guerra-lega-daugustaAnna Lombroso per il Simplicissimus

Non ci sono più le mezze stagioni è una frase che suona ormai  meno banale dell’interrogativo su che fine abbiano fatto gli intellettuali, quesito che si riproponeva con cadenza regolare almeno un paio di volte da quando un magnate insieme ai magnaccioni aveva assorbito nel suo impero scrittori, direttori di stabili, musicisti, cantautori, attori, filosofi un tanto al chilo, opinionisti tutti pronti a criticarlo con la satira e le vignette, a additarlo alla pubblica deplorazione  nelle sua veste di reiterato puttaniere e spregiudicato speculatore, ma tutti diventati a pieno titolo  prodotti di consumo offerti dalle sua Tv, dai suoi giornali, dalle su tv, comprati e rivenduto e poi ricomprati perché ormai il cambio di casacca grazie a loro è diventato una talentuosa e profittevole qualità morale, segno di intelligenza mobile e dinamica.

Così si segnava l’auspicato epilogo di un processo di trasformazione della persona in consumatore e quindi anche in consumato, confezionata in un pacchetto comprensivo di idee, corpi, valori, bellezza, lavoro, emozioni, arte, poesie, convinzioni, desideri,  esperienze, commerciabile e spendibile fino all’esaurimento, quando finiscono il gruzzolo e le potenzialità per contribuire al mercato e alla sua ideologia con il consenso e la fidelizzazione.  Per anni quella che Pasolini definiva l’imposizione dell’edonismo, la ostensione della bellezza fisica e della giovinezza come indispensabile strumento per ottenere piacere e beni, la repressione di diversità fisiche o di inclinazione, la censura e l’autocensura di critica e opposizione, l’avevano avuto vinta anche grazie alla creazione di un immaginario collettivo nel quale ognuno mediante modeste rinunce alla dignità, alle convinzioni, alla solidarietà, alla reputazione, poteva affermarsi come tronista, talento musicale, intrattenitore, comico, velina, ballerino, ma anche, con un relativo indebitamento con il diavolo, la Bocconi, la Mediolanum, economista, igienista dentale, assessore, senatore, finanziatore della Leopolda.

Poi, inaspettatamente, almeno per pensatori, opinionisti, analisti, ragionieri e profeti, è arrivata la crisi come un inatteso e imprevedibile accidente che ha trovato tutti impreparati, poiché nel frattempo la scuola si era impoverita, per diventare una fabbrica di ignoranti specializzati, l’informazione era regredita a rozza comunicazioni o ancor più rozza pubblicità, la cultura si era trasformata in ideologia di servizio, per propagandare le magnifiche sorti di sviluppo, per somministrare le dosi necessarie e pedagogiche di ubbidienza e conformismo come virtù teologali del progresso. Impreparati e più poveri, con la cocente delusione di ha perso qualcosa di posseduto o promesso, che, si dice, sarebbe una sorte peggiore della mancanza e non conoscenza di beni e privilegi, tanto che a volte pare che chi soffre di nuove privazioni e sottrazioni sarebbe più meritevole di compassione e aiuto di più di chi non ha mai avuto nulla e non ha nulla da lasciare quando va per il mondo.

Non c’è dunque da stupirsi se insospettabili persone ammodo si sono convinte di essere più meritevoli perché non possono più guadagnare, spendere, pretendere, se tra le pretese legittime annoverano anche che venga risparmiata loro la fatica di pensare, decidere, scegliere a lungo delegata a appositi persuasori e decisori. Per questo si ripresenta l’annosa questione sul ruolo degli intellettuali  e della cultura che dovrebbero indicare la strada per la salvezza, grazie alla delega in bianco offerta per fare il nostro bene, siano bancari o banchieri, tecnici o idraulici, ingegneri o economisti, operatori “culturali” o organizzatori di eventi, scienziati futuristi o millenaristi.

Ma vanno bene anche i menestrelli ancora più affini agli usignoli dell’imperatore, purchè però non cantino soltanto, ma si esprimano in generose affiliazioni temporanee a una o all’altra delle fazioni in campo, tanto che le tifoserie e gli ultrà pubblicano  il monitoraggio quotidiano degli umori dei rapper, dei ripensamenti della Mannoia, inimitabile testimonial dell’arco costituzionale e oltre e che dopo una momentanea adesione alla weltanschauung 5stelle, voterà Sinistra alle europee, ma concede graziosamente uno stornello al Pd, dell’audience intramontabile dei passaggi nel servizio pubblico del fratello Commissario in veste di autorevole spot.

Che tanto adesso per essere intellettuali basta partecipare allo  sturm und drang, all’uragano  di fierezza e entusiasmo antifascista suscitato dall’improponible e inaccettabile Ministro dell’Interno che è riuscito a unire sotto lo stesso striscione, e sopra, è proprio il caso di dirlo, alleati di governo e Arci, preti e Anpi, la Mondadori e Wu Ming, femministe e Boschi, ambientalisti e Si Tav, Landini e Confindustria, ah no, quelli erano già insieme anche il Primo Maggio.

Si, oggi ci vuol poco per essere intellettuali critici, basta scoprire d’improvviso grazie a qualche lavoratore portuale che i nostri porti sono aperti a bastimenti carichi di armi, quando da anni la gente della Sardegna lo grida inascoltata, quando i no Muos sono trattati dalla Digos come pericolosi eversori, quando  coste bellissime delle nostre isole sono diventate senza proteste se non degli indigeni, poligoni di tiro, quando i governi e i parlamenti che si susseguono si fanno solerti acquirenti di tutte le tipologie di dispostivi e strumenti per portare la guerra dentro e fuori casa. Basta fare un po’ di carità e tirar su uno stendardo antixenofobo e antirazzista e magari farcisi un selfie vicino, quando si è ritenuto obbligatorio per lo sviluppo e la modernizzazione per Paese andare a derubarne altri. Basta gridare contro lo sfruttamento dei caporali che lasciano sul campo di pomodori gli africani morti di sete, caldo e fatica ma stare zitti sulle aziende famigliari dei Renzi, che così si può tacere anche su quelle dei Riva, dei De Benedetti, della Marcegaglia.

Vuoi vedere che grazie a Salvini si sta avvicinando un nuovo Rinascimento?  A vedere quanti cortigiani sono spuntati come funghi, si direbbe di si.. che poi l’imperatore allora come oggi è sempre lo stesso.