8b263b225fe1b2c5abae35c6d070b5ca Sarà che nutro un forte sospetto verso i sacerdoti di qualsiasi religione o di qualsiasi dottrina che vuol farsi religione o comunque acquisirne gli aspetti apodittici e autoreferenziali, ma quando vedo le persone inchinarsi ai soloni dell’economia come se scendessero dal monte Sinai con le tavole della legge, mi viene immediatamente in mente il turibolo con suoi fumi ipnotici e gli om! dei templi buddisti o i gorgheggi gutturali dei muezzin dietro i quali non si nasconde nient’altro che la ritualità stessa. E così capita che andando dietro lo scenario, sfrondando il gergo, le formule e i diagrammi si scopre una disarmante ovvietà e banalità. Nelle settimane scorse, ad esempio, il mondo dell’economia è stato scosso da un  articolo di Olivier Blanchard, un vescovo del neoliberismo, capo economista del Fondo monetario oltre che autore di manuali adottati in quasi tutte le facoltà di economia del mondo, il quale ha fatto una straordinaria scoperta: che se il tasso di interesse che un Paese paga sul proprio debito è inferiore alla crescita del pil il debito è sostenibile e non deve destare preoccupazioni.

Ora mi chiedo perché tutti quelli che hanno stipulato un mutuo non vengano immediatamente chiamati al Mit o alla London School o alla Bocconi visto che è precisamente questo il presupposto sul quale si basano i prestiti in generale, ovvero che il “pil” di chi li stipula cresca più degli interessi del  debito. A meno che non si tratti di cravattari il cui scopo è semplicemente depredare le fonti di reddito, cosa che peraltro accade in maniera anche macroeconomica in questo meraviglioso mondo.  E questo fin dal tardo Medioevo, anzi dal momento stesso in cui si è accettato il concetto di interesse positivo il quale – mi dispiace per gli equazionisti che nascondono dietro i numeri la loro banalità – è semplicemente una scelta non una necessità visto che si potrebbe benissimo immaginare un’economia senza interessi  o con interessi negativi, anche se non si tratterebbe di un’economia definibile capitalista visto che sarebbe priva di sufficiente accumulazione. Magari potremmo discutere sul valore reale che ha un indicatore come il Pil o sul ruolo sconcertante degli speculatori che determinano l’interesse di un debito fingendosi megafoni di un mercato di cui sono in realtà tiranni o magari sui problemi posti dalla circolazione globale dei capitali, ma la cosa in sé è elementare. E del resto nel 2016 sono stati premiati dal falso nobel della banca di Svezia Oliver Hart e Bengt Holmström per aver elaborato una mirabile teoria  dei contratti che stabilisce come sarebbe bene legare le retribuzioni dei dirigenti ai risultati ottenuti; che in qualche caso gli impiegati andrebbero premiati con promozioni, ma anche che all’interno di un team possa accadere che alcuni sfruttino il lavoro degli altri senza averne diritto.

Vuoi vedere che in portineria c’è un genio dell’economia incompreso? Ha poco valore che queste considerazioni, ovvie rispetto alla geometria che le teorie economiche hanno costruito, siano infarcite e nascoste dietro una complessa siepe di tecnicismi irti di numeri ed equazioncine, la loro ovvietà rimane intatta e adamantina. Ma di certo né Blanchard né gli altri sono dei cretini – o almeno si spera – quindi tutto questo trova spiegazione nel semplice fatto che gli economisti dell’era neoliberista, privi di prospettiva storica e ontologicamente avversi all’idea stessa di evoluzione, non hanno proprio più nulla da dire, si limitano a danzare attorno ai loro totem strappando erbacce, spostando sassi e ridipingendo qui è là le scrostature.  E ogni tanto si concedono una sniffata di Blanchard.