fiera_del_libro_torinoSi potrebbe pensare che cancellare i diritti del lavoro, aumentare le disuguaglianze sociali, aggredire il welfare e dunque la cittadinanza, ridurre in maniera subdola la libertà di espressione, avere un’informazione che considera cosa normale, come abbiamo appreso in questi giorni, nascondere le notizie scomode e incarcerare chi le rivela, sia l’essenza del fascismo, un distillato velenoso che va oltre le forme storiche in cui si è incarnato nella prima metà del secolo scorso. Invece vediamo con una certa sorpresa che proprio chi ha dato avvio alla post democrazia, alla distruzione del welfare e delle conquiste sociali presentandole come una sorta di lusso che non ci si poteva più permettere, che ha volentieri chiuso gli occhi, ma non la borsa di fronte alla tracotanza di formazioni di chiara marca, come si diceva una volta, adesso vede fascismo dovunque dopo una quasi totale cecità, dando anche uno spettacolo penoso alla fiera del libro di Torino, dove gente da talk show e wuminghiate misura angosciosamente se gli conviene di più restare o disertare in vista delle vendite.

Invece di combattere Salvini con argomenti sensati e con domande che potrebbero facilmente rivelare l’inconsistenza del personaggio oltre le vaghe formulette sul disagio delle periferie e sull’immigrazione, anzi più che l’inconsistenza, la sua adesione al modello neoliberista e ai suoi strumenti cui rimprovera unicamente la carenza di manganelli e manette, ma anche di aree di impunità per chi può, ci si lascia andare a queste sceneggiate pre elettorali di sapore capalbiese.  Però sarebbe ingenuo pensare che tutto questo sia un fatto italiano: da molti anni il fascismo è diventato l’alibi con cui l’elite globalista ha confuso le acque, salvo tacere del fascismo che nel frattempo produceva. Pensiamoci per un  attimo: nel mezzo secolo successivo alla guerra e all’immediato dopo guerra  il nazifascismo era stato quasi dimenticato dai mezzi di comunicazione di massa e non solo: quanti film ricordiamo – a parte qualcosa del neo realismo italiano – che trattassero di quella tragedia? Appena qualche decina  e a parte pochissimi come accessorio della guerra. Poi tra il finire del secolo scorso e l’alba del nuovo secolo quando ci si sarebbe potuto aspettare una graduale calo di tensione il tema sembra essere esploso con centinaia di film e sceneggiati di produzione hollywodiana, immediatamente imitati altrove. E’ una singolare inversione di tendenza in un mondo nel quale non mancano le guerre, le stragi, l’arroganza del potere e che ha tuttavia le sue ragioni.

Nel dopoguerra molti dei dirigenti e dei ceti compromessi col fascismo rimasero sostanzialmente al loro posto perché mentre la guerra si tramutava in fredda non era il caso di andare troppo per il sottile nel fronteggiare il pericolo rosso, anzi spesso le estreme destre erano utili alla governance in virtù del comune anticomunismo, fornivano carne da cannone per i vari gladi o le operazioni terroristiche. Erano insomma il cane da guardia del potere Usa, anche se formalmente venivano tenute ben nascoste nella cuccia. Poi con il dissolvimento dell’ Unione sovietica e la scomparsa di un nemico adatto a nascondere le sempre maggiori contraddizioni di un pensiero unico che apertamente invocava diseguaglianza come motore economico e come antropologia, ci fu bisogno di fondare il sistema sulle fondamenta della sconfitta del nazifascismo, anzi di intestarsene la totale proprietà, escludendo l’Urss che era stata la maggior protagonista di quella vittoria. Di qui una fioritura di antifascismo puramente narrativo e non politico per rammentare le nobili origini quanto più il sistema stringeva la corda attorno ai ceti popolari o quanto più quel periodo riverginava le brutture e le stragi del presente. Dal quasi niente di prima si è arrivati partendo dall’anno 2000 (ho fatto un conto sommario) a quasi 300 film , una ventina di serie televisive, circa un migliaio di libri direttamente dedicati, per non parlare dei riferimenti diciamo così laterali che praticamente prendono il 70% delle produzioni. Insomma il fascismo storico serve a nascondere quello presente e,  grazie a questa opera di trascinamento psicologico , è diventato anche il convitato di pietra delle campagne elettorali, visto che il sistema non ha molti argomenti da portare al mulino della propria credibilità. Ed è anche in questa prospettiva che va vista, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, lo sdoganamento, la noncuranza se non l’aiuto a movimenti e gruppi dell’estrema destra che così potevano comunque testimoniare l’esistenza del problema.

Ora la vicenda Assange contro cui si scagliano i migliori ancorché presunti antifascisti locali, la violentissima repressione armata contro i gilet gialli in Francia, le menzogne mediatiche diffuse per giustificare guerre, possibili grazie al possesso effettivo dei mezzi di comunicazione di massa, la politica nefanda delle sanzioni,  l’appoggio a regimi ignobili, magari appositamente creati, gli ideologismi economici e quelli culturali, sono, assieme agli allegati della disuguaglianza sociale, una forma di fascismo, un fascismo non più dittatoriale dittatoriale, ma di mercato.  In fondo non meraviglia che la protesta antifascista si addensi sul salone del libro perché vi partecipa una formazione di estrema destra che nel tempo ha ricevuto molti regali da quegli stessi ambienti che si indignano: in fondo è solo fiction.