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Le nonnine di Tsipras

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Anna Lombroso per il Simplicissimus

Non occorre l’antropologo per osservare come le donne al ristorante, nei locali pubblici, in balera, non vadano mai alla toilette da sole, ma accompagnate da altre sodali.

Chissà se è questo istinto primordiale a suggerire a Rossana Rossanda la frase «E ora dobbiamo evitare che quelle che saranno elette si ritrovino sole», che ha concluso la presentazione al pubblico di tre candidate alle elezioni europee per discutere di «un’Europa femminile», organizzato dall’Altra Europa con Tsipras, una delle componenti della lista La sinistra, che in quell’occasione ha distribuito il suo programma. Al suo fianco, al tavolo della presidenza c’era la candidata eccellente Luciana Castellina e un maschio preso in prestito per il solito generoso riconoscimento rispolverato quando servono i voti: «oggi in giro per il mondo le donne sono avanguardie contro i regimi», salvo uno, si direbbe.

Loro non sanno che dolore ci dà vedere la ragazze rosse «due vecchie comuniste, io vegliarda anzi », secondo Rossanda,  tornare togliattiane, con “i piccoli passi” che non lasciano impronte, a rivedere su quella tribuna una che in Europa c’è stata eccome e della quale si ricorda un blando impegno per la valorizzazione dell’ottava arte, non dissimile da quello di Zingaretti presidente della regione Lazio che sponsorizza cinepanettoni e serie tv.

O anche con “il meglio nemico del bene”, quando il bene per il quale invitano a votare le donne è rappresentato dalla parità di salario coi maschi per un lavoro precario, umiliante, avvilente e poco retribuito, quando la riscossa di quella che una volta si chiamava l’altra metà del cielo consisterebbe nella rottura del soffitto di cristallo planetario con la  sostituzione di genere, che punta a pari opportunità di potere, come se la massima aspirazione delle donne dovesse essere quella di occupare posti prestigiosi e autorevoli, consigli di amministrazione e poltrone ministeriali, postulata da Castellina che dice: «Quando parlavamo di dittatura del proletariato sostenevamo che ci doveva essere una rottura, così oggi per abolire il patriarcato ci vorrà, momentaneamente, un di più di potere alle donne», dove evidentemente imporsi e imporre un modello di supremazia mutuato da quello maschile E quando il manifesto  di Arruzzu e Fraser che condanna il femminismo liberale che vuole l’affrancamento di un 1% che eccelle e non del 99% delle oppresse a casa e fuori, quelle che i vetri rotti del soffitto di vetro spaccato li devono raccogliere in un mondo dove pare competa ai poveracci – ma alle poveracce due volte –pulire lo sporco di un “progresso” che ha prodotto l’impoverimento e la condanna alla miseria per miliardi di persone, un incombente disastro ecologico, guerre di razzia e ruberia, conseguenti migrazioni di massa e razzismo e xenofobia, espropriazione di diritti che si credevano acquisiti e inalienabili, molto citato nell’augusto consesso, fa dire a Rossanda: «Se fossi più giovane mi butterei nel sindacato per una lotta solidale con le altre donne».

E infatti la coalizione  che comprende la Lista per Tsipras, il guappo della Plaka che forse a qualcuna ricorda i robusti e scanzonati giovanotti del servizio d’ordine del Pci, peccato che lui sia si,  nel servizio d’ordine, ma della troika, ha finito per avere molte affinità con quel sodalizio stretto tra sindacati e confindustria, quel patto francamente osceno stipulato dalle parti sociali perché il completamento del processo dell’Unione europea riassuma le fattezze della radiosa visione di Ventotene. Come se la garanzia “di una pace duratura in tutto il nostro continente” non rammenti il famoso motto di Galbraith: opulenza privata e pubblica miseria, concordia in casa quindi e conflitti fuori, per razziare, sfruttare e ridurre in servitù, oltre il mediterraneo ma perfino oltre confini vicinissimi come nelle geografie dell’ex Jugoslavia, e come se quell’utopia che “ha unito i cittadini europei attorno ai valori fondamentali dei diritti umani, della democrazia, della libertà, della solidarietà e dell’uguaglianza”, non venga ogni giorno abbattuta come la statua di un regime aborrito perché ostacola crescita e ordine, quello delle democrazie nate dalle resistenze nazionali e dalle loro carte costituenti.

Il fatto è che l’unità Europea, «Un tema enorme, dice Rossanda, perché oggi l’Unione e l’Italia debbono decidere l’orientamento, la direzione di questo continente», è diventato un atto di fede da celebrare pena l’espulsione da quel consorzio civile che accoglie gli immigrati che servono, a cominciare dalle immigrate sulle quali le privilegiate possono scaricare il lavoro della riproduzione e della cura, senza mettere in discussione le cause che sradicano popolazioni dalla loro terra, per guerra, paura, fame e sete, che condanna il fascismo al Salone del Libro, ma finge di non vedere quello in fabbrica, nei magazzini di Amazon, nei call center di Eni e Tim, nelle buone scuole, nelle piazze, nelle banche criminali. O un autodafé, la proclamazione pubblica della nostra colpa per aver vissuto sopra le possibilità concesse dal capitalismo quando gli servivano cittadini convertiti in consumatori, obliteranti pronti a ubbidire in cambio di standard minimi di benessere, in cambio di libertà e autonomie limitate, desideranti da appagare con la promessa di una futura sicurezza conquistata a suon di rate, mutui, assicurazioni e bolle, tutti ormai condannati a abiura e rinuncia di diritti e autodeterminazione.

L’obiettivo che si è data questo fittizio organismo “sovranazionale”  è quello di annullare la volontà e capacità delle classi subalterne di incidere sul processo decisionale per quanto riguarda il bilancio pubblico e le politiche economiche e sociali, per favorire  la riduzione e l’annullamento della sovranità democratica diminuendo e aggirando i parlamenti e rafforzamento gli esecutivi nominati da Bruxelles e dall’asse anche quella differenziata che ha siglato il Trattato di Aquisgrana  per promuovere e rafforzare profitto su scala mondiale.

«Quando avevo 18 anni, riporta il Manifesto compiaciuto le parole di Rossanda, mai mi sarei sognata di accettare un lavoro precario per anni, e non capisco come facciamo oggi a sopportarlo». Lo capiscono benissimo quelli che non sono nati illuminati, che non appartengono a dinastie e cerchie del privilegio, quelli che si sbattono per un sotto e para contratto precario, quelli che non sono rampolli di intelligenze critiche mandati a formarsi nelle capitali dell’impero oltreoceano, quelli che non basta la raccomandazione e nemmeno anni di parcheggio nei diplomifici per vedersi concedere un incarico.

Non saranno le elette a essere lasciate sole, sono loro che hanno lasciato soli noi.

 

 

 

 

 

 

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