renzi-cesareOggi ho voglia di fare un po’ d’ordine nei cassetti sottosopra e dedicarmi a termini ingiustamente desueti dopo aver conosciuto una grande fortuna, ma che invece sono categorie molto utili a definire la realtà contemporanea e l’emergere di nuove forme di autoritarismo: si tratta di bonapartismo e cesarismo, nate nella Francia, a metà dell’Ottocento e tema di molte riflessioni sia da parte di Marx, che di Engels, come di Otto Bauer, Max weber o August Thalheimer, ma soprattutto di Gramsci. I due termini sono stati usati quasi sempre e impropriamente come sinonimi, ma ne voglio proporre una interpretazione in parte diversa rispetto a quelle già stratificate e che può  illuminare sia il recente passato (per recente intendo dall’Illuminismo in poi) sia soprattutto la contemporaneità in maniera meno stereotipa e di fatto risalente a un secolo fa. Ma soprattutto eliminare molte confusioni portate dal mediocre spirito del tempo.

Basta riferirsi agli eventi e dai personaggi da cui prendono il nome: Napoleone prende il potere con un colpo di stato ponendo fine al regime del direttorio e cominciando fin da subito a porre le basi per l’istituzionalizzazione del suo potere che viene sancito poi con un plebiscito. L’ascesa di Bonaparte e il suo effimero impero sono l’esatto contrario del governo del popolo per cui era scoppiata la rivoluzione, ma si realizzano grazie allo stato di assedio della Francia da parte delle potenze assolutiste. Difficile oggi, dalla prospettiva dalla quale guardiamo, rendersi conto dell’emergenza che si viveva allora, ma tutta l’ascesa napoleonica è possibile  dentro la sensazione di difendere la rivoluzione ancorché ne fosse la negazione. Si tratta dunque di un tipico regime d’assedio dove un personaggio nemmeno particolarmente carismatico – noi lo percepiamo in maniera deformata a posteriori – prende il potere in nome del suo contrario e lo conserva grazie al fatto che favorisce comunque la traslazione tra la vecchia classe dominante e la nuova.  Ci sono molti esempio di bonapartismo, intenso in questo senso, non escluse le nella sostanza esperienze comuniste che sono vissute costantemente  sotto accerchiamento e nelle quali la dittatura del proletariato si esprimeva non attraverso i soviet, ma una dittatura burocratica di emergenza, come a suo tempo spiegò benissimo Trockij.

Completamente diverso è il cesarismo: il suo personaggio ispiratore, al contrario di Napoleone, non attua alcun colpo di stato, anzi lo rifiuta apertamente nonostante la possibilità di vincere qualsiasi tipo di plebiscito e mostra il massimo rispetto e grande devozione per le istituzioni repubblicane nonostante sia in realtà il vero padrone di Roma. Il suo potere e la sua leadership si insediano non nell’emergenza, ma al culmine dell’espansione che mette in crisi gli assetti di potere precedente: Cesare ne accelera il declino reale, ma non ha alcun bisogno di contrastarlo apertamente, anzi questo avrebbe potuto far sorgere resistenze inaspettate e portare l’intero senato a pugnalarlo invece di un pugno di cospiratori o magari suscitare tumulti popolari e una nuova guerra civile. Anche quando con Augusto l’assetto imperiale fu formalizzato, le vecchie istituzioni continuarono ad esistere e a detenere in modo rituale il potere, benché i suoi membri scendessero da 900 a 600. E questo durò per circa seicento anni, nonostante l’assemblea non fosse nient’altro che l’espressione di un lobbismo all’antica e infine di un disperato ricordo. Non a caso gli imperatori di Roma erano tutti Cesari proprio per mantenere una certa ambiguità in mezzo al despotismo.

Come si vede il cesarismo è una forma di autoritarismo e di leaderismo molto lontana dal bonapartismo che in epoca recente potrebbe essere attribuita a De Gaulle o ancora più vicino a Orban: è invece molto più vicina ai regimi e ai leader che esprimono il declino della democrazia, ossessivamente attaccati all’aspetto formale delle istituzioni quanto più essi ne possono e ne vogliono programmaticamente prescindere attraverso la manipolazione mediatica globale e l’acquisizione pronta cassa dell’intelligenza: non c’è bisogno di conquistare le Gallie, la Britannia, né colare a picco i pirati che infestavano il mediterraneo, occorre solo il megafono padronale in grado di concentrare contenuti puramente emozionali. Quindi apparentemente il termine cesarismo non si adatta bene a queste situazioni, se non in casi estremi come potrebbero essere quelli di Bolsonaro o di Macron, Ma non dimentichiamoci che tra pochi giorni andremo in processione alle urne per eleggere rappresentanti che non rappresentano nulla, un Parlamento completamente privo di potere, come se la democrazia non fosse che una nuda proprietà residuale i cui riti devono bastare a se stessi.

C’è un’altra differenza pragmatica divide i due concetti e le due forme di autoritarismo: il bonapartismo nasce normalmente in seguito a vicende belliche o a situazioni che le simulano, mentre il cesarismo ha bisogno di alimentare continuamente guerre per garantirsi e difendere un surplus necessario alla pace sociale, spesso intraprese sotto il capitolo della sicurezza, anche andando dall’altro capo del mondo, sia situazioni di ostilità per tenere sulla corda le opinioni pubbliche con un mix di paura e di tracotanza. Ovviamente il cesarismo in questa accezione è nemico di qualsiasi forma di democrazia plebiscitaria e/ o populista proprio perché mette a rischio la sua natura di potere dietro le quinte: al contrario della chiacchiera accademico – pubblicistica che si è sviluppata a partire dagli anni ’90 del secolo scorso nel tentativo di tipizzare la post democrazia, Il cesarismo è l’esatto contrario della governanza plebiscitaria perché  rischia di mettere in crisi le istituzioni, svelandone sempre più la natura di scenario e le macchine teatrali che ormai vi si nascondono dietro.