notre-dame-pompieriSe fossi nei panni del Papa e delle gerarchie cattoliche farei un’attenta analisi dei reportages scritti e video che si sono susseguiti durante e dopo l’incendio di Notre Dame perché essi suonano come l’inquietante campana a morto della propria progressiva perdita di senso: sebbene il fuoco abbia toccato un  edificio religioso, anzi il più famoso edificio religioso di Francia, e non uno della politica, dell’economia o un museo o qualche palazzo della simbologia nazionale oppure del lusso neoliberista, i termini costantemente usati sono stati, “storia”, “monumento”, “patrimonio”, “destino francese”, “tesoro”, “icona”, “cultura” senza che mai venissero usati nemmeno una volta termini in fondo più appropriati per una cattedrale come “messa” “fede”, “grazia”, ​​”incarnazione”, “peccato”, “provvidenza”, “rivelazione”,  “salvezza”, “culto”, “preghiera” come se la funzione religiosa della cattedrale fosse passata in secondo piano o addirittura non esistesse più. Persino il tentativo degli ambienti più retrivi e reazionari di inscenare una sorta di guerra religioso – culturale si è ben presto estinta sia per l’assenza dell’attentato da parte degli infedeli, sia per l’avvenuta “laicizzazione” della cattedrale che ormai da un secolo è protagonista di cerimonie civili dalla liberazione della città ai funerali di De Gaulle e di Mitterand o l’omaggio alle vittime del terrorismo.

Questa sparizione del sacro, anche se non del religioso e del magico in senso stretto, lo si nota ormai in molte cerimonie autoreferenziali nelle quali la chiesa celebra se stessa: uno degli esempi più notevoli potrebbe essere considerata la canonizzazione di Giovanni XXIII di Giovanni Paolo II nella quale non c’era traccia di adorazione divina, bensì del culto dei santi e nello specifico di due papi. Ma in quell’occasione rivelatrice non c’era stata la completa assenza della dimensione sacra come è avvenuto per le cronache di Notre Dame trasformata quasi in totem e in epicentro non tanto di laicità quanto di  culti assai più arcaici e antichi, come quello degli antenati o quelli che possono riferirsi all’animismo come è abbastanza evidente dalle frasi ricorrenti che si sono state dette e scritte decine di volte e in nessuna delle quali la cattedrale è citata nella sua specifica funzione:  “ognuno arriva al capezzale della vecchia signora di pietra”; “quella che parigini hanno sempre considerato come una madre protettiva, rassicurante”; “dozzine di vigili del fuoco circondano Notre-Dame, come se fossero al suo capezzale”: ” Parigi piange la sua amata signora “. Nemmeno una volta si nomina la Madonna cui dopo tutto  la cattedrale è dedicata. Insomma dopo secoli di teologia e di astrazioni pare che si torni a venerare un elemento materiale e si manifestino in modo chiaro persistenze di atteggiamenti ancestrali mai scomparsi, anzi ben presenti, per esempio nel culto delle reliquie. Così accade che i fedeli mentre vedono e temono il fuoco che ha distrutto, fortunatamente solo le parti posticce di quella che potremmo chiamare Notre Madame, non siano affatto allarmati dalla caduta del sacro, anzi nemmeno lo avvertono.

A cosa è dovuto tutto questo? Senza dubbio alla progressiva decristianizzazione della società sotto i colpi di un capitalismo che in passato  ha fatto del cristianesimo se non il suo oppio, il suo spinello festivo, con il consenso delle varie gerarchie preoccupate che il progresso materiale, quello sociale e la crescita del sapere mettessero in crisi le fonti del loro potere, ma che oggi, libero da ogni avversario ideologico e semmai prigioniero di se stesso, non ha più nessun bisogno del sacro, che anzi diventa fastidioso e inopportuno, ma piuttosto di una religiosità paganeggiante e blanda che non ostacoli con molesti richiami etici, la riduzione in schiavitù consumistica delle persone e il loro sfruttamento. Ovviamente la conservazione di riti, modalità e luoghi tradizionali del culto serve ancora e in molte maniere diverse al controllo sociale, purché sia adeguatamente depurato dai significati e si configuri come puro apparato retorico e scenografico che serve da ancoraggio  di comodo nel disorientamento della gente. Le chiese cristiane terrorizzate dal socialismo e dal comunismo ateo che esse percepivano come una religione aliena si sono legate senza remore al capitalismo rampante e alle sue incarnazioni anche perché convinte  che l’ordine sociale della disuguaglianza fosse il terreno di cultura ideale per il loro messaggio tout court attribuito a Dio: i poveri potevano sempre sperare in una giustizia oltremondana tramite ovviamente la chiesa e rimarsene buonini in attesa del premio, mentre i ricchi potevano sentirsi in grazia del Signore in virtù della benedizione portata dalla loro stessa fortuna, come tra i protestanti o liberarsi facilmente dal fardello del peccato con qualche donazione e qualche avemaria. Dal momento che il sacro era già scomparso da un pezzo, speravano di poter essere azionisti alla pari e di poter condurre in qualche modo il gioco, ma hanno sbagliato i conti e non hanno capito che l’alleato sociale era la più potente forza di desacralizzazione che avessero mai incontrato.

Solo che adesso  la complicità intima con un sistema che non tollera alternative, non permette significative evoluzioni sia per le resistenze interne, sia per i vincoli esterni: tutto rimane sul piano di un continuo, ambiguo e impudente baratto col potere, come abbiamo visto in questi giorni con Salvini che vuole salvare a suon di soldi pubblici il matrimonio in Chiesa, per un calcolo elettorale che dimostra la pochezza della persona e dei suoi interlocutori. Ma ha avuto anche momenti drammatici e importanti: non è certo un  caso che lo scontro sulla pedofilia sia nato in Usa quando si trattava di piegare la chiesa cattolica, cresciuta di importanza con l’esplosione demografica dei latinos, alla nuova dottrina della guerra infinita e farla diventare una “chiesa americana”. Beninteso non è che si trattasse di un problema inesistente, anzi diciamo che era da epoche immemorabili consustanziale alla chiesa stessa anzi in un certo senso risaputo e persino accettato, ma tramutatosi in aperta condanna proprio quando il senso della missione divina del sacerdozio è venuto definitivamente meno. Tuttavia è significativo fatto è che le numerosissime inchieste sulla pedofilia nelle comunità religiose statunitensi e anglosassoni in genere, hanno mostrato che gli abusi avvenuti in ambito cattolico erano meno di quelli riscontrati nelle varie confessioni o sette evangeliche, ma stranamente questi ultimi non hanno avuto alcuna risonanza se non a livello locale.

In questa chiave vanno interpretate le “dimissioni” di Benedetto XVI, consapevole dell’impossibilità ormai per la Chiesa di avere uno spazio proprio e soprattutto di fronte “processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale” ormai agganciata al neoliberismo e dunque allo strumentalismo etico. Alla fine forse rimpiangeranno il buon vecchio ateismo.