già morto.