20140830_155142-1Praticamente non si contano i rapporti autoptici sulla morte della sinistra che sono comparsi a cominciare allarmati dalle elezioni del 2018 e che si sono moltiplicati di  numero e di autorevolezza dopo le recenti tornate regionali nelle quali è stata sancita la dissoluzione del Pd ed è scattato l’allarme rosso per un intero ceto politico. Ma a pensarci bene proprio le diagnosi tardive sono testimonianza del male oscuro perché considerare che il Pd lettiano, renziano o gentiloniano avesse qualcosa a che fare con la sinistra è di per sé segno di una patologia, come del resto lo è il non aver compreso a un decennio di distanza che la creazione stessa del Pd era stata pensata proprio per farla finita con la tradizione di sinistra e tutte le rimanenti ubbie antieuropeiste e quelle politicamente scorrette dell’uguaglianza e della solidarietà. Ancora oggi si tenta di convincere e di autoconvincersi che Renzi abbia rappresentato una parentesi, mentre lo sono stati  tutti gli altri rispetto a un disegno complessivo di involuzione e di ultra blairismo. Non rimane che abbaiare alla luna, favoleggiando di leader alternativi, come il masaniello ad ore De Magistris o addirittura di invisibili vene progressiste di Zingaretti.

La verità è che si sarebbe dovuto ricominciare una storia lasciando fuori dalla porta tutta la vecchia ganga protagonista della dissoluzione ideologica di un pensiero politico, anche se comprendo benissimo che anche questa è una pura utopia. Ma adesso si può davvero credere che quelli che hanno distrutto i diritti del lavoro, che hanno osannato la precarietà come il nuovo verbo, che hanno massacrato le pensioni, la scuola e il welfare possano sinceramente indicare una nuova strada? Certo che no e tuttavia ci provano con  pertinacia come se possedendo un’etichetta, ma non più la bottiglia, siano comunque gli unici autorizzati a parlare del vino. E’ proprio grazie a questa sindrome proprietaria e alla furibonda lotta contro coloro ritenuti responsabili di furto, che adesso siamo nelle mani di Salvini. Del resto pensare di affidare al gretinismo che parla la stessa lingua del neoliberismo o al femminismo di mercato una possibile rinascita, denuncia l’incapacità di presentare un qualunque progetto credibile di società diverso da quello dominante e al fuori della falsa dialettica inscenata da quest’ultimo.

Lo dimostrano in maniera lampante le stesse parole dei pentiti dell’ultima ora che in ordine sparso e quasi alla chetichella tentano qualche abiura in carta patinata nel disperato tentativo di rimanere protagonisti di una lotta immaginaria e di un concreto declino. Impressionante è l’intervista al dimenticabile ministro montiano Fabrizio Barca che dopo essere stato protagonista e complice dello scasso finale dello stato sociale ha tentato un qualche riverginamento parolaio e adesso dice in un’intervista che occorre maggiore radicalità. Ora l’unica cosa di sinistra ravvisabile in costui è il padre, ovvero il senatore del Pci Luciano Barca che è poi all’origine della sua audience nel discorso pubblico italiano, come del resto è accaduto ad un’intera generazioni di rampolli rossi e rosati cresciuti nelle scuole americane: dopo gli studi, dopo Cambridge, la Bocconi e l’Ocse, ovvero al cuore pulsante del neoliberismo, si è accreditato come esperto delle questioni territoriali, qualcosa che piace molto alla sinistra residuale come compensazione del cosmopolitismo capitalista nel quale ha convertito l’internazionalismo. Non voglio farla lunga: Barca nell’intervista ci spiega che per cambiare registro non è sufficiente la sola redistribuzione delle ricchezze e delle risorse, facendo  riferimento a un ulteriore radicalismo non ben definito nei suoi contorni né ideologici, né concreti. Ora che la redistribuzione in se stessa non basti potrebbe essere un motto di monsieur de la Palisse se fosse vissuto al tempo di Lenin e di Trozkij, ma è anche del tutto evidente che essa è comunque il primo e necessario anello di una catena che porta al cambiamento della società. Ci si accorge ben presto che tra le righe l’obiettivo è proprio quello di marginalizzare la redistribuzione e lo si capisce perfettamente da una frase: “Su questo il pensiero keynesiano ha mostrato i suoi limiti, si deve ricominciare ad incidere sui meccanismi di formazione della ricchezza” . Benissimo, ma quali sarebbero stati questi limiti e rispetto a cosa? Non aspettatevi una risposta, ma una sorta di tautologia fattuale: i limiti di Keynes sono dimostrati dalla circostanza che le socialdemocrazie hanno fallito sotto l’attacco neoliberista e non importa che ciò sia accaduto proprio perché non hanno difeso la redistribuzione. Dunque l’unico sistema che non ha dei limiti è il capitalismo di orizzonte finanziario che è diventato dominante e che per l’appunto non solo ha ucciso la redistribuzione, ma anche le conquiste ad esse legate. Sapete i “limiti di Keynes”, più che un concetto o una frase fatta sono un saluto massonico, un modo di far comprendere a chi di dovere come la si pensa e a quale fratellanza si è associati. Come dire, parlo di radicalità, partendo da posizioni liberali, socialiste e cristiano sociali, proprio come se fossimo nei beati anni ’50, butto qualche briciola di anticapitalismo per pollicini sprovveduti. Ma ragazzi, sapete bene come la penso e sto qui a dire che con questa redistribuzione dei redditi ( la quale in termini reali significa anche diritti e welfare) bisogna andarci con i piedi di piombo, perché non è la soluzione.

In pratica Barca con proposte non proprio originali come quella del minimo salariale a dieci euro l’ora, (non si sa, né gli viene chiesto, se lordi o netti o reali, che fa una bella differenza) ma con il rifiuto di qualsiasi patrimoniale, un pasticciare ipocrita sull’ingresso del pubblico nelle attività economiche, l’evocazione della guerra generazionale e l’immancabile salmo per l’Europa più giusta, non va oltre il tentativo di suggerire un breviario di bon ton liberista affinché la disuguaglianza sia educata e sappia comportarsi a modino. Ora che questo coacervo privo di qualsiasi radicalità o novità, ma  ricchissimo di luogocomunanza un po’ invecchiata, venga rappresentato come la punta di diamante della sinistra, la dice lunga sul disastro in corso e anche su molte ipocrisie dei suoi personaggi residuali. Non non siamo davvero sulla stessa Barca.