310px-Raphael-cherubiniIeri per la settima volta in un anno si è presentato alla porta un incaricato di Eni per convincermi a passare alla loro fornitura. Immagino che tutti noi abbiamo subito parecchie volte l’arrembaggio di qualche società di servizi o abbiamo vissuto le difficoltà, le complessità, il dilettantismo, le bollette pazze o “stimate” e in ogni caso illeggibili, i prezzi sempre in crescita dovuti alla mirabile dialettica del massimo profitto con il minimo di spese e investimenti. Dunque niente di strano, solo che in queste sette occasioni sono rimasto davvero affascinato dall’ argomentazione portata per convincermi al passaggio: siamo noi che distribuiamo tutto il gas, anche alle aziende concorrenti che ve lo fanno pagare aggiungendo il loro interesse, quindi da noi potrete avere prezzi migliori.

L’argomento è convincente nella sua ovvietà e se solo in passato Eni non avesse fatto inenarrabili casini con le bollette, se non cercasse anche lei il guadagno ad ogni costo per i propri azionisti e dunque per le quotazioni di borsa, mi avrebbe indotto a firmare. Ma a pensarci bene questa elementare verità è in qualche modo rivoluzionaria perché è l’esatto contrario di quanto ci viene ripetuto da 25 anni come come un mantra innegabile pena l’eresia, come una guida infallibile verso l’eden del consumatore, ovvero che le privatizzazioni avrebbero portato a servizi migliori e costi più bassi per via della mitica concorrenza. Naturalmente non poteva assolutamente essere così perché i soggetti privati dovevano riprendersi i soldi per l’acquisto anche se costo stracciato delle strutture pubbliche acquisite, mentre si ampliava la platea di manager spesso incompetenti, ma sempre strapagati e quella degli azionisti bramosi di profitti immediati: questi soldi dovevano essere presi dalle bollette aumentando le stesse, diminuendo stipendi e salari, terziarizzando, precarizzando, riducendo al minimo gli investimenti, così che adesso abbiamo un sistema di distribuzione dei servizi essenziali tra i più cari del continente e allo stesso tempo tra i più inefficienti e farraginosi che si appoggia esclusivamente sulle vecchie strutture pubbliche che già abbiamo pagato con le tasse.

Questo riguarda il gas, come l’elettricità e come l’acqua. La svendita di un patrimonio industriale e strutturale pubblico tra i più rilevanti del mondo, cominciata a partire dal ’92 con l’ Eni, culminato con legge Bersani e il massacro di Enel del ’99 e prolungatosi con la privatizzazione dell’acqua, non si è affatto rivelata come la terra promessa. I costi per la famiglia media sono più che raddoppiati, in certi casi triplicati in termini reali anche a fronte di costi per le materie prime in costante diminuzione come per il gas o con prezzi oscillanti come per il petrolio, ma comunque – tenendo conto dell’inflazione – molto più stabili nel medio periodo di quanto non si creda.  Basti pensare che solo dal 2005 al 2015 a fronte di un incremento del costo della vita del 24%, le bollette del gas sono aumentate del 56,7% (mentre la materia prima ha dimezzato o quasi i prezzi: del resto dal 2003 – anno di apertura del mercato del gas – al 2011, il prezzo medio delle bollette è aumentato del 33,5%, mentre l’inflazione è cresciuta del 17,5%.  Stessa cosa per l’energia elettrica i cui costi per una famiglia media sono cresciuti del 38,2% nello stesso periodo (oggi sono arrivati al + 45%) . Che si tratti di aumenti da privatizzazione e non legati ai costi delle materie prime non lo dimostrano soltanto le serie storiche dei prezzi, ma anche il fatto che l’aumento maggiore si è avuto in questo decennio proprio per l’acqua dove non è intervenuto alcun investimento, ma si è via via semplicemente privatizzata la distribuzione: 72,3%.  La beffa è ancora più grande se si pensa che queste grandi e frettolose svendite degli anni 90 ad opera principalmente del prodismo sono state fatte  fatta per permettere di aggiustare temporaneamente i conti per entrare nell’euro. Quello che si dice un affarone.

Poi un giorno, dopo un quarto di secolo di vangelo apocrifo e di pensiero unico arriva un modesto venditore bussa alla porta e ti dice pari pari che tutto questo è stato un imbroglio, che quello ci è stato detto era una semplice baggianata, riconosciuta del resto  proprio dalla Banca Mondiale tra gli sponsor più cinici e più importanti delle privatizzazioni nel terzo mondo, quando ha dovuto ammettere che i sistemi privati non sono per nulla superiori per efficienza a quelli pubblici. Certo ha tralasciato il piccolo particolare che essi oltre a non essere particolarmente efficaci, escludono molta parte della popolazione dei Paesi più poveri dai servizi di base, ma questo, diciamo così, è solo marginale per il capitalismo, quello stesso che si fa così soccorrevole nelle parole e spietato nei fatti. Tuttavia è ovvio, persino banale, che la privatizzazione dei servizi universali, cioè quelli necessari, non può essere collegata direttamente e principalmente al profitto, ma deve tenere conto dell’utilità pubblica la quale ovviamente è anche un bene economico, ma che si sparge su tutta la società, non è concentrata su un pugno di azionisti. Tra qualche decennio le cose nelle quali ci siamo cullati, i miraggi del pensiero unico saranno considerati alla stregua delle elucubrazioni sul sesso degli angeli.