marco-polo-caravan-in-una-illustrazione-dal-catalano-atlas-circa-1375-marco-polo-1254-1324-era-un-mercante-veneziano-traveler-e-il-piu-famoso-occidentale-hanno-viaggiato-sulla-via-della-seta-eccelleva-tutti-gli-altri-viaggiatoriOggi voglio parlare d’altro rispetto ai temi roventi interni ed esterni e dunque in un certo senso immergermi in orizzonti più limpidi e meno confusi, vedere più lontano senza la nebbia della cronaca che incalza. Mi sarebbe piaciuto partire dalle Filippine, ma una notizia letta sulla Die Welt mi induce a cominciare da luoghi più vicini anche se certamente meno amichevoli da quando abbiamo la Ue dell’euro. La Atlantik-Brücke o Atlantic Bridge, un’associazione fondata nel 1952 come centro per la propaganda Usa nell’Europa di lingua tedesca, si trova costretta a riconoscere di aver fallito nel proprio scopo: da un’ indagine da essa stessa promossa, risulta che l’85% dei tedeschi è ostile agli Stati Uniti e alla sua politica, mentre il 43% vede la Cina come un partner più affidabile per la Germania rispetto agli Usa  (vedi qui) . Si tratta di cifre inconcepibili solo una trentina di anni fa e che mostrano gli enormi cambiamenti intervenuti negli ultimi tempi, soprattutto dopo la crisi e la sventagliata di guerre sante e democratiche combattute nel nome della eccezionalità imperiale e del suo esclusivo dominio planetario, ma che alla fine hanno visto l’emersione di una multipolarità sempre più accentuata. 

Ed è queste la cornice in cui si inseriscono le cronache filippine il cui impatto richiede un minimo cappello storico: il Paese divenne colonia statunitense nel 1898 dopo l’invasione di Cuba e la guerra ispano americana che comportò per Madrid la cessione di queste isole a Washington. Alla popolazione che aveva combattuto contro le truppe spagnole pensando all’indipendenza, la cosa apparve ( e in effetti lo era) un ignobile tradimento tanto che per un  decennio infuriò una rivolta che gli Usa soffocarono nel sangue, arrivando, su idea del generale  Jacob H. Smith, alla creazione di decine di campi di sterminio nei quali venivano uccisi tutti i maschi al di sopra dei dieci anni. Lo scopo era ridicolo e, mutatis mutandis, non molto diverso dalle vicende di oggi ovvero quello di “educare i filippini, innalzarli, civilizzarli e cristianizzarli “, trascurando il fatto che essi avessero abbracciato il cattolicesimo da tre secoli. Naturalmente si evita di narrare queste vicende che sporcano  e rendono irriconoscibile la linda storia ufficiale persino nelle filippine stesse e questo mostra  lo stato di soggezione totale in cui si è svolta la storia post coloniale dal dopoguerra fino ad ora. Oggi però le cose stanno cambiando e in maniera del tutto imprevedibile fino a qualche anno fa. Nel 2012 la Cina aveva inviato navi per la reclamare la propria quasi millenaria sovranità sugli isolotti Huangyan, piccoli affioramenti sabbiosi a largo di Luzon, nel mar cinese meridionale, importanti sia per la pesca che dal punto di vista delle possibilità estrattive sotto il mare che le circonda.

Questo avrebbe dovuto guastare i rapporti tra i due Paesi anche oltre il livello normalmente determinato dalla cricca filo americana al potere sotto qualunque presidente. Invece la contesa si è ricolta in un accordo tra Pechino e il presidente filippino Duterte, per lo sfruttamento congiunto delle risorse nelle zone che non presentano motivo di dissidio: la compagnia petrolifera filippina nazionale e quella cinese hanno stretto un accordo per lo sfruttamento di eventuali risorse i cui frutti andranno per il 60 per cento a Manila e per il 40 alla Cina, nonostante tutte le tecnologie e i mezzi di esplorazione/ estrazione siano cinesi. È facile dedurre che si tratta di una risposta asimmetrica da parte di Pechino al tentativo americano di aumentare le tensioni nella regione, come ad esempio con la recente comparsa di guerriglieri Daesh a Mindanao (chi li avrà mai trasportati dal Medio Oriente fino a lì?) fatto che peraltro ha spinto Duterte all’acquisto da Mosca dei missili S400 e altri tipi di armamenti. In ogni caso siamo distanti mille miglia dal modus operandi del vecchio ordine mondiale unipolare in cui la forza e il potere militare sono imposti da Washington praticamente dovunque: qui si assiste alla sostituzione delle armi, delle operazioni coperte e dell’arancionismo pagato a cottimo, con piani di prosperità comune. Una tecnica di approccio strategico di Pechino in tutte le aree del pianeta dunque niente affatto episodico, ma intrinseco alla sua millenaria cultura. Basta vedere la differenza tra questa vicenda e il grande imbroglio del Venezuela per toccare con mano la differenza tra i due mondi. Duterte ha compreso, probabilmente meglio di qualsiasi altro leader dell’ordine internazionale multipolare, l’opportunità di controbilanciare l’influenza americana nella regione attraverso gli investimenti cinesi. quando avremo il bene di comprenderlo anche noi?