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Elezioni Ue: ambiente, niente

gelati 2Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ve la ricordate Greta?

Beh se non ve la ricordate non c’è niente di male. E’ successo anche a quelli che l’hanno ricevuta in pompa magna estasiati e genuflessi davanti a quell’efficace prodotto dell’industria dello spettacolo, soprattutto se impegnato nel filone catastrofista,   che ne ha fatto una piccola Giovannina d’Arco, incarnazione bigotta dell’ambientalismo neoliberista,  affibbiando  responsabilità e doveri alla collettività e ai singoli individui e liberando dal gravoso onere imprese, politica e  governi.

Per averne conferma  basta andare a guardare i programmi di chi vuole più Europa, di chi vuole un’altra Europa, di chi l’Europa non la vuole ma intanto spera di sedersi sulle comode e irrinunciabili poltrone portatrici di prebende e benefits, di chi – i meno credibili di tutti – pensa che in Europa ci entra come un cavallo di Troia per trasformarla da fortezza feroce in confederazione bonaria e generosa.

Sarà che si sono passati gli appunti,  sarà una non sorprendente coincidenza. Ma pare che tutti abbiano tirato giù dagli ultimi scaffali in alto, quelli più impolverati, il Rapporto  Bruntland (1987) la bibbia dello sviluppo sostenibile, dello slogan ambientare lo sviluppo e sviluppare l’ambiente, uno dei più preclari esempi di paradosso o meglio di ossimoro, che mise le basi per tutte le strategie e commerciali strumentazioni commerciali e mercatistiche che hanno poi eretto l’impalcatura del Protocollo di Kyoto e degli accordi successivi: meccanismi volontari e flessibili, incentivi e facilitazioni, licenze e indulgenze pensate proprio  per esonerare l’industria da impegni troppo severi, introducendo permessi e la possibilità di scambiarli  in un mercato concepito per risolvere i danni del mercato così che si possa continuare a inquinare guadagnandoci sopra.

Così nei programmi fotocopia di più Europa, meno Europa, l’Europa che vuole Salvini,  l’altra che si illudono di riformare i compagni di merende di Tsipras abbiamo a che fare, pur di non contestare il sistema,  con tutto il repertorio  di azioni a carico dei cittadini virtuosi, sui compiti che gravano sulle spalle dei cittadini finché le filiere sono visibili, finché cioè si rinuncia all’aria condizionata resa indispensabile dallo sfruttamento e della compromissione delle risorse o al riscaldamento o all’auto irrinunciabile laddove con il welfare urbano si sono tagliati anche gli investimenti per il trasporto pubblico. E finché, cioè,  si arriva al “cassonetto”,  perché da là in poi è risaputo che tutto cade nelle mani  della criminalità quella mafiosa ma anche quella legale o legittimata, sui padroni delle discariche, che si sono riciclati anche loro nel brand degli inceneritori o dell’export di immondizia, oppure insistono nel business come in Veneto, o si arriva all’occupazione militare dell’eolico che ha fatto la fortuna di  dinastie in odor di mafia, ai rigassificatori e all’obolo che si continua a dare a quelli che aspettano l’autorizzazione, malgrado le antiche denunce del guru 5stelle oggi in sonno ecologico, alle trivelle di Eni e Agip e soci  esteri accomunati dall’impegno a esportare danni e corruzione.

Non è che poi si dedichi più che tanto alla salvezza planetaria nelle letterine di natale delle formazioni in lizza per una scadenza elettorale che ha una valenza solo nazionale pensando agli irrilevanti effetti nel consesso comunitario e per il consesso comunitario a vedere le performance di Tajani, della Gardini, della Spinelli, di Maltese. Che si sa l’ambiente è un optional che nelle tenzoni importanti si lascia a formazioni “dedicate” con l’auspicio che possano diventare aghi della bilancia e momentanei partner, proprio come si fa con altri target, femministe comprese, tanto è opinione diffusa che la rivoluzione non si può fare e quindi meglio ripiegare in accomodamenti pratici e realistici  sotto bandiere unificanti che nessuno avrebbe il coraggio di contestare: più parchi, salvo quello dei Nebrodi magari troppo legato a un rappresentate Pd renitente, più fonti rinnovabili come hanno sempre predicato i presidenti di Legambiente passati allegramenti alle file del renzismo e dei suoi sbloccaitalia, più Tav che sviluppa occupazione, più stadi che piacciono al popolo e portano effetti indotti: grandi stabili di uffici vuoti, strade a carico dei comuni. E come recita il programma degli alleati del guappo all’ombra del Partenone una formidabile strategia di riconversione ecologica con investimenti nelle filiere industriali, dei trasporti, dell’efficienza energetica e nelle fonti rinnovabili, insomma un New Deal che si può finanziare con buoni emessi dalla Banca Europea degli investimenti e sostenuti dalle Banche Centrali Europee, ipotesi che magari incoraggia al voto chi ama la fantascienza e la letteratura visionaria.

Come al solito va a finire che si rimpiangono Bucalossi e Fiorentino Sullo, se lo slogan “stop al consumo di suolo” che occupava i discorsi dell’ambientalismo e della politica è diventato il più blando “contenimento del consumo di suolo” e poi “rigenerazione urbana”, come se speculazione e sacco del territorio fossero crimini che si consumano solo nelle città e come se la concessione delle nostre geografie e dei nostri beni comuni ai privati non riguardasse terreni agricoli e boschivi alienati per farne seconde case, ma anche discariche, parchi eolici e impianti geotermici che mortificano tante aree del Centro-Sud, coltivazioni intensive occasionali, disboscamenti non pianificati. Come se non rientrasse nel consumo dissennato e dissipato il cambio di destinazione d’uso che resta sulla carta in attesa del migliore offerente, sicché diventa oggetto di scambio, ricatto, svalutazione, come se non ne avessimo avuto abbastanza dei grandi eventi che lasciano la rovina e l’abbandono dietro di sé,  come se i danno a carico di tutti noi non riguardassero oltre  alla mancata produzione agricola (l’artificializzazione   del territorio c continua a coprire irreversibilmente aree naturali e agricole con asfalto e cemento, edifici e fabbricati, strade e altre infrastrutture, insediamenti commerciali, produttivi e di servizio, anche attraverso l’espansione di aree urbane, spesso a bassa densità), all’ impermeabilizzazione del suolo, alla mancata protezione dell’erosione e all’infiltrazione e regolazione idrica, all’assenza di manutenzione ordinaria di corsi d’acqua.

E non serviva Greta, ma bastava MilanoToday per sapere che i dati mostrano che Milano e Torino, con 40 μg/mc di Pm10, sono a capo del gruppo di città che ha superato ampiamente per anni il limite della concentrazione media annua di polveri fissato dall’Oms in 20 μg/mc/giorno tanto che il 2018 segna per la Capitale Morale il «codice rosso»: i 50 μg/mc/giorno sono stati superati in 75 giorni (35 il limite di legge).

E ci era bastato lo Sbloccaitalia di Renzi per sperare che il governo in carica ci risparmiasse lo Sbloccacantieri che riporta allo strapotere dei commissari straordinari e dei poteri speciali, delle deroghe alle tutele dell’ambiente, dei beni culturali e della salute dei cittadini, bypassando anche  la  vigilanza e salvaguardia di beni culturali e paesaggistici.

Ambiente niente, diceva un comico di tanti anni fa in una sua parodia dei Tg, più profetico e lungimirante di altri colleghi, professionisti, dilettanti e involontari.

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